Editing Calvino. Per l’edizione critico-genetica di Palomar
Un passo di una presentazione che Calvino elaborò per il volume Palomar ormai prossimo alla stampa, ma poi rimasta inedita, ha gettato le fondamenta per il presente lavoro. Illustrando le prime elaborazioni dei brani e dei personaggi che intendeva inserire in questo nuovo volume, Calvino fornisce probabilmente la più logica e chiara “giustificazione” della necessità di un’edizione critico-genetica di Palomar:
Mi si potrà chiedere perché invece di parlare del libro che ho scritto, parlo di quello che non ho scritto e che con questo non ha niente a che fare. Ma forse uno non può parlare del proprio libro (che non dovrebbe richiedere altre parole da parte dell’autore) se non “in negativo”, cioè parlando dei progetti di libri che sono stati scartati per giungere a questo1.
L’idea sottesa è che il non detto, ciò che è rimasto taciuto, ciò che un libro non è diventato possa essere il modo più consono per tornare ad interrogarsi su una singola opera e magari capirne qualcosa di più. Nell’anno del centenario dalla nascita di Calvino gli eventi, le presentazioni e le celebrazioni tenutisi in suo onore sono innumerevoli e abbracciano a 360 gradi la sua opera e la sua idea di letteratura. Se a questo si aggiunge che a breve sarà possibile consultare – presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma – l’archivio di casa Calvino, se non impellente, un lavoro che proceda verso una rivalutazione dell’opera calviniana è quantomeno auspicabile2. Il presente studio – che è parte di un lavoro di tesi più ampio – intende fornire una prima messa a fuoco dei materiali e della relativa metodologia di rappresentazione, necessari ad elaborare una compiuta edizione critico-genetica del Palomar calviniano. Si cercherà, pertanto, di fornire un primo e necessario inquadramento della disciplina – la filologia d’autore e la critica genetica – utile a fornire le coordinate spaziali entro le quali ci si muoverà. Si elaborerà poi una metodologia che sia in grado di razionalizzare, nel modo più economico e consono possibile, tutti i dati ottenuti da quest’analisi. Il punto di partenza è quello di arrivare ad una definizione della casistica di varianti emerse dalla collazione dei testi apparsi sui quotidiani con quelli poi accolti in volume. Il punto di arrivo, invece, sarà la scelta del testo base da porre a fondamento di un’eventuale edizione critico-genetica nonché della scelta del più chiaro apparato critico deputato a raccoglierne il regesto variantistico.
1. Le ragioni della filologia d’autore
Prima di tutto, una precisazione: cosa vuol dire Editing Calvino? Un volersi sostituire, e rubare il mestiere, ad uno dei redattori più proficui della casa editrice Einaudi? Certo che no, il titolo di questo capitolo deriva, per variatio, dal volume Editing Novecento di Paola Italia la cui premessa può essere utile ad una maggiore chiarificazione dello scopo di questa indagine:
A volte, se non ci sono le «parole per dirlo», bisogna prenderle in prestito […]. L’espressione Editing Novecento […] è da noi intraducibile. Il nostro «meraviglioso idioma» offre possibilità ironico/grottesche (‘curare il Novecento’), futuribili (‘editare il Novecento’) o di intrinseca manovalanza editoriale (‘redazionare il Novecento’), nessuna delle quali però è adatta a rappresentare il tema che qui viene affrontato […]. Un tema attuale e complesso, ricco di implicazioni tra storia, letteratura e critica, e un tema particolarmente attuale, soprattutto da quando, in ambito editoriale, universitario e culturale in generale l’attenzione crescente alla letteratura del Novecento – una letteratura che possiamo cominciare a guardare in una prospettiva storica ‒ ha portato lettori, studiosi e operatori del settore a porsi nuove domande sui testi3.
Ed è proprio questo quello che cerca di fare la filologia d’autore, fa sorgere negli studiosi nuove domande sugli autori e i loro testi, concentra «la sua attenzione sul momento creativo e formula ipotesi, in base ai materiali conservati, sul rapporto tra autore e testo sia nella fase di gestazione, sia nella fase spesso tormentata che, dopo la prima pubblicazione, porta talvolta rifacimenti più o meno numerosi e complessi»4. La filologia d’autore, prendendo atto che «l’autore del Novecento manifesta volta a volta diverse volontà, diverse “penultime” volontà, che possono o meno trovare una compiuta attuazione»5, giunge quindi ad una nuova concezione di testo, non più come dato statico ma sempre più come “approssimazione al valore”, arrivando a comprendere in sé stesso tutti gli stadi redazionali che lo hanno preceduto; tutti gli avantesti, si direbbe.
Secondo l’uso che ne fanno gli studiosi francesi, l’avantesto altro non è che «l’insieme dei materiali preparatori raccolti, decifrati, classificati: da semplici liste di parole ad appunti e disegni, ai primi minimi abbozzi, fino vere e proprie stesure»6 che può anche subire degli ampliamenti semantici legandosi ad ambiti non strettamente filologici, portando l’avantesto ad accogliere «per esempio, anche il percorso mentale dell’autore»7.
La filologia d’autore nostrana ha invece concepito come avantesto solo l’insieme dei materiali che riguardano l’opera poetica in quanto tale – restano esclusi quindi i processi mentali che hanno portato l’autore al compimento dell’opera. Nell’accezione di avantesto che si è affermata nella filologia italiana è possibile quindi distinguere tra i materiali che non hanno una diretta correlazione con il testo e quelli che invece ce l’hanno. La prima categoria si compone di tutto quel materiale definibile come “lavoro preparatorio” (liste di nomi, cibi e materiali, vari appunti sull’organizzazione, indici provvisori ecc.). La seconda categoria, invece, è costellata da tutte le prime bozze, le varie stesure e i successivi rifacimenti che precedono il testo che l’autore manderà in stampa. Risulta evidente, a questo punto, che le due concezioni diverse di avantesto diano vita a loro volta a due tipologie diverse di edizioni critiche.
L’edizione francese – nota anche come édition génétique – è caratterizzata dal presentare l’edizione di tutto l’avantesto, partendo dalla prima traccia scritta dall’autore in questione fino al testo finale mandato in stampa, non curandosi di distinguere tra i due tipi di avantesto né curandosi di offrire al lettore la giusta subordinazione con la parte dell’avantesto che ha diretto legame con il testo. L’édition génétique si configura quindi come «rappresentazione della storia del testo attraverso singoli fotogrammi che di quel percorso fissano ciascuno un provvisorio statuto, senza distinzione fra testo, materiali preparatori e apparato»8.
L’edizione di tipo tedesco-italiana invece, in virtù della distinzione secondaria che fa dei materiali che costituiscono tutto l’avantesto, mira a rintracciare e valorizzare il processo correttorio che ha portato poi alla versione accolta a testo dall’autore. Questo tipo di edizione posa quindi il suo sguardo «sul percorso genetico o evolutivo del testo, ossia sul movimento variantistico che porta dalle lezioni registrate in apparato a quelle poste a testo (o viceversa)»9. Partendo da questa premessa, si offre al lettore un doppio organismo testuale costituito dal testo e dall’apparato critico, che è sempre subordinato al primo, mentre i materiali che non hanno diretta relazione con il testo andranno pubblicati in appendice o in un volume a parte. Lo snodo fondamentale di questo tipo di approccio sta nel preferire «nel continuum della vicenda compositiva d’un’opera, […] una scansione basata sulla comparsa del testo in quanto tale […], anche se consistente in una prima stesura poi modificata»10. La filologia d’autore abbandona quindi la frenetica bramosia di riuscire a dipanare il ginepraio di pensieri che hanno portato l’autore ad una determinata scelta linguistica, lessicale o tematica che sia. Dopo l’analisi di tutto il materiale lo scopo del filologo non è quello di comprendere i processi mentali dell’autore – sarebbe un’opera di divinatio – quanto piuttosto arrivare ad una «messa a punto di criteri di formalizzazione dell’apparato e di sistemi capaci di rendere al meglio (in tutte le sue fasi interne, opportunamente distinte e correlate) il processo elaborativo dello scrittore sia sui manoscritti sia sulle stampe»11. Un tale approccio al lavoro filologico è capace di produrre strumenti tanto sintetici e ricchi di informazioni quanto pericolosi, dato che può risultare arduo – specialmente là dove sia presente molto materiale autografo – riuscire a stabilire con certezza la cronologia delle correzioni.
2. I materiali
Prima di arrivare all’elaborazione di una casistica delle varianti, è stato necessario molto lavoro d’archivio con lo scopo di reperire e “censire” tutte le varie edizioni dell’opera di Calvino, dei singoli racconti apparsi nel corso degli anni su quotidiani nazionali come «la Repubblica» e il «Corriere della Sera», nonché su riviste nazionali e internazionali. L’analisi delle singole edizioni – che parte dal testo ma arriva fino alla modalità di impaginazione e le singole copertine – ha permesso di fare luce su aspetti che potrebbero sembrare marginali ma che in realtà dicono più di quanto possa sembrare. Il reperimento delle singole uscite dei brani palomariani sui quotidiani nazionali, ha altresì permesso di apprezzare l’attenzione che Calvino aveva per le modalità di impaginazione dei suoi testi – che talvolta corredava con alcune fotografie – ma anche di focalizzare meglio le modalità con cui questi racconti sono stati recepiti in prima istanza dal pubblico – la scelta di pubblicare i racconti in una determinata pagina dice molto sulla risonanza e il valore che gli si intende dare.
La mole di questi materiali, come si vedrà, è significativa e la tela che tessono tra di loro fittissima.
Ma questo non spaventi lo studioso che si accinga ad approntare una – o nel caso specifico, questa – edizione critico-genetica perché «procedendo razionalmente i problemi si pongono nei giusti termini, e una soluzione soddisfacente, più o meno perfetta, secondo i dati di cui si dispone, non può mai mancare»12.
Di Palomar, si contano almeno quattro edizioni rilevanti. La prima di queste è l’edizione dei «Supercoralli», finita di stampare il 19 novembre 1983, la cui copertina ci può suggerire dei primi spunti di riflessione sull’autore e la sua opera. Come d’altronde segnala Mario Barenghi, risulta chiaro che «nell’insieme le copertine di Calvino hanno uno stile riconoscibile […]. Elementi comuni il tratto preciso e lieve, la sobria eleganza, un’esattezza mai esibita»13. Sulla classica copertina bianca, infatti, spicca la xilografia Il disegnatore della donna coricata del pittore tedesco Albrecht Dürer. Non è la prima volta che Calvino sceglie per uno dei suoi volumi l’immagine di una donna nuda e un uomo vestito che si contrappongono. Già per la copertina de Il visconte dimezzato, e poi per quella de I nostri antenati, Calvino scelse una delle 180 litografie che Pablo Picasso, nel 1954, pubblicò nella serie Human Comedy. Le differenze tra l’illustrazione di Dürer e quella di Picasso stanno: nella posa della donna che finge di dormire e nell’uomo, un artista non più un cavaliere, che la ritrae guardandola attraverso una cornice suddivisa da una rete di fili utile a rendere al meglio la prospettiva per il disegno.
Proprio questa copertina fa tornare in mente la terza lezione americana (Esattezza) e fa nascere un cortocircuito tra poetica e l’attitudine alla scrittura di Calvino. In più occasioni, infatti, lo scrittore ligure ha reso nota la sua insofferenza verso «un naturalismo fin troppo esaltato, che non vede oltre una disanimata mimesis. Eppure, la sua poetica fantastica nasce proprio da lì, dalla pretesa di essere esatto, di perseguire una geometria rigorosa»14. Un cortocircuito di cui Calvino sembra essere a conoscenza e riconosce come motore della sua scrittura:
In realtà sempre la mia scrittura si è trovata di fronte due strade divergenti […]: una che si muove nello spazio di una razionalità scorporata, dove si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte vettori di forze; l’altra che si muove in uno spazio gremito d’oggetti e cerca di creare un’equivalente verbale di quello spazio riempiendo la pagina di parole, […]. Così negli ultimi anni ho alternato i miei esercizi sulla struttura del racconto con esercizi di descrizione, […]. Come uno scolaro che abbia avuto per compito “Descrivi una giraffa” o “Descrivi il cielo stellato”, io mi sono applicato a riempire un quaderno di questi esercizi e ne ho fatto la materia di un libro. Il libro si chiama Palomar15.
L’esercizio di descrizione-razionalizzazione della realtà che ha di fronte, il tentativo di «”Leggere” il mondo non scritto»16, e la sua oggettiva difficoltà, rende necessaria «l’inserzione di strumenti prospettici»17 – come appunto la griglia di Dürer in copertina – attraverso cui Palomar, ma anche Calvino stesso, cerca di «cavarne teorie sempre meno approssimative»18.
Dieci mesi dopo, nel settembre 1984, su licenza della casa editrice Einaudi viene pubblicata una nuova edizione di Palomar per i tipi di Euroclub. L’unica differenza di quest’edizione sta nella copertina viola che presenta una stampa del XVI secolo raffigurante l’astronomo danese Tycho Brahe. Lo studioso è ritratto mentre compie una serie di osservazioni e calcoli presso l’osservatorio Uraniborg – che tradotto sarebbe il “castello di Urania”, musa dell’astronomia per i greci – sull’isola danese di Hven. Come già menzionato in precedenza, le Note e notizie sui testi scritte da Mario Barenghi riproducono il testo del risvolto di quest’edizione citandola da un dattiloscritto conservato tra le carte di Calvino che presenta una serie di passi che saranno poi espunti dal volume a stampa.
Senza troppe modifiche, se non quelle di carattere tipografico e riferite alla copertina del volume, Palomar viene poi accolto nella collana «I Nuovi Coralli» (n. 390) nel 1987 – la copertina riproduce per tre volte la stessa incisione di Albrecht Dürer già dei «Supercoralli» – e nel 1990 viene edito anche da Mondadori fino ad arrivare poi nel 2016 nella collana «Oscar Moderni» accompagnato da una Postfazione dal poeta nordirlandese Séamus Haeney. La copertina di quest’edizione sembra voler riprendere il concetto di leggerezza tanto caro a Calvino e infatti troviamo raffigurati squarci di cielo limpido.
Più articolata, invece, risulta essere la situazione dei singoli racconti apparsi a vario titolo su vari quotidiani nazionali. Dal 1975 fino alla pubblicazione del volume Palomar nel 1983, Italo Calvino pubblicò su due quotidiani nazionali un totale di quaranta racconti che avevano come protagonista il signor Palomar. Dodici di questi sono stati negli anni ripresi e ripubblicati su altre tre riviste letterarie.
Dagli spogli del volume risulta che dei 27 racconti che compongono il volume di Palomar, dieci – su un totale di trentatré – derivano da articoli apparsi sul «Corriere della Sera» fra il 1975 e il 1977. Altri sei racconti – su un totale di otto – provengono da articoli pubblicati su «la Repubblica» fra il 1980 e il 1983, mentre gli ultimi undici sono inediti. Unico a fare eccezione è il racconto Il mondo guarda il mondo (venticinquesimo brano del volume), apparso in francese sul periodico del Centre national d’art e de culture Georges Pompidou – «Cnac Magazine» – nel fascicolo luglio-agosto 1982. Il brano fu tradotto in francese da Jacques Roubaud, membro anch’egli dell’OuLiPo, che Calvino ebbe modo di frequentare durante il suo soggiorno parigino, dal 1967 al 1980.
3. Metodologia
Compiuto il censimento dei materiali e fatta questa disamina sui diversi modi di concepire l’avantesto, e le due tipologie di edizione che ne derivano, non resta che elaborare i dati ottenuti dall’analisi.
Per riuscire ad orientarsi al meglio all’interno di un paesaggio variantistico così ampio come quello del Palomar calviniano, può essere utile, in prima istanza, cercare di elaborare una fenomenologia delle varianti presenti. Non si discuterà pertanto, in questa sede, di tutte le varianti che hanno interessato i brani palomariani nel passaggio dal testo sul giornale a quello accolto in volume; piuttosto, partendo dalla classificazione operata da Teresa Bava19, si discuterà delle tipologie di varianti riscontrabili nel testo calviniano.
Tralasciando tutti gli interventi d’autore che spostano il punto di vista dei testi dalla prima persona dei giornali verso la terza persona del volume, tanto prevedibili quanto necessari, la studiosa individua in prima istanza cinque macroaree d’intervento: gli interventi sul piano sintattico, quelli sul piano lessicale, gli interventi sull’aspetto tematico dei brani, quelli sull’aspetto strutturale e infine l’immissione dei dialoghi.
Per quanto riguarda gli interventi che Calvino opera sul piano sintattico dei brani, bisogna prima di tutto distinguere tra due tipologie di interventi che vanno a modificare due aspetti diversi: «“lingua del pensiero” e “lingua del narratore”»20.
Codificata da Calvino nella rielaborazione dei brani per il volume, la lingua del pensiero del signor Palomar viene formandosi per un processo di assimilazione all’andirivieni che caratterizza i pensieri del personaggio calviniano. In un ragionare che procede per continui tentativi, ipotesi, confutazioni e ripensamenti, Calvino si rende conto che la lingua di Palomar dovrebbe aderire e rendere mimeticamente questi procedimenti mentali, pertanto «inserisce interrogative dirette, immette parentesi, abolisce più volte i nessi logici e integra particelle attualizzanti»21. Il nucleo semantico dei periodi che ospitano i ragionamenti di Palomar esplode e causa da un lato la formazione di periodi sempre più brevi, spezzati e pieni di interrogative proprio nel tentativo di riportare questa dinamicità; dall’altro porta all’inserimento di sezioni di testo non presenti nella prima redazione apparsa sui giornali che servono proprio come tasselli in più di un ragionamento ingolfato. Il fenomeno è evidente in un alto numero di racconti; l’esempio riportato è estratto dal brano Il gorilla albino (p. 74).
Nel confronto tra le varie redazioni si distinguerà con le sigle Co ed R le porzioni dei brani riprese dal «Corriere della Sera» e «la Repubblica», mentre con P83 di farà riferimento al testo di Palomar del 1983 estratto dal volume di riferimento che è quello edito da Mondadori, collana «Oscar Moderni», del 2019.
R
Probabilmente «Copito de Nieve» non abbandona mai il copertone, suo giocattolo e feticcio e talismano, l’oggetto in cui concentra il suo rapporto con tutto ciò che sente come perduto.
P83
Nell’enorme vuoto delle sue ore, «Copito de Nieve» non abbandona mai il copertone. Cosa sarà questo oggetto per lui? Un giocattolo? Un feticcio? Un talismano? A Palomar sembra di capire perfettamente il gorilla, il suo bisogno d’una cosa da tener stretta mentre tutto gli sfugge, una cosa in cui placare l’angoscia dell’isolamento, della diversità, della condanna a essere sempre considerato un fenomeno vivente, dalle sue femmine e dai suoi figli come dai visitatori dello zoo.
Nel passaggio dalla redazione apparsa su «la Repubblica» a quella del volume, la figura retorica dell’isocolo tanto cara a Calvino – in questo caso tricolon «suo giocattolo e feticcio e talismano» – esplode. I tre membri costituenti dell’artificio retorico calviniano restano, tuttavia, nel tessuto testuale diventando però tre interrogative dirette che, pur non aggiungendo nulla a livello informativo e senza modificare l’impianto tematico del periodo, servono proprio a rendere mimeticamente i dubbi del signor Palomar.
Un altro espediente utilizzato da Calvino per restituire la “lingua del pensiero” è l’immissione di porzioni testuali non presenti nella redazione apparsa sui quotidiani che, dilatando i processi mentali di Palomar, ancorano la narrazione alla personalità del personaggio calviniano tutto intriso in continui dubbi e domande – ancora una volta, infatti, Calvino immette interrogative dirette. Si veda ad esempio i cambiamenti tra la redazione «Corriere» e quella del volume, del brano Lettura di un’onda (pp. 7-9):
Co
Il signor Palomar è convinto che se delimita uno spazio diciamo di dieci metri di riva per dieci metri di mare può completare un inventario di tutti i movimenti d’onde che vi si ripetono con varia frequenza entro un dato intervallo di tempo. Questo esercizio egli pensa gli serva per allontanare la nevrastenia, l’infarto e l’ulcera gastrica. E più ancora pensa che sia la chiave per padroneggiare con un’operazione semplicissima la complessità dell’universo.
Basterebbe non perdere la pazienza come gli succede dopo pochi minuti. S’allontana lungo la spiaggia, coi nervi tesi com’era arrivato e ancora più insicuro di tutto.
P83
Il signor Palomar ora cerca di limitare il suo campo d’osservazione; se egli tiene presente un quadrato diciamo di dieci metri di riva per dieci metri di mare, può completare un inventario di tutti i movimenti d’onde che vi si ripetono con varia frequenza entro un dato intervallo di tempo. La difficoltà è fissare i confini di questo quadrato, perché se per esempio lui considera come lato più distante da sé la linea rilevata d’un’onda che avanza, questa linea avvicinandosi a lui e innalzandosi nasconde ai suoi occhi tutto ciò che sta dietro; ed ecco che lo spazio preso in esame si ribalta e nello stesso tempo si schiaccia.
Comunque il signor Palomar non si perde d’animo e a ogni momento crede d’esser riuscito a vedere tutto quel che poteva vedere dal suo punto d’osservazione, ma poi salta fuori sempre qualcosa di cui non aveva tenuto conto. Se non fosse per questa sua impazienza di raggiungere un risultato completo e definitivo della sua operazione visiva, il guardare le onde sarebbe per lui un esercizio molto riposante e potrebbe salvarlo dalla nevrastenia, dall’infarto e dall’ulcera gastrica. E forse potrebbe essere la chiave per padroneggiare la complessità del mondo riducendola al meccanismo più semplice.
Ma ogni tentativo di definire questo modello deve fare i conti con un’onda lunga che sopravviene in direzione perpendicolare ai frangenti e parallela alla costa, facendo scorrere una cresta continua e appena affiorante. Gli sbalzi delle onde che s’arruffano verso riva non turbano lo slancio uniforme di questa cresta compatta che li taglia ad angolo retto e non si sa dove vada né da dove venga. Forse è un filo di vento di levante che muove la superficie del mare trasversalmente alla spinta profonda che viene dalle masse d’acqua del largo, ma quest’onda che nasce dall’aria raccoglie al passaggio anche le spinte oblique che nascono dall’acqua e le devia e raddrizza nel suo senso e se le porta con sé. Così va continuando a crescere e a prendere forza finché lo scontrarsi con le onde contrarie non la smorza a poco a poco fino a farla sparire, oppure la torce fino a confonderla in una delle tante dinastie d’onde oblique, sbattuta a riva con loro.
Appuntare l’attenzione su un aspetto lo fa balzare in primo piano e invadere il quadro, come in certi disegni che basta chiudere gli occhi e al riaprirli la prospettiva è cambiata. Adesso in questo incrociarsi di creste variamente orientate il disegno complessivo risulta frammentato in riquadri che affiorano e svaniscono. S’aggiunga che il riflusso d’ogni onda ha anch’esso una sua forza che ostacola le onde che sopravvengono. E se si concentra l’attenzione su queste spinte all’indietro sembra che il vero movimento sia quello che parte dalla riva e va verso il largo.
Forse il vero risultato a cui il signor Palomar sta per giungere è di far correre le onde in senso opposto, di capovolgere il tempo, di scorgere la vera sostanza del mondo al di là delle abitudini sensoriali e mentali? No, egli arriva fino a provare un leggero senso di capogiro, non oltre. L’ostinazione che spinge le onde verso la costa ha partita vinta: di fatto, si sono parecchio ingrossate. Che il vento stia per cambiare? Guai se l’immagine che il signor Palomar è riuscito minuziosamente a mettere insieme si sconvolge e frantuma e disperde. Solo se egli riesce a tenerne presenti tutti gli aspetti insieme, può iniziare la seconda fase dell’operazione: estendere questa conoscenza all’intero universo.
Basterebbe non perdere la pazienza, cosa che non tarda ad avvenire. Il signor Palomar s’allontana lungo la spiaggia, coi nervi tesi com’era arrivato e ancor più insicuro di tutto.
Nella seconda area d’intervento, sempre inerente al piano sintattico dei brani, Calvino si concentra sulla lingua del narratore che, procedendo per sottrazione, viene smorzata in favore di una minor onniscienza e di una maggiore «neutralizzazione della connotazione colloquiale»22. Dalle prime redazioni, Calvino elimina porzioni testuali che avevano un’originaria funzione didascalica e trasforma il contenuto dei brani in questione nel tentativo di connotarlo con una maggiore vaghezza. L’esempio riportato di seguito è tratto sempre dal brano Il gorilla albino (p. 74):
R
Più in là nel cortiletto c’è la femmina, una grande gorilla nera con un piccolo pure nero in braccio. (Le speranze di far generare a «Copito de Nieve» altri albini sono state finora deluse; neppure l’accoppiamento con sue figlie per aumentare le probabilità genetiche ha avuto influenza sul colore del pelo della prole).
P83
Più in là nel cortiletto c’è la femmina, una grande gorilla nera con un piccolo pure nero in braccio: il biancore del pelo non si eredita; «Copito de Nieve» resta l’unico albino di tutti i gorilla.
Per smorzare l’onniscienza del narratore, la parentesi, che aveva un’originaria funzione didascalica, viene abolita e la nuova versione tende al solo passaggio informativo risultando significativamente più sintetica della precedente.
Spostando poi l’attenzione dal piano sintattico a quello lessicale, anche qui è necessaria una distinzione di due aree di intervento che ospitano le correzioni di Calvino.
La prima raccoglie tutti gli interventi che l’autore opera nel tentativo di un maggior «bilanciamento dell’espressività»23, sia tramite la sostituzione di tessere lessicali marcate o colloquiali che tramite l’aggiunta di pezzi testuali volti a rendere più coesi e coerenti i pensieri di Palomar. L’esempio riportato di seguito è tratto dal brano Lettura di un’onda (pp. 8-9):
Co
Sta il fatto che da questo incrociarsi di creste variamente orientate il disegno complessivo delle onde risulta frammentato in riquadri che affiorano e svaniscono.
P83
Appuntare l’attenzione su un aspetto lo fa balzare in primo piano e invadere il quadro, come in certi disegni che basta chiudere gli occhi e al riaprirli la prospettiva è cambiata. Adesso in questo incrociarsi di creste variamente orientate il disegno complessivo risulta frammentato in riquadri che affiorano e svaniscono.
Osservando l’evoluzione di questo passo evidenziato non si registrano differenze tra le due redazioni. Tuttavia, il lavoro di bilanciamento è avvenuto in precedenza: il periodo che precede il passo evidenziato serve proprio a disambiguare il campo tematico e a fornire al lettore un tassello in più per la comprensione del periodo successivo.
La seconda direttrice su cui procedono gli interventi di Calvino riguarda, invece, un tentativo di «tematizzazione del lessico»24 tramite la creazione di isole testuali in cui predomina il ritorno di termini appartenenti allo stesso campo semantico, connotate dalla presenza di catene anaforiche che servono ancora una volta a rendere mimeticamente la dinamicità dei ragionamenti palomariani. Si veda ad esempio il seguente estratto del brano La pancia del geco (pp. 52-53):
R
il geco ogni sera rampa sul vetro esterno tra i rami pendenti di plumbago e sta lì fermo ad aspettare i moscerini attratti dalla luce; dall’interno della stanza contemplo la sua sagoma biancastra sullo sfondo buio, la estensione del suo corpo che solo i muri conoscono e che ora si palesa appiattita sul vetro.
La cosa più straordinaria sono le zampe, […]
P83
la sera una lampadina da 75 watt illumina gli oggetti; una pianta di plumbago dal muro del terrazzo fa penzolare i suoi rami celesti sul vetro esterno; ogni sera, appena s’accende la luce, il geco che abita sotto le foglie su quel muro, si sposta sul vetro, nel punto dove splende la lampadina, e resta immobile come lucertola al sole. Volano i moscerini anch’essi attratti dalla luce; il rettile, quando un moscerino gli capita a tiro, lo inghiotte.
Il signor Palomar e la signora Palomar finiscono ogni sera per spostare le loro poltrone dalla televisione e sistemarle accanto alla vetrina; dall’interno della stanza contemplano la sagoma biancastra del rettile sullo sfondo buio. La scelta tra televisione e geco non avviene sempre senza incertezze; i due spettacoli hanno ognuno delle informazioni da dare che l’altro non dà: la televisione si muove per i continenti raccogliendo impulsi luminosi che descrivono la faccia visibile delle cose; il geco invece rappresenta la concentrazione immobile e l’aspetto nascosto, il rovescio di ciò che si mostra alla vista.
La cosa più straordinaria sono le zampe, […]
Per quanto riguarda poi le varianti che impattano l’aspetto tematico dei brani, è da registrare che l’evoluzione più significativa riguarda porzioni di testo che vengono espunte per l’edizione del 1983. Nell’eliminazione di segmenti testuali dai brani, Calvino sembra operare seguendo tre criteri precisi, eliminando: i riferimenti di carattere culturale, i riferimenti legati alla realtà coeva così come quelli di ordine quotidiano o cronachistico, i riferimenti di tipo autobiografici. In quest’ottica rientra l’espunzione del pezzo che riportava una conversazione di Calvino con lo scrittore uruguayano Juan Carlos Onetti in Il gorilla albino:
R
La sera, al bar dell’albergo, faccio conoscenza con uno scrittore uruguaiano che da tempo leggo e ammiro, J.C.O. Come quasi sempre avviene, l’incontrare di persona un autore che si è letto non porta alcun elemento nuovo all’immagine che ci si è fatti di lui, anzi più spesso la allontana. Con O. che è un uomo difficile, amaro, invecchiato dalla cattiva salute, da un periodo di prigionia nel suo paese e poi dall’esilio, la comunicazione stenta a stabilirsi. Per cercare di rompere il ghiaccio, racconto la visita allo scimmione albino che ho compiuto quel mattino, pensando che possa interessare O., scrittore della sofferenza esistenziale, della sconfitta individuale in una società desolata e meschina, del sapore agro del destino. Mi sembra che il male di vivere espresso nei suoi romanzi possa trovare quasi un equivalente simbolico nell’immagine del gorilla prigioniero.
«Non c’è niente di strano in una scimmia in gabbia» dice O. «Conosco un uomo che sta rinchiuso da anni in una gabbia molto più piccola». S’alza, sempre impassibile, saluta, s’allontana appoggiandosi al bastone.
Comprendo che ha voluto darmi una lezione di morale civile: non si parla delle sofferenze d’una scimmia in gabbia al cittadino d’un paese in cui tante persone sono imprigionate e torturate. Comprendo un minuto dopo – ma ormai è troppo tardi quale poteva essere la mia risposta: io posso descrivere il gorilla, non l’uomo in gabbia, Solo lui ha il diritto di parlare della sua esperienza, ma nella maggior parte dei casi essa resta al di là della parola. Se parlassi io dell’uomo in gabbia, diventerebbe simbolo di qualcos’altro, così come il gorilla.
Continuo la mia discussione immaginaria (è il tipo di discussione che mi riesce meglio): solo attraverso immagine che mi si presenta come un nudo oggetto significante posso stabilire un contatto con i significati possibili d’una realtà fuori dalla logica d’ogni discorso; solo nell’estraneità dello scimmione albino posso riconoscere qualcosa di ciò che oscuramente portiamo dentro di noi, in mezzo all’irreducibile, sorda evidenza dei fatti che ci circondano. Così come il gorilla ha il suo pneumatico che gli serve da supporto fisico per un intenso, straziante discorso senza parole, così io ho quest’immagine d’un gorilla bianco. Tutti rigiriamo tra le mani un vecchio copertone vuoto attraverso il quale vorremmo raggiungere il senso ultimo a cui le parole non giungono25.
La penultima categoria di interventi correttori operati da Calvino si inserisce in un’ottica di «“rimontaggio”»26. Numerosi sono i brani in cui Calvino, partendo dalla redazione originaria apparsa sui quotidiani, opera una dissezione del testo tagliando, spostando e riformulando dei passi. Il contenuto informativo di brani come La pancia del geco, Lettura di un’onda, Il gorilla albino e L’invasione degli storni è sostanzialmente omogeneo nelle due redazioni; tuttavia, la loro struttura viene modificata per rendere il tessuto narrativo più dinamico e, talvolta, con un grado di suspance maggiore. L’autore si serve delle tessere narrative presenti nella prima redazione per ampliare e complicare la struttura dei brani per il volume del 1983. Per ragioni di spazio risulta complicato presentare degli esempi di collazione tra le redazioni dei giornali e quelle del volume. Pertanto, a titolo esemplificativo si propone la storia editoriale di un racconto palomariano – già indicativa dell’attitudine di Calvino al rimontaggio – per poi dividere e comparare le sequenze testuali del brano L’aiola di sabbia, sia nella redazione che apparve sul «Corriere della Sera» che in quella del volume autonomo, per mettere in evidenza la loro diversa disposizione.
L’aiola di sabbia (il titolo compare direttamente in volume) è un racconto che Calvino desume da uno più ampio, L’ansia annullata nei giardini giapponesi, apparso sul «Corriere della Sera» il 16 gennaio 1977. Il racconto, essenzialmente unitario, presenta una partizione interna scandita dai titoli in maiuscolo: Consigli, I turisti, Il privilegio, La luna in tasca e Una pietra, un sasso. Dai primi tre segmenti del brano verranno desunte delle parti che, unitamente ad altre porzioni testuali scritte appositamente da Calvino per l’occasione del suo inserimento in volume, andranno a formare poi il racconto L’aiola di sabbia.
Redazione Co
- Kyoto: descrizione giardino del tempio di Ryoani.
- Consigli: ulteriore descrizione giardino del tempio di Ryoani; lettura dei consigli dal volantino per i visitatori.
- Palomar si siede e cerca di seguire i consigli.
- Meditazione di Palomar; descrizione degli altri turisti che disturbano Palomar.
- I turisti: riflessione sui turisti giapponesi a Roma, Parigi e Londra; riflessione sui turisti giapponesi in Giappone, America ed Asia.
- Descrizione delle scolaresche giapponesi.
- Lettura di un’altra parte dei consigli su volantino per visitatori.
- Riflessione di Palomar sugli altri consigli appena letti.
- Il Privilegio: Riflessione di Palomar su tecniche mentali Zen; riflessione sui samurai.
- Riflessione di Palomar su tecniche mentali Zen e la civiltà di massa.
- Tentativo di Palomar di analizzare i dati osservati.
- Riflessione di Palomar sul rapporto giardino-umanità.
- La luna in tasca: descrizione del Padiglione Argento nella villa imperiale di Katsura di Kyoto; riflessione su rapporto giardino-riflesso luna.
- Una pietra, un sasso: descrizione delle sale da tè della villa imperiale di Katsura di Kyoto.
- Riflessione sul rapporto Padiglione argento-riflesso luna; presentazione della poesia Lettura della poesia.
Redazione P83
- Kyoto: descrizione giardino del tempio di Ryoani.
- Ulteriore descrizione giardino del tempio di Ryoani; lettura dei consigli dal volantino per i visitatori.
- Palomar si siede e cerca di seguire i consigli.
- Meditazione di Palomar; descrizione degli altri turisti che disturbano Palomar.
- Riflessione di Palomar sugli altri consigli appena letti.
- Riflessione di Palomar su tecniche mentali Zen.
- Riflessione di Palomar su tecniche mentali Zen e la civiltà di massa.
- Tentativo di Palomar di analizzare i dati osservati.
- Riflessione di Palomar sul rapporto giardino-umanità.
Dalla comparazione di queste scansioni delle sequenze narrative, risulta evidente il modo in cui Calvino ha desunto il brano L’aiola di sabbia dal testo più ampio apparso sul «Corriere della Sera». Le sequenze E, F e G della redazione originaria vengono totalmente omesse nel testo del volume. La sequenza I della redazione originaria risulta, in volume, mutila della riflessione sui samurai. Le sequenze K e L sono invece presenti in entrambe le redazioni del testo, tuttavia in volume queste due sequenze non costituiscono più due capoversi indipendenti – come lo sono tra l’altro tutte le altre sequenze – ma risultano accorpate in un unico capoverso. Altre rimodulazioni sono state operate da Calvino come ad esempio nel brano Il gorilla albino in cui risultano fortemente rimodulati in funzione di una posticipazione, o anticipazione, delle riflessioni o dei dubbi di Palomar.
Tra tutti gli interventi di immissione e sottrazione che Calvino ha operato nella rimodulazione della sua opera, l’ultimo campo in cui lo scrittore sanremese interviene è quello dell’«immissione di due inserti di stampo prettamente narrativo, costituiti entrambi da dialoghi»27. L’immissione di questi due dialoghi risponde ad una necessità, apparentemente in controtendenza con altri interventi correttori, di collocare il signor Palomar su di un piano più quotidiano e reale. In realtà i due dialoghi – inseriti nei racconti Il fischio del merlo e L’invasione degli storni – «rappresentano quasi una “dimostrazione per assurdo” di quanto […] finora asserito, un’ulteriore prova della sfiducia dell’autore nella comunicazione esplicita»28.
Nel primo dei due brani in questione, Calvino inserisce un dialogo tra i coniugi Palomar (la signora Palomar fa qui la sua prima apparizione) in cui tutto quello che si dicono i due coniugi è in realtà un monologo. Ognuno parla tentando di far arrivare l’informazione all’altro ma la vera comunicazione, così come avviene per i merli protagonisti del racconto, si compie invece in tutto ciò che è taciuto, tutto ciò che è sotteso nei loro silenzi e nelle loro pause. D’altronde questo lo chiarisce bene Calvino nella redazione finale del brano specificando che il «presupposto di questi scambi è l’idea che una perfetta intesa tra i coniugi permetta di capirsi senza star lì a specificare tutto per filo e per segno»29.
Nel dialogo immesso ne L’invasione degli storni il procedimento è fondamentalmente lo stesso, cambia semmai il destinatario a cui Palomar si rivolge, che non è più la moglie ma dei generici amici – di cui tra l’altro non sono riportate le risposte – con cui si confronta in merito agli storni che volano nel cielo di Roma.
L’apparente contraddizione scaturita dall’immissione dei dialoghi – forma specificamente narrativa –, che hanno formalmente il compito di agganciare maggiormente Palomar alla realtà che lo circonda, viene meno se si considera che in realtà tutte le informazioni veicolate da Palomar nel corso dei suoi racconti provengono non da strategie testuali classiche, come può esserlo un dialogo deputato allo scambio diretto di informazioni, ma da una serie di espedienti in cui strategie linguistiche differenti vengono riutilizzate per uno scopo “altro”. Prescindendo dal dialogo in questione, sembra che il vero gradiente d’informazione che Palomar cerca di farci arrivare sia nelle pause, nei silenzi e nel non detto, d’altronde «parlarsi tacendo, o fischiando, è sempre possibile; il problema è capirsi»30.
A conclusione di quest’analisi di varianti, risulta evidente che, nel modificare i brani prima del loro inserimento in volume, Calvino abbia seguito un preciso iter correttorio con delle linee guida ben precise. Non si tratta di una constatazione di poco valore. L’aver riscontrato un chiaro e preciso intento correttorio che muove verso un’organica e ragionata trasformazione dei testi sarà il punto cruciale per la scelta del testo base e della tipologia di apparato più consona a riportarne le varianti.
4. Conclusioni
In chiusura di tutto il lavoro di ricerca, risulta abbastanza chiaro che un’edizione critico-genetica di Palomar non solo è assolutamente possibile, ma addirittura auspicabile. Come sottolineato da Esther Judith Singer – moglie di Calvino – nella presentazione che elaborò per il volume postumo delle Lezioni americane, un’edizione critica dei manoscritti di Calvino – delle Lezioni, così come delle altre opere – ancora manca.
In attesa che terminino i lavori di inventariazione del fondo e dell’archivio Calvino che la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma sta portando avanti – che al momento preclude la consultazione del materiale d’archivio –, quale migliore occasione del centenario della nascita dello scrittore ligure, allora, per tentare di smuovere qualcosa – anche se in minima parte.
Per ben trentasei anni, dal 1947 al 1983, Italo Calvino si è occupato dei libri degli altri e ne sono prova le più di trecento lettere raccolte da Giovanni Tesio nel volume omonimo – I libri degli altri (2022). Più di trecento lettere – scelte da un corpus che ne contiene oltre cinquemila – che testimoniano la dedizione che Calvino metteva nel suo lavoro presso la redazione di Einaudi e tutto quello che c’è dietro il “mestiere dei libri”. L’esperienza con Einaudi e le relazioni che ne sono scaturite, le sue opere, i viaggi in Russia, Iran, Messico, Stati Uniti e Giappone, le relazioni con molteplici riviste e quotidiani, i soggiorni a Parigi, Roma e Castiglione della Pescaia hanno permesso a Calvino di costruirsi una “conchiglia” che probabilmente gli serviva sia da protezione nei confronti di un mondo che ha visto cambiare radicalmente, sia per racchiudere sé stesso e quanto gli era più caro.
E allora, se veramente vogliamo tentare di capire, analizzare e valorizzare questa conchiglia è il caso che questa volta siamo noi a tornare ad occuparci dei libri di Calvino in nuova prospettiva e con un nuovo, rinnovato, interesse. A tela ordita Dio manda il filo.
-
I. Calvino, Romanzi e racconti, 3 voll., ed. diretta da C. Milanini, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, prefazione di J. Starobinski, Milano, Mondadori, 1992, vol. II, p. 1403. ↑
-
Tra gli ultimissimi studi pubblicati a ridosso del centenario calviniano, c’è ad esempio D. Scarpa, Calvino fa la conchiglia, Milano, Hoepli, 2023 e le pubblicazioni della Collana di studi del Laboratorio Calvino, diretta da M. Barenghi, L. Di Nicola, B. Falcetto, M. McLaughlin e pubblicata da Carocci. ↑
-
P. Italia, Editing Novecento, Roma, Salerno Editrice, 2013, p. 7. ↑
-
A. Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 154. ↑
-
P. Italia, Editing Novecento, cit., p. 15. ↑
-
A. Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, cit., p. 159. ↑
-
P. Italia, G. Raboni, Che cos’è la filologia d’autore, Roma, Carocci, 2010, p. 26. ↑
-
Ivi, p. 27. ↑
-
Ibidem. ↑
-
A. Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, cit., p. 170. ↑
-
D. Isella, Le carte mescolate. Esperienze di filologia d’autore, Padova, Liviana, 1987, p. 16. ↑
-
M. Barbi, La nuova filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al Manzoni, Firenze, Sansoni, 1973, p. X. ↑
-
M. Barenghi, Le scelte di copertina di Italo Calvino, in L’oggetto libro ’96. Arte della stampa, mercato e collezionismo, Milano, Bonnard, 1996, p. 243. ↑
-
N. Leone, Le copertine di Calvino: altri mondi possibili, cit., p. 57. ↑
-
I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2017, p. 74. ↑
-
Id., Romanzi e racconti, cit., vol. II, pp. 1406-1407. ↑
-
N. Leone, Le copertine di Calvino: altri mondi possibili, cit., p. 59. ↑
-
Ibidem. ↑
-
Cfr. T. Bava, «Profondo in superficie». La lingua del signor Palomar dai testi sui quotidiani al libro, in «Autografo», XX, 48, 2012, pp. 63-78. ↑
-
Ivi, p. 63. ↑
-
Ivi, p. 64. ↑
-
Ivi, p. 66. ↑
-
Ivi, p. 67. ↑
-
Ivi, p. 68. ↑
-
I. Calvino, Visita a un gorilla albino, in «la Repubblica», 16 maggio 1980, p. 12. ↑
-
T. Bava, «Profondo in superficie». La lingua del signor Palomar dai testi sui quotidiani al libro, cit., p. 72. ↑
-
Ivi, p. 75. ↑
-
Ibidem. ↑
-
I. Calvino, Palomar, Milano, Mondadori, 2019, p. 26. ↑
-
Ivi, p. 24. ↑