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Marco Borrelli

per un risorgimento giacobino. le esperienze di filippo buonarroti e carlo tenca1

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Molti degli storici e dei critici letterari, che in tempi recenti sono tornati a interrogarsi sul tema dell’identità italiana, hanno messo in evidenza che l’apporto fornito dagli intellettuali alla costruzione dell’idea di Italia assume delle forme più consapevoli solo a partire dal più importante antefatto del Risorgimento, corrispondente al cosiddetto Triennio giacobino o repubblicano (1796-1799). È la rottura provocata dalla Rivoluzione francese, piuttosto che un’ipotetica continuità storica di lunga durata, a far sì che l’idea di nazione assurga a motore degli eventi risorgimentali. Quest’ipotesi trova conferma nei cambiamenti che investono la sfera linguistico-semantica: in una riflessione che muove dagli archetipi stessi della cultura occidentale – in primo luogo la Politica di Aristotele – Amedeo Quondam illustra che termini quali ‘nazione’ e ‘patria’ hanno rinviato, per secoli, ad «appartenenze identitarie tutt’altro che totalizzanti ed esclusive» (quali si intendono nell’Ottocento), funzionando «come connotatori sempre relativi e modulari, integrati e integrabili in una rete di altre appartenenze»2. Per un individuo del XVIII secolo non è affatto scontato che esista una nazione italiana in cui riconoscersi, benché in retrospettiva – dalla prospettiva, cioè, di cittadini del terzo millennio integrati in un organismo statale italiano – essa sembri radicata sul piano della tradizione letteraria, fin dai suoi illustri padri putativi: Dante, Petrarca e più ancora Machiavelli, in virtù della celebre exhortatio rivolta ai Medici nel capitolo XXVI del Principe3.
A ben vedere, anche l’avvento del Triennio giacobino è il risultato di una causa motrice esterna a un’opinabile volontà del ‘popolo italiano’, troppo eterogeneo e diversificato per potersi identificare intorno a una progettualità comune. Il punto di svolta si situa, dunque, nella semplificazione che interessa l’assetto geopolitico della penisola, in seguito alle campagne militari condotte da Napoleone al comando dell’Armata d’Italia. La riduzione dei poteri locali e la diffusione, pressoché uniforme, di istituzioni e modalità amministrative sulla penisola creano le premesse necessarie per l’avviamento di un processo che mira a dare credibilità storica alla «comunità immaginata» italiana: grazie all’opera dei primi patrioti si cominciano a diffondere nella borghesia dei valori collettivi identitari4. Durante il Triennio si producono senza sosta giornali, trattati, opuscoli, pamphlet e, inoltre, si ricorda che nel settembre 1796 la nuova Amministrazione Generale della Lombardia bandisce un concorso intorno al quesito Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia?, vinto dalla dissertazione di Melchiorre Gioia5. Un’attività febbrile che perdura fin quando il fuoco democratico arde nei vari focolai della penisola6; poi, con il repressivo clima della Restaurazione, «non potendo più esercitare liberamente i diritti sanciti dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino non restava altro che ricorrere alla cospirazione per ristabilire le perdute libertà»7.
Fa, così, capolino nella storia la figura del patriota esule, che porta avanti la causa indipendentista essenzialmente in due modi: o tramite l’adesione a società segrete, nelle cui riunioni si intensifica la costruzione di apparati simbolici volti a esaltare l’idea di patria, oppure mediante un impegno giornalistico-letterario profuso in quotidiani e periodici operanti ai limiti della clandestinità, i quali, per sfuggire alle maglie della censura, dissimulano finalità patriottiche trattando di argomenti non prettamente politici. Questo doppio binario trova un alto grado di rappresentatività nelle figure di Filippo Buonarroti e Carlo Tenca, le cui parabole consentono di seguire rispettivamente l’evoluzione della rete dell’associazionismo cospirativo e quella della pubblicistica risorgimentale, che, nel caso specifico, si presentano come due linee parzialmente distinte sia sul piano cronologico che ideologico. Infatti, rispetto all’irriducibile giacobino della prim’ora quale Buonarroti, il più giovane Tenca, pur provenendo dalle fila del radicalismo democratico, finisce per accostarsi tra il ’50 e il ’53 all’ala liberale, per poi adeguarsi al programma cavouriano, che gli appare, nel ‘decennio di preparazione’, quello più credibile per l’attuazione delle aspirazioni unitarie.
Secondo Pia Onnis Rosa, Buonarroti ricopre un ruolo fondamentale per lo sviluppo di una linea democratica e indipendentista, fin dagli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese. La data su cui si sofferma la studiosa è il 1794, quando a Oneglia, territorio momentaneamente sotto la sua giurisdizione, egli offre ospitalità ai profughi che affluiscono da Napoli e dal Piemonte: «così Oneglia divenne la meta di quella nostra prima emigrazione politica, e intorno al Buonarroti, si raccolse per qualche mese un nucleo di fervidi patrioti che in quell’aurora del Risorgimento avevano già sofferto per la causa della libertà»8. L’attività di Buonarroti si intensifica nel primo Ottocento quando, nel lungo tragitto che porta alla Prima guerra d’indipendenza, agli «assertori del vecchio ideale giacobino, o più in generale liberale-democratico non era rimasta altra via», per dirla con Armando Saitta, «se non quella di ripiegare latomisticamente nel chiuso dell’attività settaria»9. È proprio grazie all’interesse pioneristico di Saitta per le vicende biografiche e ideologiche del Buonarroti, che si è potuto mettere parzialmente ordine nelle trame cospirative da lui promosse, sempre fedeli all’attuazione del programma giacobino del 1796. Sulla scia dell’eminente storico, Marco Novarino lo designa come il «deus ex machina»10 dell’associazionismo segreto, per rendere merito a un patriota la cui centralità, nella rete delle società operanti in Piemonte e nel nord Italia nel primo quarto di secolo, è indiscutibile: non si esagera dicendo che la sua infaticabile militanza è essenziale per la crescita di tutto il movimento cospirativo11.
Il nome del patriota toscano è associato innanzitutto all’Adelfia, la prima società segreta fondata in Piemonte, appena in anticipo rispetto al ritorno di Vittorio Emanuele I sul trono, avvenuto nel maggio 1814. Questa società rimane attiva fino a quando nel 1818 essa viene assorbita in una nuova organizzazione cospirativa, creata a Ginevra dal Buonarroti stesso: ovvero i Sublimi Maestri Perfetti, che si pone l’«obiettivo di infiltrarsi e dirigere le diverse società segrete europee»12. In realtà, una ricostruzione attendibile delle attività delle singole sette diffuse sulla penisola resta complicata, perché i verbali di polizia, spesso, ne confondono i nomi; tant’è che non sempre è possibile indicare l’anno di cessazione di alcune di queste – tra cui la stessa Adelfia, che forse si trascina oltre il 1818, sopravvivendo accanto ai Sublimi Maestri Perfetti13. Pochi dubbi riguardano, invece, l’intento buonarrotiano di estendere e rafforzare la propria rete cospirativa servendosi anche della Carboneria:

Non si può parlare, naturalmente, di tendenze di comunismo agrario connaturate e intrinseche alle ideologie carbonare; ma sembra si possa senz’altro parlare di correnti probabilmente buonarrotiane nella Carboneria e nelle altre società segrete, buonarrotiane nel senso di una tendenza comunistico-utopista14.

Conscio che per perseguire la propria causa non può rinunciare all’accorto sistema tattico messo a punto da una setta più radicata sui territori della penisola, Buonarroti – che, tra l’altro, non risparmia critiche all’insufficiente determinazione della Carboneria nella lotta per l’unità o alla scarsa capacità di edificare moralmente i suoi adepti – tenta di appropriarsi della sua rete organizzativa e di farne un braccio dei Sublimi Maestri Perfetti, soprattutto allorquando la Carboneria si emancipa dal suo luogo di formazione (nel napoletano) e si espande verso le Marche e la Romagna15. Il prosieguo politico dell’azione di Buonarroti si mescola così, durante gli anni ’30, con le vicende di altre trame settarie. Fonda addirittura un’altra organizzazione, la Società dei Veri Italiani, che, come si denota nell’articolo primo dello statuto, «ha per oggetto l’unità, indipendenza e libertà d’Italia intendendo per libertà un governo repubblicano democratico istituito sulla sovranità del popolo e perfetta uguaglianza»16. Tuttavia, l’apice della sua parabola coincide con la spedizione in Italia dalla frontiera savoiarda del 1830, alla quale prendono parte, oltre a Buonarroti, altri celebri patrioti, tra cui Salfi, La Fayette e Pisani Dossi, padre del futuro scrittore Carlo Dossi.
Qualche parola in più merita il sacerdote cosentino di formazione illuminista, Francesco Saverio Salfi, per le attività svolte nell’ambito dell’associazionismo segreto di inizio secolo17. Nel 1814, egli fa da ponte tra il mondo segreto milanese e quello meridionale, arrivando a ricoprire un ruolo di prim’ordine nel tentativo antiborbonico guidato da Gioacchino Murat e culminato con l’altisonante proclama di Rimini del 1815, incoraggiante gli italiani alla rivolta contro gli antichi padroni. In virtù della sua partecipazione protagonistica a questi eventi sfortunati, l’anno successivo è costretto all’esilio in Francia, da dove, però, continua a seguire le vicissitudini italiane e a intrattenere rapporti con il Buonarroti. Non a caso, proprio Salfi e Buonarroti sono alla testa dell’ultima importante azione indipendentista, poc’anzi citata, condotta dalla prima generazione del Risorgimento a partire dalla frontiera savoiarda.
Nel 1830, per una breve fase, le varie società segrete in cui si era organizzato l’esulato danno vita a una Società patriottica italiana, con sede a Parigi e coordinata da una Giunta liberatrice italiana, presieduta da Salfi, e da un Direttorio esecutivo, presieduto da Buonarroti. L’obiettivo è quello di favorire varie insurrezioni autonome, per poi mettersene a capo e indirizzarle verso un’unica estesa rivoluzione italiana. Questi patrioti giacobini firmano il celebre Proclama al popolo italiano dalle Alpi all’Etna18, che si apre con l’intestazione «Amici e fratelli» e si rivolge al popolo invitandolo a impugnare le armi «a sterminio dei tiranni e di chiunque, dentro o fuori tentasse di sostenerli», affinché «l’Italia sia Indipendente, una e libera»19. Nondimeno, anche questo tentativo ha cattiva sorte: ma la memoria storica dell’evento resta impressa nelle generazioni future.
Il fallimento di quest’operazione rivela l’impossibilità di dare seguito in Italia, attraverso l’azione settaria, alle aspirazioni democratiche legate al concetto di egualitarismo, nella forma derivata dall’universalismo illuminista e intrisa di matrici babuviste20. A proposito del legame tra Buonarroti e Babeuf, l’influenza esercitata sul toscano dal filosofo socialista francese sarebbe meritevole di approfondimento; basti pensare che talvolta, e in maniera nemmeno tanto provocatoria, si fa riferimento a Buonarroti come al primo comunista italiano21. Tuttavia, sorvolando sulla sua formazione ideologica, in questa sede, si intende far luce piuttosto sugli aspetti pragmatici inerenti all’organizzazione settaria buonarrotiana: all’interno delle società segrete da lui fondate – ma il discorso è estendibile a tutto il movimento cospirativo della penisola – l’istanza democratica sembra ridimensionarsi a vantaggio del discorso identitario nazionale. In effetti, per fare presa sull’immaginario comune, tanto i Sublimi Maestri Perfetti quanto la Carboneria e la Massoneria, ricorrono a cerimonie di iniziazione basate su di un lessico e su una ritualità tipica del cristianesimo22. In altre parole, osservando pratiche e rituali di ognuna, si percepisce che le differenze ideologiche tra le varie società si affievoliscono, a beneficio della costruzione di un coerente apparato simbolico atto a divinizzare l’idea di patria:

Sarebbe fin troppo facile dimostrare queste analogie nell’esteriorità dei simboli e dei riti; al riguardo chi ne ha voglia può divertirsi a confrontare il tempio buonarrotiano descritto all’inizio dello statuto trovato in possesso del Manfredini con la descrizione della loggia massonica data in tutte le pubblicazioni del genere. Ma l’analogia si addentra ben più nel profondo, e l’ordine buonarrotiano non accetta solo l’intero formulario massonico bensì accetta la stessa struttura massonica, la quale come è noto si basava sulla triade di apprendista, compagno e maestro23.

La società dei Sublimi Maestri Perfetti così come la Massoneria, dunque, si basa su una divisione del potere fortemente gerarchizzata, che si articola su tre gradi: per il raggiungimento di ogni grado viene officiato un rituale diverso. Per gli adepti si tratta di una vera e propria cerimonia di investitura che presenta un formulario preciso, da rispettare scrupolosamente. Si fornisce di seguito un esempio relativo alla cerimonia per il secondo grado:

Nel tempio […] dei Sublimi Eletti, vi era un tavolo di forma triangolare sul quale erano appoggiati una sciarpa tricolore, un’accetta e un libro; a lato vi era un tronco di colonna con sopra un rotolo di pergamena contenente il giuramento del grado. L’ingresso del tempio era sovrastato dall’acronimo O.T.E.R.O.B.A. (Occide Tirannum Et Recupera Omnia Bona Antiqua). In questo grado la figura del leone era centrale, e durante l’iniziazione il candidato, oltre a giurare sopra un libro contenente i Dialoghi di Focione, doveva spogliare la statua di un leone delle insegne reali e cingerlo di sciarpa tricolore e di un berretto frigio24.

La cerimonia s’inscrive nell’orbita «di quella sacra legione tirannicida che incominciato aveva nel 1792 a scorrere per l’Europa per purgarla dei nemici della libertà»25, e a quest’esempio si potrebbero aggiungere i rituali officiati per gli altri gradi o quelli che accompagnano le vendite carbonare, che pure fanno ampio ricorso a un simbolismo di matrice cristiana26.
Per concludere su Buonarroti, si fa soltanto un accenno ai suoi rapporti col mondo della stampa. Dopo essersi improvvisato librario per introdurre in Toscana diverse opere dell’Illuminismo francese, nel 1786 ottiene l’autorizzazione granducale per la fondazione di un interessante giornale in lingua francese, il «Journal politique», costretto, però, a chiudere i battenti dopo circa un anno dall’apertura. Successivamente, Buonarroti collabora alla «Gazzetta Universale», ricevendo tra l’altro la denuncia del console olandese a Firenze, a causa di un articolo offensivo nei confronti di Guglielmo V. Infine, la sua più ardita iniziativa editoriale corrisponde alla fondazione del «Giornale patriottico della Corsica», diretto sotto lo pseudonimo ebraico di Abraham Levi Salomon27: un giornale che Sòriga giudica «il primo periodico rivoluzionario del Risorgimento» scritto in lingua italiana28.
Addentrandoci più a fondo nella storia della stampa e dell’editoria risorgimentali, gli studi dedicati a questo settore – cui di seguito si farà riferimento – rivelano che, fino alla prima metà dell’Ottocento, vigono regole che disciplinano in maniera stringente i vari aspetti del mondo librario: dalla censura alle direttive riguardanti la dimensione pratico-organizzativa del lavoro. Questa particolare invadenza legislativa ha incoraggiato gli editori a ‘raggirare’ la normativa; grazie alla presenza di «deroghe e codicilli», essi hanno provato a «costruire percorsi paralleli e non sempre legali»29. Si ricorda che Ferdinando di Borbone, preoccupato del carattere sovversivo di alcuni testi, non esita a rafforzare il clima di censura generale: «la legge dev’essere molto più forte né deve aversi alcun riguardo, perché uno dei mali grandi dello Stato è la lettura dei libri composti e sparsi dalle sette del secolo»30. Ancora più invasiva la censura austriaca nel nord Italia; scrive Palazzolo: «sotto il vaglio della censura preventiva passano quindi articoli di periodici, romanzi storici, novelle ma anche operette devozionali e poesie sentimentali»31. La censura borbonica e austriaca se non impediscono la totale circolazione di libri, quotidiani e periodici, sicuramente costituiscono il fattore decisivo per la stagnazione del settore editoriale nella penisola, molto distante dal cammino intrapreso dai più moderni Stati europei32. Il primo giornale italiano a raggiungere le 100.000 copie di tiratura è il «Secolo» di Sonzogno, ma solo nel 188233; traguardo che in Francia viene raggiunto molto prima.
Le vicende di Carlo Tenca si inscrivono proprio all’interno di questo duro clima repressivo. La sua attività politica non lo conduce verso una condizione di esule permanente, per così dire, come accade per il Buonarroti, ramingo tra la Francia e la penisola: la sua parabola si svolge per lo più nella natia Milano, sebbene sia costretto in alcuni momenti a fuggire e riparare altrove. Nel corso della sua vita, si lega soprattutto a due ambienti: casa Porro e il salotto di Clara Maffei. In particolare, «Tenca esercita all’interno di quel pezzo di società milanese che si raccoglie in casa Maffei una funzione insostituibile, guidando l’intransigente opposizione al governo asburgico»34. Per quanto riguarda i momenti di mondanità trascorsi nel «circolo degli habitués nella casa del conte Luigi Porro Lambertenghi»35, pure queste riunioni possono rientrare nella categoria del “salotto”, inteso come luogo di incontri, discussioni, scambi di idee, amicali relazioni. A queste sedute conviviali partecipano, per di più, molti collaboratori del «Conciliatore», tra cui Borsieri e Pellico: ed è proprio in questo centro animato della vita milanese che prende forma il progetto della «Rivista europea», di cui Tenca diventa direttore dal 1845 fino al 184836. Questo periodico e il successivo «Il Crepuscolo», di cui pure sarà direttore, sono le due esperienze editoriali più significative di Tenca, per quanto non manchino collaborazioni ad altri giornali.
Il riferimento a un episodio editoriale meno noto restituisce l’idea della trasversalità dell’impegno patriottico profuso da Tenca. Nel 1845, egli pubblica tre articoli per la strenna «Gemme d’arti italiane» rientrando tra la schiera degli ‘illuminatori’ o ‘illustratori’ del giornale, dove per illuminatori non si intendono gli incisori, ma «gli scrittori, chiamati a far luce sulle opere d’arte con le loro spiegazioni»37. Questa strenna esercita un fascino davvero singolare perché, oltre a tessere il discorso sull’identità nazionale a partire dall’arte, si pone come crocevia d’incontri per letterati d’ispirazione democratica. Nella sua redazione figurano Cesare Correnti e Giulio Carcano, due strenui sostenitori della causa indipendentista, che nelle loro opere rivelano apertamente le proprie simpatie per le classi popolari. A ciò si aggiunga poi che tutti e tre, Correnti, Carcano e Tenca, sono costretti a un momentaneo esilio dopo le Cinque giornate di Milano, in seguito alle quali anche questa strenna conosce un periodo di silenzio, a riprova del clima antiaustriaco che essa ispirava.
Come accennato in precedenza, per aggirare il vaglio della censura, spesso la propaganda indipendentista si cela dietro manifesti e scelte letterarie: così come la polemica tra classici e romantici aveva delle implicazioni ideologiche, allo stesso modo nell’allargamento dello spettro narrativo alle classi popolari, si dispiega la volontà di mantenere vivo e diffondere uno spirito democratico tra i lettori. La linea editoriale seguita dalla «Rivista europea» sotto la direzione di Tenca offre un esempio calzante. Il direttore invita a collaborare al periodico una delle autrici più attente al mondo contadino, Caterina Percoto. Per vincere le remore di lei, «nutrita da un radicato senso di inferiorità nei confronti dei letterati»38 scrive: «La Rivista è grave sì, più grave anzi di quel che vorrebbe; ma appunto per ciò mi rivolgo a quelli che possedono la popolarità della forma e l’arte così rara di comunicar colla moltitudine»39. Tenca con questo invito vuole, cioè, svincolare la Percoto da un contesto regionalistico per coinvolgerla in quel filone letterario rusticale che rivendica ormai un’attenzione nazionale, perché divenuto crogiuolo di istanze politiche, storiche e antropologiche.
Un altro testo edito sulle colonne della «Rivista europea» chiarisce meglio il nuovo clima che si sta formando. Si pensi alla cosiddetta lettera-manifesto intitolata Della letteratura rusticale di Correnti, che ha come destinatario Carcano e che viene pubblicata, nel marzo 1846, in risposta a un saggio di Tenca uscito sul numero precedente della rivista:

Voi credete di conoscere i villani, o letterati, perché vi siete fermati nel mezzo di una sagra a vederli ballonzolare, e cioncare e schiamazzare senza alcun rispetto a voi, ed alle regole dell’euritmia? A conoscere questi cuori, che non tengono il processo verbale d’ogni lor palpito, vuolsi un genio pietoso e sagace, che indovini quel che non ha nome nella coscienza, né espressione nella lingua40.

Correnti si rivolge contro quanti sostengono essere inutile lo studio dei villani, perché «gente badalona e senza conclusione», alla quale fino ad allora solo pochi scrittori avevano «voluto trovar cuore, e viscere e sentimento, dove non vi può essere che scempiaggine e bestialità»41. Il patriota è consapevole pure del problema linguistico che pone questo spostamento verso il basso, dal momento che i suoi contemporanei ricercano invece una certa eleganza retorica; e scrive polemicamente: «classici, romantici, lingua aulica, idiotismi, essere, non essere, primato, miseria […] v’ha chi grida e insegna che le lettere italiane di lor natura son nobili, illustri, illustrissime, né mai saprebbero scendere dal cocchio o lasciar i trampoli senza inzaccherarsi le calze di seta»42.
In merito alla valenza politica di questo manifesto apparentemente letterario, Marinella Colummi Camerino specifica che questa lettera «trasferisce sul piano letterario gli interessi per il popolare promossi dalla “Rivista europea” con il coinvolgimento di prospettive disciplinari multiple. La propensione per il mondo contadino di Correnti […] ha infatti un evidente risvolto civile nell’accezione di Romagnosi»43, creando un ponte con gli scritti dell’importante giurista. La rivista segue, cioè, il binomio «divulgazione ed educazione»44, affidando alla letteratura rusticale il compito di invertire il rapporto tra centro e periferia, con l’obiettivo ultimo di contribuire alla formazione e al rafforzamento dell’identità nazionale italiana.
Questa particolare attenzione per la materia campestre – e più in generale per la vita del popolo, quale emerge durante tutta l’avventura editoriale che vede Tenca direttore della «Rivista Europea» (anni durante i quali collabora anche il Cattaneo reduce dal «Politecnico») – si dispiega durante il momento in cui le forze democratiche si battono con più insistenza per sovrapporre lotta per l’indipendenza e rivoluzione sociale. Soprattutto a ridosso dei moti del ’48, Tenca, d’ascendenza mazziniana, è «consapevole della funzione non retorica ed edonistica ma etico-nazionale dell’arte»45 e aspira con la sua attività pubblicistica a raggiungere tutti gli strati sociali, a eliminare i pregiudizi gravanti sulla letteratura popolare; come scriverà in uno dei primi articoli realizzati per la successiva esperienza editoriale: «un’arte sola, un’arte vivente e feconda, sgorga dalla società, e col popolo e per il popolo»46.
Rispetto al precedente periodico, «Il Crepuscolo», il cui primo numero esce il 6 gennaio del 1850, conosce una fase di tensione più acuta con la censura austriaca. Come ricorda Simone Casini, per quanto non si tratti di un settimanale politico stricto sensu, «la sua decennale vicenda è caratterizzata interamente, come per nessun altro periodico nella storia italiana, dal contrasto strutturale col potere politico»47. Nonostante l’aperta ostilità col governo austriaco e l’insofferenza degli organi di controllo, «il coraggioso settimanale milanese […] dopo gli incerti inizi vide crescere gli associati, sparsi in tutto il paese, sino ai 2.500 del 1856 e 1857»48: «Il Crepuscolo», così, diventa «com’era negli auspici il collettore delle istanze provenienti da aree diverse del paese e la sede di un loro rilancio nazionale»49. Lo stesso nome della testata «nasconde implicazioni risorgimentali (in senso letterale, se il crepuscolo del mattino annuncia il sorgere del sole)»50, benché il proprietario Arzione, nel presentare il manifesto della rivista, faccia ovviamente riferimento ad altre motivazioni: «quest’opera sarebbe intitolata II Crepuscolo, perché in essa tratterebbe di scienze, lettere, arti ed industria senza però molto approfondirvisi dando così soltanto i lumi o crepuscoli, di tutte quelle umane cognizioni indispensabili ad ogni ceto di persone»51. Poiché Tenca era già sospettato dalla polizia austriaca, è grazie all’affidabilità di Arzione che il giornale ottiene l’autorizzazione a procedere. La rivista resta, però, nel mirino degli organi di controllo: secondo Pettinari gli articoli vengono comunque sottoposti a una censura preventiva, ragion per cui Arzione ben presto, per quieto vivere, preferisce cedere la proprietà di questo foglio alla tipografia Valentini (poi la proprietà passa a Tenca stesso)52.
In relazione al rapporto con la censura austriaca, si conclude mostrando i passaggi che conducono alla prima ammonizione del periodico di Tenca. Nella rubrica del giornale intitolata Rivista settimanale, il 26 settembre del 1852, compare un articolo – probabilmente redatto da Tenca stesso – nel quale si ironizza sull’atteggiamento tenuto da Luigi Bonaparte nel corso della sua visita a Lione:

Appena, rispondendo al signor Dupin, egli si permise di accennare alla possibilità dell’impero, dicendo che nelle cose d’interesse pubblico non esitava a precorrere il voto della Francia, ma in quelle che potevano sembrare d’interesse personale non faceva che seguirlo. Solo a Lione, dinanzi alla statua di Napoleone allora scoperta ed inaugurata, credette di dover rompere il silenzio e pronunciare uno di quei discorsi, accortamente oscuri, che lasciano indovinare fra le solite ambagi l’insistenza d’un vicino ormai ad essere realizzato. Quel discorso è una specie di programma politico, in cui il presidente prova la legittimità dell’Impero fondata sull’elezione popolare e mostra i benefici da esso recati alla Francia ed all’Europa53.

Fino a quel momento «il vero messaggio, depositato nelle “Riviste settimanali” e in altri scritti del “Crepuscolo”, era sfuggito per anni all’attenzione della censura austriaca e quando finalmente se ne scoprì il senso»54, le autorità colgono l’occasione «per infliggere l’ammonizione a un giornale che, certamente ostile al Governo» ha saputo «tanto prudentemente comportarsi da non incorrere negli estremi punibili dalla legge»55. Si tenga presente che in quello stesso mese entra in vigore la nuova legge sulla stampa, che in materia di ammonizioni stabilisce che due sono sufficienti per richiedere la soppressione di un giornale. Questa legge è indicativa della nuova stretta censoria, per cui diventa punibile anche la sottile ironia che accompagna la descrizione di un evento politico estero; tant’è che viene effettivamente disposta – «secondo le parole della Direzione provinciale dell’Ordine pubblico, cioè della polizia, indirizzate alla Luogotenenza»56 – un’«ammonizione in scritto al redattore del giornale di cui è già nota la poco lodevole tendenza, che però non poté prima d’ora essere colpita a termini di legge»57. Nonostante quest’episodio, Tenca riesce a portare avanti «Il Crepuscolo» fino al dicembre del 1859.
Con questo contributo si è provato a ricostruire, nelle sue linee fondamentali, il percorso di due figure esemplari della corrente giacobina e democratica del Risorgimento nonché dei canali che ciascuno ha rispettivamente individuato per la lotta all’indipendenza italiana. In Filippo Buonarroti, instancabile animatore del cospirazionismo settario, trova consistenza l’immagine del patriota esule, che trascorre gran parte della sua vita in Francia, così come Tenca incarna il caso di imperterrito patriota giornalista, che si ingegna costantemente per evitare uno scontro diretto e prematuro con le autorità. Si tratta di due condizioni che sicuramente non si sovrappongono tout court: eppure una richiama necessariamente l’altra, nella misura in cui ogni discorso complesso sul Risorgimento si fonda imprescindibilmente sul proficuo dialogo tra la dimensione politica e quella letteraria. Inoltre, le loro esperienze consentono di indagare più a fondo il processo stesso di costruzione dell’identità nazionale, a lungo ritenuta erroneamente una sorta di a priori storiografico, mostrando le impervie strade attraverso cui si è diffuso il culto della nazione, negli anni difficili della dominazione straniera.


  1. Si ringrazia il prof. Scott Lerner (Franklin & Marshall College) per aver condiviso materiali e informazioni preziose ai fini dell’elaborazione di questo contributo.

  2. A. Quondam, La nazione e gli italiani prima della nazione, in L’idea di nazione nel Settecento, a cura di B. Alfonzetti e M. Formica, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, pp. 3-30: 9.

  3. Su Machiavelli patriota ante litteram cfr. A. Campi, La fortuna di Machiavelli nella cultura letteraria e politica occidentale, in Machiavelli, a cura di E. Cutinelli-Rèndina e R. Ruggiero, Roma, Carocci, 2018, pp. 185-312: 303. Sul tema dell’identità italiana si rinvia pure al celebre testo di F. Chabod, L’Idea di nazione, a cura di A. Saitta e E. Sestan, Roma-Bari, Laterza, 1967 e a F. Di Giannatale, Il principio di nazionalità. Un dibattito nell’Italia risorgimentale, in «Storia e politica», VI, 2, 2014, pp. 234-269.

  4. Sulla declinazione italiana del concetto di «comunità immaginata» (B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi, trad. it. e cura di M. D’Eramo, Roma, Manifestolibri, 1996), cfr. A. M. Banti, La Nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia, Torino, Einaudi, 2000.

  5. Cfr. A. Saitta, Alle origini del Risorgimento: i testi di un «celebre» concorso (1796), 2 voll., Roma, Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea, 1964.

  6. Il primo sogno rivoluzionario a infrangersi è quello legato al contesto napoletano e all’affascinante figura di Eleonora de Fonseca Pimentel; cfr. E. Urgnani, La vicenda letteraria e politica di Eleonora de Fonseca Pimentel, Napoli, La Città del Sole, 1998.

  7. M. Novarino, Le società segrete in Piemonte, in Il Piemonte risorgimentale nel periodo preunitario, a cura di F. Ieva, Roma, Viella, 2015, pp. 107-131: 107.

  8. P. Onnis Rosa, Filippo Buonarroti e i patrioti italiani dal 1794 al 1796, in «Rivista Storica Italiana», LIV, 1937, pp. 36-85 poi in Ead., Filippo Buonarroti e altri studi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1971, pp. 13-56: 14.

  9. A. Saitta, Filippo Buonarroti. Contributo alla storia della sua vita e del suo pensiero, 2 voll., Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1972, vol. I, p. 104.

  10. M. Novarino, Le società segrete in Piemonte, cit., p. 110.

  11. A conferma di questa considerazione, si tenga presente anche l’azione svolta da Buonarroti nella natia Toscana, cfr. L. De Angelis, Un giacobino nella Firenze del Granduca. Filippo Buonarroti, in «Annuario dell’Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea», XXXIX-XL, 1987-88, pp. 7-39.

  12. G. Talamo, Società segrete e gruppi politici liberali e democratici sino al 1848, in Storia di Torino. La città nel Risorgimento (1798-1864), a cura di U. Levra, Torino, Einaudi, 2000, vol. VI, pp. 461-491. Per la fondazione dei Sublimi Maestri Perfetti, oltre ai già citati contributi di Saitta e Novarino, cfr. A. Galante Garrone, Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell’Ottocento (1828-1837), Torino, Einaudi, 1951; Id., F. Venturi, Vivere eguali. Dialoghi inediti intorno a Filippo Buonarroti, Reggio Emilia, Diabasis, 2009.

  13. Secondo Novarino, una ricostruzione puntuale delle vicende settarie di inizio Ottocento risulta impossibile per motivazioni intrinseche all’associazionismo segreto: «In questo momento il movimento settario si presentava con una composizione molto magmatica cosicché diventa estremamente difficile ricostruire la storia delle varie società con diverse denominazioni che operarono in Italia. Spesso le strutture cospirative cambiavano nome e ritoccavano i loro rituali solo per confondere le idee alle polizie o con l’intenzione di escludere elementi non graditi che in questo modo erano estromessi senza essere espulsi»; M. Novarino, Fratellanza e solidarietà. Massoneria e associazionismo laico in Piemonte dal Risorgimento all’avvento del fascismo, Torino, Sottosopra, 2008, p. 22. Per l’esistenza dell’Adelfia oltre il 1818, cfr. A. Saitta, Filippo Buonarroti, cit., vol. I, p. 90.

  14. D. Cantimori, Utopisti e riformatori italiani. 1794-1847. Ricerche storiche, Firenze, Sansoni, 1943, p. 145.

  15. Sulla rapida diffusione della Carboneria dal suo luogo d’origine, cfr. V. Zara, La Carboneria in Terra d’Otranto. 1820-1830, Bologna, Forni, 1978, p. 75. Occorre, inoltre, precisare che, all’inizio della sua attività rivoluzionaria, colpito dalla passione politica dei profughi napoletani, in una lettera inviata ai Rappresentanti del popolo il 27 giugno 1794, Buonarroti sostiene che «se l’Italia è destinata ad essere libera, la vera rivoluzione comincerà sotto il clima ardente del Vesuvio», P. Onnis Rosa, Filippo Buonarroti, cit., p. 19.

  16. A. Saitta, Filippo Buonarroti, cit., vol. I, p. 258.

  17. Luca Addante insiste già sul «ruolo apicale di Salfi nell’azione segreta che preparò la Campagna d’Italia – finora sottovalutato», L. Addante, Le colonne della democrazia. Giacobinismo e società segrete alle radici del Risorgimento, Roma-Bari, Laterza, 2024, p. 98. Sulla figura di Salfi in generale, si rinvia agli importanti lavori di B. Alfonzetti, Teatro e tremuoto. Gli anni napoletani di Francesco Saverio Salfi (1787-1794), Milano, Angeli, 2013, e di V. Ferrari, Civilisation, laicité, liberté. Francesco Saverio Salfi fra illuminismo e Risorgimento, Milano, Angeli, 2009.

  18. Un esemplare del proclama è custodito all’Istituto Mazziniano di Genova, Sala IV: vi sono le firme di Buonarroti, Salfi, Bianco, Linati. È interessante che gli accenni repubblicani di Buonarroti «furono giudicati inopportuni dallo stesso Mazzini», R. Bracalini, Mazzini. Il sogno dell’Italia onesta, Milano, Mondadori, 1993, p. 114.

  19. Si cita il proclama da R. Sòriga, L’idea nazionale italiana dal secolo XVIII all’unificazione. Scritti raccolti e ordinati da Silio Manfredi, Modena, Società editrice modenese, 1941, pp. 258-59.

  20. Sul rapporto con Babeuf, al seguito del quale partecipa da protagonista alla ‘Congiura degli Eguali’, cfr. A. Saitta, Ricerche storiografiche su Buonarroti e Babeuf, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1986 e L. Federici, L’egualitarismo di Filippo Buonarroti, Saonara, Il Prato, 2006.

  21. G. Ferraris, Filippo Buonarroti: il primo “comunista” italiano, in «Storia e Network», URL, https://www.storiain.net/storia/filippo-buonarroti-il-primo-comunista-italiano/, consultato il 12 marzo 2025. Inoltre, scrive Soresina: «la sua concezione di comunismo era soprattutto impregnata di temi etici, perlopiù priva di una idea classista e rivolta a una società agraria, nella quale prevedeva un’uguaglianza dei beni e del lavoro», M. Soresina, L’età della Restaurazione 1815-1860. Gli Stati italiani dal Congresso di Vienna al crollo, Milano-Udine, Mimesis, 2015, p. 90.

  22. Una connessione che emerge fin dai primi studi sul tema cfr. O. Dito, Massoneria, Carboneria ed altre società segrete nella storia del Risorgimento italiano, introd. di A. A. Mola, Bologna, Forni, 2008 (ma la prima edizione è del 1905).

  23. A. Saitta, Filippo Buonarroti, cit., vol. I, p. 117.

  24. Si cita da M. Novarino, Le società segrete in Piemonte, cit., p. 114.

  25. R. Sòriga, Le società segrete e i moti del ’21 in Piemonte, in Id., Le società segrete, l’emigrazione politica e i primi moti per l’indipendenza, a cura di S. Manfredi, Modena, Società tipografica modenese, 1942, p. 115.

  26. «Un altro aspetto importante della Carboneria – un elemento che caratterizzava la vita di quasi tutte le società segrete di questo periodo, e in seguito sarebbe passato nell’ethos e nell’immaginario del movimento per l’unificazione nazionale – era il suo carattere religioso […] un’altra figura chiave agli occhi dei Carbonari era Gesù Cristo, sia come uomo che come Dio. Per la setta gli strumenti della Passione – la corona di spine, i chiodi e la croce – erano simboli importanti», C. Duggan, La forza del destino. Storia d’Italia dal 1796 a oggi, trad. it. di G. Ferrara degli Uberti, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 69.

  27. Secondo Jean-Marc Schiappa questo pseudonimo ebraico rivela «un signe maçonnique», pertanto lo studioso suggerisce che «Il faut aussi rapprocher ce pseudonyme hébraïque de l’ancien pseudonyme («Sheik Mansour») de Buonarroti avant la Révolution, celui-ci étant musulman», J.-M. Schiappa, Buonarroti. 1761-1837. L’inoxydable, Saint-Georges d’Oléron, Les Editions Libertaires, 2008, p. 65. Questa scelta potrebbe altresì esprimere la simpatia di Buonarroti per gli ebrei «in quel momento vittime della reazione in Livorno», S. Bernstein, Filippo Buonarroti, trad. it. di G. Berti, Torino, Einaudi, 1946, p. 19.

  28. Il primo numero esce «a Bastia, il 1 aprile 1790, sotto la direzione del Buonarroti, che si celava sotto lo pseudonimo di Abraham Levi Salomon […] ristampato da M. A. Ambrosi in quella miniera quasi sconosciuta di documenti del prerisorgimento che è il Bulletin de la Société des sciences historiques et naturelles de la Corse 1919-1921», R. Sòriga, L’idea nazionale italiana, cit., p. 6 (in nota). Per approfondire la ‘questione ebraica’ si rinvia al Dialogo tra Giacob Abenezra e Abram Levì Salomon, in «Il Giornale patriottico della Corsica», XXIX, 23 ottobre 1790, pp. 255-56.

  29. G. Tortorelli, Introduzione, in L’editoria italiana nel decennio francese. Conservazione e rinnovamento, a cura di Id. e L. Mascilli Migliorini, Milano, Angeli, 2016, pp. 7-12: 8.

  30. Si cita da M. Berengo, Cultura e istituzioni nell’Ottocento italiano, a cura di R. Pertici, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 78.

  31. M. I. Palazzolo, Prima della libertà di stampa. Le forme della censura nell’Italia della Restaurazione, in «La Bibliofilia», CVIII, 1, 2006, pp. 71-89: 73.

  32. Da segnalare la pertinacia di quegli editori – è il caso di Bortolo Balbiani – costretti a fare più volte i conti con la censura: «l’anno successivo Balbiani incappò nuovamente nei rigori della censura austriaca, che gli valse un altro mese di carcere, e una multa di 500 fiorini per lo smercio di un’incisione allegorica che raffigurava Venezia in catene», G. Ciaramelli, C. Guerra, Tipografi, editori e librai mantovani dell’Ottocento, Milano, Angeli, 2005, p. 173.

  33. Per la storia di questo giornale, cfr. L. Barile, Il Secolo 1865-1923. Storia di due generazioni della democrazia lombarda, Milano, Guanda, 1980.

  34. M. I. Palazzolo, I salotti di cultura nell’Italia dell’Ottocento. Scene e modelli, Milano, Angeli, 1985, p. 36.

  35. M. T. Mori, Salotti. La sociabilità delle élite nell’Italia dell’Ottocento, Roma, Carocci, 2000, p. 62.

  36. Per una panoramica sulla rivista prima dell’approdo di Tenca alla direzione, cfr. M. Colummi Camerino, Gli intellettuali della «Rivista europea» prima della direzione Tenca, in Letteratura e società. Scritti di italianistica e di critica letteraria per il XXV anniversario dell’insegnamento universitario di Giuseppe Petronio, Palermo, Palumbo, 1980, pp. 367-392. Sull’esperienza di Tenca alla «Rivista europea», cfr. C. Gaiba, Carlo Tenca e la nascita del pubblico moderno, in «Intersezioni», XXIV, 2, 2004, pp. 239-254.

  37. T. Leati, Le «Gemme d’arti italiane». Una strenna artistica milanese nell’Italia preunitaria (1845-1861), Raleigh, Lulu, 2009, p. 17.

  38. M. Colummi Camerino, Archeologia del romanzo. 1821-1872. Bilancio di un cinquantennio, Milano, Angeli, 2016, p. 79.

  39. Epistolario Caterina Percoto – Carlo Tenca, a cura di L. Cantarutti, Udine, Del Bianco, 1990, pp. 25-26.

  40. C. Correnti, Della letteratura rusticale, in G. Carcano, La Nunziata. Novelle campagnuole, a cura di F. Tancini, Milano, Serra e Riva, 1984, pp. 285-304: 292.

  41. Ivi, p. 287.

  42. Ivi, p. 286.

  43. M. Colummi Camerino, Archeologia del romanzo, cit., p. 81.

  44. Ibidem.

  45. G. Scalia, Prefazione. Carlo Tenca e la pubblicistica lombarda dell’800, in C. Tenca, Giornalismo e letteratura nell’Ottocento, cura di G. Scalia, Bologna, Cappelli, 1959, p. 14.

  46. C. Tenca, La letteratura popolare in Italia, in «Il Crepuscolo», I, 4, 27 gennaio 1850, p. 14.

  47. S. Casini, L’avventurosa navigazione. «Il Crepuscolo» di Carlo Tenca e la censura lombardo-veneta, in Letteratura e Potere/Poteri, Atti del XXIV Congresso dell’ADI (Catania, 23-25 settembre 2021), a cura di A. Manganaro, G. Traina, C. Tramontana, Roma, Adi, 2023, pp. 2-7: 2.

  48. F. Della Peruta, Il giornalismo italiano del Risorgimento. Dal 1847 all’Unità, Milano, Angeli, 2011. p. 69.

  49. M. Colummi Camerino, Archeologia del romanzo, cit., p. 83.

  50. S. Casini, L’avventurosa navigazione, cit., p. 3.

  51. A. Pettinari, Il governo austriaco e il «Crepuscolo» (1849-1859), in «La Rassegna storica del Risorgimento», XXV, 2, 1938, pp. 225-278: 226.

  52. Per informazioni minime sul periodico, cfr. F. Della Peruta, E. Cantarella, Bibliografia dei periodici economici lombardi.1815-1914, Milano, Angeli, 2005, vol. I, pp. 410-411.

  53. [C. Tenca], Rivista settimanale, in «Il Crepuscolo», II, 39, 26 settembre 1852, pp. 609-611: 610.

  54. L. Iannuzzi, Il carteggio Tenca-Maffei. Storia, letteratura e arte nell’Italia del Risorgimento, Napoli, Guida, 2007, p. 31.

  55. A. Pettinari, Il governo austriaco e il «Crepuscolo», cit., p. 237.

  56. S. Casini, L’avventurosa navigazione, cit., p. 6.

  57. A. Pettinari, Il governo austriaco e il «Crepuscolo», cit., p. 237.


After a brief reconstruction of the historical context in which the principle of nationality spread in Italy, the essay focuses on the activity of two patriots who choose different ways to support the unification and independence cause. Filippo Buonarroti is an early Jacobin, who is involved in the foundation of various secret societies, contributing to the strengthening of conspiratorial plots against the ‘foreign tyrants’ who occupy the territories of the peninsula. Importance is given to the Christian symbolism used in the investiture ceremonies concerning the followers of the sect of the Sublimi Maestri Perfetti. In the second part, the essay analyses Carlo Tenca’s journalistic activity. Director of the «Rivista Europea» first and of «Il Crepuscolo» later, he plays a fundamental role in the development of a popular and democratic dimension in Risorgimento literature. Finally, an example is provided to underline his problematic relationship with the government, which passes for a written warning from the Austrian censors.