· 2 | 2024 · Quaderni dell’Osservatorio sul romanzo contemporaneo ·
Naji Al Omleh, Nicola De Rosa, Giuseppe Episcopo, Alberto Scialò
forma, ricezione, sociologia, mondo: alcuni quesiti aperti sulla morfologia del contemporaneo1
1. La contemporaneità del romanzo contemporaneo
1.1. Ma da che prospettiva il contemporaneo guarda se stesso?
Volendo formulare la domanda dal punto di vista storico-letterario, essa suonerebbe così: è Balzac o invece Flaubert il vero apice del romanzo del secolo XIX, il suo autore più tipicamente classico? Qui il giudizio non è puramente questione di gusto, ma implica tutte le questioni pregiudiziali dell’estetica del romanzo. Si domanda se sia l’unità oppure il distacco tra il mondo esterno e il mondo interno a costituire la base sociale della grandezza artistica del romanzo, della sua efficacia universale: se il romanzo moderno culmini in Gide, Proust e Joyce, ovvero abbia raggiunto già molto prima il suo vertice ideologico e artistico, in Balzac, in Tolstoj e oggi soltanto pochi grandi artisti si avvicinino a questo vertice, artisti che – come Thomas Mann – vanno controcorrente.
Le due differenti concezioni estetiche si fondano su due opposte filosofie della storia, proiettate sull’essenza e sull’evoluzione storica del romanzo. E poiché il romanzo è il genere letterario dominante della civiltà borghese moderna, l’alternativa è indicativa anche per l’evoluzione di tutta la letteratura, anzi di tutta la civiltà. La domanda in termini di filosofia della storia è questa: la via della civiltà odierna conduce in su o in giù?2
Perdonerete la lunghezza della citazione ma metterla giù più chiara di così era difficile. Chi parla è György Lukács, il momento in cui parla è il dicembre del 1945 quando raccoglie e pubblica insieme i sette capitoli che, scritti dieci anni prima, comporranno i Saggi sul realismo. Il punto esposto nella domanda finale verso cui corrono i paragrafi che lo precedono è così forte, sorprendentemente immediato, efficacemente diretto, decisivo che da solo, ovvero anche al di là della sua pur necessaria contestualizzazione nel discorso del critico ungherese, resta lì a interrogarci oggi con tutta la sua insopprimibile urgenza. Lo potremmo chiedere anche noi al romanzo della civiltà nostra contemporanea: la via conduce in su o in giù?
Prima dei “fatti” del 1956, anno dell’invasione sovietica dell’Ungheria, per Lukács la storia – intendiamoci, il corso della storia – era leggibile a chi possedesse grazie al marxismo gli strumenti per farlo. Similmente, la letteratura che puntava “in su” testimoniava un grado di conoscenza delle leggi dello svolgimento della storia che illuminava la “confusione cieca” scoprendo in essa il travaglio per la nascita di un mondo nuovo. Tolstoj contro Flaubert: la potente chiusura di Guerra e pace che porta alla luce della storia la forza progressista del futuro che si rivelerà nella rivolta decabrista del dicembre 1825 contro il ripiegamento degli entusiasmi in una «scolorita prosa della vita familiare borghese»3. Tolstoj continuatore di Balzac, il grande realismo erede di Goethe, Shakespeare, Dante, e andando a ritroso, dei classici. Con questa progressione, che suggella nell’estetica del realismo la forma del classico del tempo attuale, Lukács sottolinea la chiave di volta dell’atto rappresentativo che sostiene il realismo francese e russo: tenere insieme nel mondo romanzesco il generico e l’individuale. «Il tipo diventa tipo non per il suo carattere medio» – scrive il grande critico assestando una stoccata al naturalismo – «e nemmeno soltanto per il suo carattere individuale» – inferendo un colpo alle categorie di soggettività – «bensì per il fatto che in esso confluiscono e si fondono tutti i momenti determinanti, umanamente e socialmente essenziali, d’un periodo storico»4. È un’opera mondo, dovremmo essere spinti a pensare, quella che Lukács ci presenta: il romanzo realista coglie e rappresenta nel pieno sviluppo e al culmine delle loro possibilità immanenti “l’uomo” e “l’epoca”. I termini del discorso sono chiari: sposare filosofia della storia e concezioni estetiche. A patto quindi di tenere fuori Gide, Proust e Joyce, a patto di escludere i percorsi che muovono in direzione opposta al “grande realismo”.
Nel presente del 1946 Lukács riconosceva questo del suo presente. E per noi, oggi, dove conduce la via della nostra civiltà odierna? In su o in giù?
1.2. Anni Zero
All’inizio degli anni Zero, nel primo lustro del nuovo millennio, il panorama romanzesco raccontato dai volumi di saggistica in lingua inglese che hanno “contemporary” nel loro titolo sembra mostrare la presenza di un doppio percorso. Da un lato c’è quello radicato nei lavori dei maestri del postmoderno e di chi si è mosso nel suo contesto: Thomas Pynchon, Don DeLillo, Toni Morrison, Philip Roth, John Updike, Paul Auster che, oltre ad avere un imponente passato alle spalle, hanno vissuto gli anni Novanta da protagonisti. Accanto a loro, in linea di continuità e indipendentemente dalla fortuna toccata alle definizioni che li hanno accompagnati, “Metamodernism”, “Hysterical Realism”, “New Sincerity”, compaiono gli scrittori che proprio negli anni Novanta hanno iniziato a trovare la propria voce artistica: Sherman Alexie, Jonathan Franzen, Chang-Rae Lee, E. Annie Proulx, Matt Ruff, Colson Whitehead, David Foster Wallace, William T. Vollmann, e Dave Eggers inventore dell’originale rivista «McSweeney’s», poi diventata casa editrice5.
A fare da contraltare a questa linea, che sembra spezzata generazionalmente in due tronconi, erano poi poste le stagioni inseminate dalle prime diffusioni su larga scala delle culture del web, dal Cyberpunk, con la sua propagazione nello Steampunk, dalle avanguardie dello snuff novel (non trovo altre categorie altrettanto efficaci per definirlo) di Chuck Palahniuk e dall’Avant-Pop, un movimento forse minoritario, di certo mai unitario, ma che arriva anche sulle pagine di «Repubblica», dove leggiamo che le diverse anime del movimento mostrano una traccia comune: «la capacità di fare avanguardia, di sperimentare nuovi codici, rielaborando e facendo esplodere gli stereotipi della cultura pop, fatta di televisione, computer, pubblicità, cinema, fumetti, videogiochi»6.
Cultura pop che viene declinata in un immaginario mass-mediatico in cui non solo le categorie di alto e basso convivono, come nella più classica tradizione novecentesca postmoderna, ma all’interno del quale si assottigliano i confini tra mondo mainstream e alternative, grande capitale e autoproduzione, tempo lavorativo e libero, spazi pubblici e privati. Ricordiamo che qui stiamo lambendo il 2000, quando la pervasività del mondo mediatico non era quella perpetuamente attiva nelle protesi emozionali (espressione che dobbiamo a Gianluca Nicoletti) degli smart devices elettronici, ma apparteneva al panorama quotidiano dell’ambiente urbano, sociale, percettivo. La produzione letteraria trovava in Larry McCaffery7 una forza coagulante, quella teorica era espressa nel manifesto di Mark Amerika: «A forza di succhiare il sangue contaminato della cultura di massa, gli artisti Avant-Pop stanno diventando degli Scrittori Mutanti, è vero, ma il nostro obiettivo è ed è sempre stato quello di guardare la faccia deformata del mostro e di trovare modi selvaggi e avventurosi di amarlo per quello che è»8.
Insomma, è l’inizio del millennio ma sembra di essere ancora dalle parti di Lukács, con Don DeLillo e Paul Auster al posto di Balzac e Tolstoj.
1.3. A parte objecti: quale letteratura?
Torniamo al panorama romanzesco nei saggi in lingua inglese sulla letteratura contemporanea. Vorrei prendere in esame un testo, in particolare, non perché sia rappresentativo di una linea interpretativa o suggerisca un percorso di tipizzazione del canone del contemporaneo. È invece l’approccio alla questione che sembra poter suggerire il sorgere di interrogativi da cui derivare categorie critiche e questioni teoriche.
In Contemporary Fiction (2003) Jago Morrison comincia con il porsi il problema delle prospettive da adottare per inquadrare il paesaggio disomogeneo dei romanzi contemporanei, caratterizzati dall’attenzione verso gli spazi interstiziali, tra generi, culture e storie nazionali. Secondo Morrison una tale disomogeneità consente alla critica contemporanea di potersi muovere dalla posizione vantaggiosa di abbandonare una impostazione mirata al resoconto sullo “stato del romanzo” e di porsi invece il problema di modificare la focale dell’approccio critico in modo che si adatti al «range and variety of contemporary writing»9.
Sono poi in particolare quattro gli sfondi su cui adattare le profondità di campo: la rappresentazione della storia, «with reference to the multi-dimensional transitions of the post-war period and claims in the late twentieth century of the ‘End of History’ itself»; la questione del tempo con «the variety of responses in contemporary fiction to the radical rethinking of time in the New Physics, in philosophy»; la disciplina della carne, che implica i modi «in which genders and bodies are re-imagined in recent writing»; il problema della “razza”, ponendo al centro dell’indagine «the roots of race-thinking, its train of atrocities, and the ways in which writers have dealt with the legacy of both». È un programma di lavoro che osservato oggi, negli anni Venti del 2000 mostra una sorta di profetica diplopia: occhio al passato recente e alle conseguenze sul piano sociale dei problemi contemporanei, più sul piano sociale che non su quello politico, più su questioni etiche che estetiche.
Un’altra nota d’interesse è data dal fatto che nello stesso libro il discorso del nuovo e del contemporaneo viene anche contestualizzato in una prospettiva più ampia – ovvero osservato a distanza, se non quasi storicizzato – nel momento in cui Morrison riprende le pagine di Leslie Fiedler e del suo Waiting for the End: The American Literary Scene from Hemingway to Baldwin (1965). «According to Fiedler» – scrive Morrison – «the deaths of Hemingway and Faulkner at the beginning of the 1960s marked the end of the great age of US fiction. Little remained for contemporary writers but to fiddle amongst the ruins»10.
There are various ways to declare the death of the novel: to mock it while seeming to emulate it, like Nabokov, or John Barth; to reify it into a collection of objects like Robbe-Grillet; or to explode it, like William Burroughs; to leave only twisted fragments of experience and the miasma of death. The latter seems, alas, the American Way11.
L’analisi di Fiedler, riportata da Morrison, porta a un ulteriore avanzamento di prospettiva dal momento che apre ai nuovi supporti. Se la narrativa contemporanea sembra essere sopraffatta dalla «nausea of the end»12 e non continuerà ancora per molto a essere affidata alla stampa e ad essere rilegata in copertine rigide allora, ipotizza ancora Fiedler: «There is always the screen, if the page proves no longer viable»13.
1.4. A parte subjecti: il contemporaneo del romanzo contemporaneo
Una prospettiva diversa, appena una quindicina d’anni dopo, è al centro del libro di Theodore Martin, The Contemporary Drift (2017). Qui la questione del contemporaneo è essa stessa messa in questione oltre i dati temporali e il libro osserva da vicino dei generi tradizionali del moderno nella loro deriva, slittamento, passaggio, al contemporaneo: il noir, il romanzo poliziesco, quello di formazione, il racconto post-apocalittico, il western.
Il punto di partenza è questo: il termine contemporaneo non ha un valore temporale, non indica un periodo, non si riferisce a un’epoca storica. La nozione di contemporaneo indica invece una «“strategy of mediation” between present and past, proximity and distance»14. E se questo è accaduto a partire dalla Rivoluzione francese, il contemporaneo, come concetto, nell’ultra-contemporaneo, come mondo nel terzo millennio, mostra un valore diverso nell’accelerazione delle trasformazioni.
It seems to me that both the desire to pin down the contemporary and the difficulty of doing so are more pronounced today than they have been before. It’s not hard to imagine why that might be. The story of modern capitalism is a story of constant acceleration. All the temporal rhythms by which we measure contemporary life – from economic cycles to news cycles – have sped up to unimaginable degrees in the past half-century. In this context, we can see how the hyper-accelerated forms of capitalism that have reshaped western societies over the last several decades would ultimately conspire to make the present an intensified site of anxiety, instability, and uncertainty. That uncertainty – the sense of being at sea in a present that is itself at sea in history – is what my book calls “drift.” What is unique about the problem of the contemporary in our contemporary moment, I would suggest, is the way it indexes the unprecedented challenges that come with trying to orient ourselves in a present that is, in very real and historically specific ways, more adrift than it ever has been before – while also reminding us that such challenges are not themselves sui generis but have their own history15.
L’approccio dell’analisi è poi marcato da un movimento a pendolo tra la deriva (drift) graduale della contemporaneità e il movimento inerziale con cui si spostano i generi, unica bussola, il genere, per orientarsi nel mondo del presente perché da un lato connota la cultura contemporanea e dall’altro permette di isolare i modi con cui la scrittura contemporanea si distacca dal modernismo e dal post-modernismo. Nei generi letterari è iscritto un moto di resistenza e deriva da «what is emergent and unfamiliar about our contemporary moment»16, che è nell’immanente legame con la tradizione da cui essi derivano.
Tra gli autori presi in esame ci sono Bret Easton Ellis e Zadie Smith, dal cui stile Martin deriva l’ipotesi che «the period is defined less by a specific set of names than by the relentless practice of naming»17: American Psycho, Glamorama, e White Teeth adottano una tecnica simile dal momento che tutte queste opere «investigate the ways that superficial details come to stand for entire decades»18. Il genere noir è analizzato attraverso Sin City (2005) di Robert Rodriguez e The Good German (2006) di Steven Soderbergh, la narrativa poliziesca è rappresentata da Sacred Games di Vikram Chandra e da The Yiddish Policeman’s Union di Michael Chabon. Sono opere che mostrano dinamiche di “certezza e incertezza”, perché nella tensione tra ciò che è conosciuto e ciò che non lo è si giocano delle dinamiche contrarie a quelle espresse, tradizionalmente, nelle letture teleologiche del genere poliziesco.
Il motivo per cui si leggono i gialli, dice Martin riprendendo P.D. James e Fredric Jameson, non è per la scoperta del colpevole, e poi rilancia affermando che si legge per i momenti di sospensione, per la durata, per il tempo dell’attesa: «The long wait of the detective genre (embedded in every detective novel but made manifest only in the contemporary detective novel) discloses the temporal mediation of meaning: the ways that reading and knowing are subject to time»19.
I romanzi post-apocalittici sono segnati dalla presenza di un’interessante linea di lettura che s’innesta sulla questione del lavoro nelle più recenti versioni del tardo capitalismo, in cui i modelli stabili di occupazione e di gestione del tempo libero sono caduti. Due sono le versioni che Martin prende in considerazione per le narrazioni post apocalittiche. La prima, illuminata dal romanzo di McCarthy The Road e dal graphic novel The Walking Dead, sembra quasi suggerire che con la fine del mondo nasca la possibilità di un ritorno a qualcosa di simile al “vero lavoro” («The belief that the end of one kind of work implies the emergence of another – that the end of the world affords the possibility of a return to something like real work – props up any number of post-apocalyptic narratives»20). La seconda linea di sviluppo del genere che Martin prende in analisi è accompagnata dalle letture di The Flame Alphabet di Ben Marcus (scrittore apprezzatissimo da George Saunders e Jonathan Lethem) e di Zone One di Colson Whitehead.
Qui la prospettiva muta in una direzione distopica più che post-apocalittica perché la sopravvivenza, il lavoro di sopravvivere, si ribalta inaspettatamente nel tema della sopravvivenza del lavoro nel mondo neoliberista: la fine del mondo non porta a una fuga dalle condizioni usuranti e alienanti del lavoro contemporaneo, perché in Zone One e The Flame Alphabet, la verità sul lavoro è che non c’è scampo da esso21.
2. Empiria/distanza
Come riconoscere, dunque, le specificità formali del romanzo contemporaneo? Lo si può fare per via induttiva? Da un punto di vista sociologico, se una metafora si addice alle condizioni di produzione culturale del tardo capitalismo, questa metafora è quella dell’inondazione: procurata da un moto di crisi, è l’evento che riequilibra periodicamente un sistema, ma lo fa in modo rovinoso per lo sguardo del soggetto che in quel contesto è inglobato. Il nostro spettro di comprensione delle forme che vivificano la biologia del sistema è quello della singolarità storica di fronte a un iperoggetto: ammiriamo l’esornatività del suo scenario spettacolare; ci è difficile cogliere la struttura che ne imprime l’azione. D’altronde, possiamo astrarre quelle specificità formali per via deduttiva? Come sarebbe fuorviante pensare di processare i dati di uno scenario quantitativamente sterminato con cognizione qualitativa, così lo sarebbe produrre astrattivamente ciò che del romanzo di oggi è rappresentativo morfologicamente. In ogni caso, Max Weber coniava il concetto di «idealtipo» in quanto produzione di un’immagine teoretica che vorrebbe custodire intrinsecamente i dati storici di un fenomeno empirico e, ricondotta a verifica procedurale sulla realtà, sussumere cause, relazioni, effetti di un processo sociale22. Al netto di un’ambizione solo provvisoria, il concetto si addice in una certa misura a una breve scheda di lavoro, in cui si restituiscono alcuni percorsi, in forma prevalentemente interrogativa più che assertiva, che hanno animato la riflessione interna al gruppo di ricerca.
Quali sono i termini della nostra quest? Non possiamo che assumere cautamente una prospettiva di conoscenza approssimante. Inoltre, dobbiamo circoscrivere il nostro focus a opere d’invenzione del terzo millennio in cui, attraverso il racconto di una voce, si medino le vicende, a gradi variabili di finzionalità, di un sistema di vite particolari sullo sfondo più o meno opaco di una storia collettiva. Infine, quando chiamiamo in causa la nozione di specificità formali, la nostra scommessa assume i tratti di una produttiva contraddizione: intendiamo qualcosa che non si esaurisce nella morphé, che non è autosufficiente nel sistema chiuso dell’estetico, ma che esorbita da esso, ergo, che significa, e a significare è sempre qualcosa di storico.
L’evoluzione delle forme porta con sé un’evoluzione dei metodi utili a descriverle. I concetti classici che hanno guidato l’analisi del racconto nel Novecento sono validi a descrivere le forme del contemporaneo? Oggi, la narratologia si muove fra la persistenza di tendenze saldate al paradigma genettiano di analisi delle strutture narrative e tendenze che, accogliendo spesso le prospettive cognitiviste, si interessano alle implicazioni emotive o etiche di determinate posture immersive per la funzione ricettiva del lettore23. Seppur nell’ambito di riconfigurazioni metodologiche inscritte nei processi di riassestamento teorico successivi all’arretramento del paradigma strutturalista, la narratologia può dirsi viva. Come hanno scritto Monika Fludernik e Greta Olson nell’introduzione a un relativamente recente companion sul tema, «by elucidating its developments, alleged crises, and efforts to move beyond moments of disciplinary self-doubt, narratology is in the act of writing its own history and, in the process, solidifying its disciplinary claims. It has overcome – we want to suggest – its moment of disciplinary exhaustion and is now in an ongoing phase of expansion»24.
Le tecniche possiedono una loro storicità evolutiva che ne modifica il carattere simbolico. Se la percezione dell’innovazione, almeno dalla declinazione avanguardistica della temperie modernista, è intuitivamente legata a una dirompente cesura trasgressiva sul piano formale, è pur vero che la griglia del linguaggio rimane tutto sommato rigida – al netto di trasformazioni che, nel tempo dei media elettrici, chiamano in causa una riflessione sugli incontri fra regimi di trasmissione del messaggio culturale25 –. Allora c’è da chiedersi se una mutazione ascrivibile al carattere di novità assoluta, in un ipotetico vettore lineare della vita delle forme, coincida con la mutazione in cui tecniche già presenti nella tradizione assumono una nuova funzione simbolica, in quella che invece è una parabola fatta anche di ricorsività impreviste. Col senno di poi, con lo sguardo dal terzo millennio, possiamo dire che due modalità della rappresentazione dell’interiorità, il monologo interiore e lo stile indiretto libero, hanno funzionato da forme di una fibrillazione nella coscienza del soggetto primonovecentesco, chiamato a fare i conti con la trasformazione della morale borghese nell’epoca della crisi politica e simbolica dei modelli di fin de siècle, con la metropoli e la massificazione in cui egli è gettato, con la catastrofe bellica. Si può dire lo stesso di ulteriori tecniche narrative per il nuovo millennio?
Nel contemporaneo, un aspetto rilevante riguarda quella che appare come una rinnovata agentività della funzione autoriale, quella di un narratore che si propone come nuovamente onnisciente26 e che orchestra il suo repertorio di modalità prospettiche con posture manieristiche. Spesso a partire dall’evocazione di reminiscenze aneddotiche ed esibendo forme di psiconarrazione, costruisce poi digressioni etiche di carattere argomentativo e non narrativo. Avviene ad esempio in questo passo di 2666 (2004):
Al día siguiente, cuando se levantó, Espinoza encontró a Pelletier sentado en la terraza del hotel, vestido con unas bermudas y sandalias de cuero, leyendo las ediciones del día de los periódicos de Santa Teresa armado con un diccionario españolfrancés que probablemente aquella misma mañana había adquirido.
–¿Nos vamos a desayunar al centro? –le preguntó Espinoza.
–No –dijo Pelletier–, ya basta de alcohol y comidas que me están destrozando el estómago. Quiero enterarme de qué está pasando en esta ciudad.
Espinoza recordó entonces que durante la noche pasada uno de los muchachos les había contado la historia de las mujeres asesinadas. Sólo recordaba que el muchacho había dicho que eran más de doscientas y que tuvo que repetirlo dos o tres veces, pues ni él ni Pelletier daban crédito a lo que oían. No dar crédito, sin embargo, pensó Espinoza, es una forma de exagerar. Uno ve algo hermoso y no da crédito a sus ojos. Te cuentan algo sobre… la belleza natural de Islandia…, gente bañándose en aguas termales, entre géiseres, en realidad tú ya lo has visto en fotos, pero igual dices que no te lo puedes creer… Aunque evidentemente lo crees… Exagerar es una forma de admirar cortésmente… Das el pie para que tu interlocutor diga: es verdad… Y entonces dices: es increíble. Primero no te lo puedes creer y luego te parece increíble27.
La sezione narrativa comincia con una classica temporale, che introduce l’immagine di un Pelletier focalizzato nel campo visivo di Espinoza. Il narratore ne descrive l’abbigliamento e l’azione della lettura mattutina. Subito dopo, la subordinazione assume un carattere ipotetico («que probablemente aquella misma mañana había adquirido») di cui rimane pressoché indeterminata la paternità narratoriale o del personaggio. Dopo un breve discorso diretto, Espinoza rievoca un ricordo del giorno prima, da cui muove una riflessione di carattere più generale sulla qualità retorica del «no dar crédito» come forma enfatica. Di lì in poi, in una forma di psiconarrazione («Espinoza recordó…») che prosegue in un quoted monologue senza virgolette («No dar crédito, sin embargo, pensó Espinoza, es una forma de exagerar»), il tempo narrativo si ferma e fa posto a un sapere gnomico restituito attraverso la verbalità infinitiva o i tempi commentativi, attraverso una rapsodica transizione pronominale al you-narrative – nella sua forma più banale di apostrofe a un tu impersonale28 –.
Quella del romanzo contemporaneo è un’istanza immersiva che, se spesso è adoperata ricorrendo al ventaglio consueto di transizioni focali fornite dalla situazione narrativa autoriale, alle volte si declina anche come tendenza a scivolamenti più bruschi e innaturali tra i livelli di realtà, di cui può essere un esempio già la funzione metalettica del deittico di spazio in questo passo di Infinite Jest (1996):
Here’s Hal Incandenza, age seventeen, with his little brass one-hitter, getting covertly high in the Enfield Tennis Academy’s underground Pump Room and exhaling palely into an industrial exhaust fan. It’s the sad little interval after afternoon matches and conditioning but before the Academy’s communal supper. Hal is by himself down here and nobody knows where he is or what he’s doing.
Hal likes to get high in secret, but a bigger secret is that he’s as attached to the secrecy as he is to getting high.
A one-hitter, sort of like a long FDR-type cigarette holder whose end is packed with a pinch of good dope, gets hot and is hard on the mouth – the brass ones especially – but one-hitters have the advantage of efficiency: every particle of ignited pot gets inhaled; there’s none of the incidental secondhand-type smoke from a party bowl’s big load, and Hal can take every iota way down deep and hold his breath forever, so that even his exhalations are no more than slightly pale and sick-sweet-smelling.
Total utilization of available resources = lack of publicly detectable waste.
The Academy’s tennis courts’ Lung’s Pump Room is underground and accessible only by tunnel. E.T.A. is abundantly, embranchingly tunnelled. This is by design29.
Indicando la presenza del personaggio al narratario, al destinatario del messaggio, e asserendo che Hal Incandenza è solo, proprio nel luogo da cui origina l’istanza narrativa («Hal is by himself down here»), il narratore provoca la frizione fra il suo livello di enunciazione e il mondo narrato e, contestualmente e conseguentemente, rivendica la sua autorità conoscitiva. Essa esorbita poi in una lunga, straniante sezione argomentativa su pregi e difetti del cilum di ottone rovente, il cui esito teoretico, al netto delle implicazioni empatiche della evocata certezza del dolore, è formalizzato in un’equazione matematica in cui si scontrano con violenza materia trattata e registro adottato («Total utilization of available resources = lack of publicly detectable waste»). Come questo stesso passo dimostra, è da menzionare, tra le dominanti formali isolabili nel contemporaneo, la pervasività della narrazione simultanea, al presente, che tende a tecnicizzarsi come dispositivo ordinario e non più trasgressivo30.
Queste strutture possono avere implicazioni paradossali in termini di frizioni tra i livelli di realtà del mondo finzionale, ad esempio quando, nell’ambito di un certo grado di onniscienza, alla ormai onnipervasiva narrazione simultanea si stratificano complessità relative alla voce che media i contenuti del mondo narrato. In questo passo della Gemella H (2014) di Giorgio Falco, in cui a narrare è Hilde stessa, si coagulano tutte le dominanti formali a cui abbiamo fatto riferimento:
L’ascensore continua la sua discesa verso il piano terra, emette rauchi assestamenti. Cosa sta facendo Hilde della sua vita? Di cosa ti occupi, di bello? Sì, ma di preciso? Glielo chiedono da oltre un decennio a Milano, sono le domande autunnali e invernali, quando Hilde si coccola pigra nel fuori stagione e perde ancora ore insieme agli altri, al posto di defilarsi, per sprecare il tempo da sola. Potrebbe fare ogni cosa per avere una vita propria, distante dalla famiglia, inventarsi un nome anglofono, aprire una ditta redditizia, una international qualsiasi, affiggere la targa dorata nella traversa di corso Vittorio Emanuele a Milano, firmare contratti, telefonare al commercialista amico, seccarsi di tutto questo per unirsi a qualche gruppo rivoluzionario, cospirare contro l’indecenza dell’esistente, preparare comunicati con una macchina dall’inchiostro impastato in una lingua aliena. Forse dovrebbe davvero rassegnarsi, vivere appartata, agire per la difesa di cose dimenticate dal mondo, la difesa dei capitelli, dei rosoni. Vive circondata da libri, sottolinea frasi che la incoraggiano, lo vedi, Hilde, si ripete, non sei sola, qualcun altro ha pensato con più precisione le tue stesse idee, sei pronta a qualcosa di personale, un libro di Hilde Hinner, il problema non è incominciare, è sistemare gli spunti appena abbozzati, che le affollano la mente quando pulisce le camere dell’albergo31.
Una evenemenziale conversazione in ascensore in cui Hilde è interrogata – con mimesi libera del discorso diretto – sulla sua realizzazione personale, suscita un flusso ipotetico che la proietta nel futuro, chiamando in causa tutto lo spettro etico possibile, dall’idea della sostituzione onomastica a quella dell’iniziativa imprenditoriale e alle sue attività burocratiche, enunciate in enumerazione quasi caotica, fino poi alla prospettiva della radicalizzazione sovversiva. Quando la verbalità condizionale prospetta poi azioni più plausibili e di nuovo superflue, nel loro appartenere allo spazio dell’estetico («la difesa dei capitelli, dei rosoni»), la Hilde circondata dai libri, tramite il narratore, apostrofa sé stessa col tu, ma i suoi pensieri transitano di nuovo alla situazione pronominale di terza persona proprio quando sono trascinati verso l’ambiguità dell’identificazione vocale («il problema non è incominciare, è sistemare gli spunti appena abbozzati, che le affollano la mente […]»). La voce che si fa carico di mediare il mondo narrato assume la prerogativa di muoversi nei livelli di realtà del testo con l’agilità dell’onniscienza ed è straniata da brusche deviazioni. Il passo assume senso ulteriore per dinamica macrotestuale: La gemella H comprende infatti una prima ampia sezione in cui la situazione narrativa autoriale si ibrida con quella di un narratore interno in prima persona, in cui la Hilde auctor media l’agens di sé stessa ma con il ricorso a espedienti di onniscienza, facendo cortocircuitare la verosimiglianza dell’enunciazione e producendo la situazione sincretica dell’onniscienza omodiegetica32.
A partire da tre campioni, di certo non esaustivi, di un possibile canone del terzo millennio, possiamo isolare alcune dominanti che inglobano simultaneamente più livelli della struttura narrativa, quelli di modo, voce e tempo. È possibile allora assumere su un piano più generale queste dominanti come specificità formali del romanzo contemporaneo? Che rapporto intrattengono con la tradizione delle convenzioni formali novecentesche? I narratori onniscienti contemporanei manipolano autoriflessivamente delle convenzioni esistenti, come ad esempio quelle della rappresentazione della vita interiore. Paul Dawson ha collocato l’emergere di nuove modalità di onniscienza nel contesto di una trasformazione della funzione sociale del ceto intellettuale occidentale33. Nel sistema della spettacolarizzazione estetica dei processi socio-culturali34, la voce intellettuale tende ad essere inglobata nelle maglie di un infotainment le cui performance retoriche proiettano fantasmaticamente, nello spazio dell’estetico, una funzione sociale perduta. La struttura del mondo di oggi, se non altro in senso materialistico, come struttura di un capitalismo medio-avanzato, è in parte quella di ieri, ma più accelerata, diffusa, radicata, espansa. Il romanzo modernista esprimeva un’istanza di rappresentazione dell’interiorità, attraverso l’elaborazione tecnica di giochi prospettici come l’indiretto libero e l’allentamento dei nessi logico-sintattici tra mondo della narrazione e del narrato, come nel monologo interiore. Il romanzo contemporaneo conserva la memoria di quell’istanza come memoria delle sue forme, sedimentate nella cassetta degli attrezzi di un’industria che richiede l’esibizione di un repertorio virtuosistico, mediato dalle expertises di consulenti ed editor. Le nuove sollecitazioni che il mondo muove allo spazio estetico non riguardano tanto la frizione fra una voce esteriore del soggetto e delle voci interiori che scalpitano per emergere, per rendersi trasparenti, bensì quella fra voci reali e massmediali, in un regime mediale imposto come regime egemonico sul piano ideologico e, in ultima istanza, epistemologico. La voce del romanzo tenta immaginativamente di regolarne, mimandola, l’invasività della performance retorica ed etica.
3. Eteronomia/autonomia: su alcuni problemi di genesi storica della forma
In un libro recente sulle modalità di canonizzazione del Novecento e nel Novecento letterario italiano, Isotta Piazza ha scritto:
Un’altra semplificazione da evitare è quella che oppone le logiche di produzione eteronome alle logiche di produzione autonome: non solo, infatti, l’opera prodotta in un campo letterario di assoluta autonomia è fenomeno sempre più raro e difficile da fare emergere nello scenario attuale, ma esso non può essere di per sé eretto a paradigma dirimente del giudizio estetico35.
Tale affermazione può definire un cambio di prospettiva non poco radicale e potenzialmente decisivo ai fini di una storicizzazione delle forme dell’estremo contemporaneo. Ma prima di capirne il perché, è necessario stabilire che la possibilità di un approccio storicistico alla contemporaneità letteraria effettivamente sussista, seppur in forma interrogativa, e quale sia la via migliore per applicarla. La risposta più immediata – quasi autoevidente, dovendo occuparci di morfologia, di produzione di forme testuali – è che, in un discorso del genere, risulta difficile ignorare che tale produzione avvenga in un contesto reso composito dall’immissione di tensioni divergenti derivanti dalle istituzioni letterarie, politiche ed economiche che lo affollano e che la posizione sociologica occupata dalla letteratura all’interno di questo abbia un ruolo decisivo sulla componente formale dei testi letterari, generati nelle condizioni imposte da un determinato campo letterario36. Se il compito è quello di storicizzare la morfologia dell’opera letteraria contemporanea, e si può ragionevolmente ammettere che storicizzare voglia significare comprendere i rapporti che l’opera d’arte intesse con il substrato storico e sociale che la sottende, allora la precondizione necessaria a parlare delle forme testuali delle ultime tre decadi, non può che essere tracciare quali problematicità intercorrono tra la struttura storica e la sovrastruttura artistica. Ammesso ciò, la materia dell’indagine che qui si propone, a questo punto, diventa necessariamente una: individuare a quanti e quali livelli il campo letterario e le sue istituzioni modificano e determinano la forma letteraria.
Qui, allora, risulta opportuno riallacciarsi alla suggestione lanciata da Piazza che, a ben vedere, rompe un paradigma specificatamente novecentesco, ovvero quello dell’interpretazione del fatto letterario in quanto prodotto autonomo. Tale interpretazione era, certo, derivata da una prospettiva di stampo marcatamente strutturalista, retaggio della probabilmente superata temperie del moderno, ma comunque caratterizzante del secolo in questione, tanto che ancora nel 1992, pur introducendo una lettura complessa e relazionale del prodotto letterario, Pierre Bourdieu può tracciare con chiarezza la genesi di quest’autonomia artistica e pensarla sotto forma di progettualità, di strategia esplicita dei produttori d’arte, volta all’accumulo di capitale. La cosa interessante, però, è che, già nel post scriptum dell’opera del pensatore francese, l’autonomia di cui si è parlato con precisione ed acribia per svariate centinaia di pagine viene considerata profondamente minacciata dalla conformazione sociologica assunta dal presente:
Non credo di ricadere in una visione apocalittica dello stato del campo di produzione culturale nei diversi paesi europei sostenendo che quest’autonomia è estremamente minacciata o, più precisamente, che minacce di un tipo nuovo gravano oggi sul suo funzionamento; e che gli artisti, gli scrittori e gli scienziati sono sempre più esclusi dal dibattito pubblico, a un tempo perché essi sono meno inclini a intervenirvi e perché la possibilità di intervenirvi efficacemente viene loro sempre meno offerta37.
Ciò che dice Piazza38, in un testo che segue di trent’anni Le regole dell’arte, allora può effettivamente acquisire un significato decisivo, paventando, ma in un certo senso anche documentando, la definitiva impossibilità di poter considerare il prodotto letterario qualcosa di irrelato rispetto alle leggi che governano la storia, e che indubbiamente oggi coincidono con le strutture di senso imposte dal «campo ideologico»39 del realismo capitalista40 descritto da Mark Fisher. Se, quindi, si accetta che non è possibile pensare nulla, men che meno la produzione culturale, al di fuori delle logiche che regolano il funzionamento del mondo economico, politico e, in ultima istanza, sociale, bisognerà prendere atto della delocalizzazione che la letteratura ha subito all’interno del campo dei discorsi su e dell’epoca attuale. Come dice Federico Bertoni, infatti:
da cuore e vertice del sistema la letteratura diventa […] una delle tante componenti di uno sterminato discorso sulla cultura […] interagisce con altri saperi, arti, codici, mezzi espressivi; entra in nuove dinamiche di ricezione determinate da grandi fenomeni socioeconomici – alfabetizzazione di massa, scomparsa delle élite, aumento della produzione, sviluppo tecnologico, crescita illimitata dei consumi di merci e esperienze culturali, che […] tendono a diventare indistinguibili41.
La letteratura, dunque, si trova a dover concorrere, per la prima volta in maniera così netta, con agenti non totalmente pertinenti al proprio campo, presupponendo ovviamente che dinamiche antecedenti alla nascita di una certa tipologia di capitalismo e alla struttura del campo delineata da Bourdieu vadano trattate con altre categorie. A ben vedere, in realtà, ciò a cui sembra di assistere è una vera e propria sovrapposizione tra più campi la cui scindibilità non è più così scontata e che, di conseguenza, vedono le proprie leggi autonome intersecarsi, in un sistema contraddistinto da un’eteronomia pressoché diffusa: quello dell’economia, della politica, delle comunicazioni e, infine, quello della produzione culturale.
Data la situazione fin qui delineata, sembra lecito domandarsi se sia possibile individuare quali spinte gravitino attorno alla letteratura e da quale parte arrivino, se siano interne o esterne: da un lato, cioè, quale sia l’ingerenza delle funzioni eteronome sullo specifico formale della letteratura – come un certo assetto assunto dal sistema dei poteri e delle istituzioni che agiscono sull’arte letteraria ne modifichi le soluzioni adottate –, dall’altro invece, se esistono alcune risposte specifiche attribuibili alle modalità con cui il prodotto letterario, e i suoi produttori, si adattano al sistema in cui sono immersi.
Ovviamente, le risposte a tale quesito, in questa fase, non possono che essere segnali indicativi, ipotesi di lavoro, prospettive possibili, senza alcuna pretesa di assertività. Ma si possono sicuramente individuare diversi livelli della vita e della composizione di un testo letterario presso i quali si manifestano alcune dinamiche che hanno a che fare con il motivo della nostra indagine.
In primo luogo, e in maniera abbastanza intuitiva, bisogna domandarsi come l’inserimento dell’opera letteraria in un circuito commerciale ne influenzi le caratteristiche formali: «l’editoria rappresenta il luogo principe in cui l’extra-estetico si mescola indissolubilmente all’estetico, proprio per consentirgli di assumere presenza sociale e quindi esplicare la sua funzione, manifestando il suo valore»42. Secondo Spinazzola, allora, l’industria editoriale rappresenta oggi un’istituzione del campo letterario così centrale e carica di capitale tanto economico, quanto, nonostante tutto, simbolico, che è impossibile da ignorare ai fini dell’interpretazione di testi contemporanei. Non solo poiché, com’è facile immaginare, le logiche eteronome che sottendono la circolazione di un libro ne possono determinare la canonizzazione – specie quando il testo è coinvolto congiuntamente in operazioni di tipo commerciale e maggiormente specialistico – offrendolo o meno alla disponibilità di un ampio numero di lettori43, ma soprattutto perché ormai è in questa congiuntura tra meccanismi produttivi eteronomi ed autonomi che sembra realizzarsi l’effettiva immissione di un testo in un contesto e la conseguente realizzazione della sua funzione o la manifestazione del suo valore letterario.
In virtù di ciò, si può supporre che la posizione assunta da un testo, e ovviamente dal proprio autore, determini alcune soluzioni formali? Già, ad esempio, la semplice adozione di registri che incrocino, senza aderirvi pienamente, le logiche del mainstream, può essere considerato un fatto formale di fondamentale interesse, non solo nell’ottica della generale ridefinizione dei modelli cominciata con l’avvento del postmodernismo44 ma in quanto strategia, più o meno avvertita, finalizzata a proporre una letteratura che dialoghi con la tradizione pur avendo una larga circolazione, crepando così il sistema consumistico, senza sottrarvisi, ma cercando piuttosto di attraversarlo. Si pensi all’operazione compiuta dal collettivo Wu Ming con il New Italian Epic – che, nell’ambito della narrativa contemporanea costituisce non solo una delle ultime proposte normative, ma anche, forse, l’ultimo vero e proprio manifesto di poetica capace di generare dibattito critico e autoriale – al cui interno si può leggere:
Le opere nie stanno nel popular, lavorano con il popular. I loro autori tentano approcci azzardati, forzano regole, ma stanno dentro il popular e per giunta con convinzione, senza snobismi, senza il bisogno di giustificarsi di fronte ai loro colleghi «dabbene». Per questo nella mia «catalogazione» del nie sono assenti opere che in inglese definiremmo highbrowed, scritte con pretese di superiorità, intrise di disprezzo per le espressioni culturali più «plebee». Opere, insomma, che conferiscono status, i cui autori (e lettori!) puntano alla letteratura «alta», a «elevarsi» fino a essere accettati in qualche parnaso di stronzi […] romanzi di cui sto parlando hanno (o almeno cercano) un’efficacia di primo acchito, sono leggibili e godibili anche senza decrittarne ogni aspetto, riconoscerne ogni citazione, rilevarne ogni arditezza stilistica o tematica. C’è un «primo livello» di fruizione, dove si affronta l’opera come un tutto. È l’avvio del rapporto autore-lettore, l’inizio della liturgia. Solo dopo aver goduto dell’opera in questo modo (ed è un «dopo» causale, non strettamente temporale) è possibile prestare attenzione ai dettagli. I dettagli hanno senso perché c’è il tutto. La sperimentazione avviene nel popular45.
In questo senso, perseguire una vocazione popular, intesa come dimensione pertinente a prodotti culturali che hanno largamente influenzato la propria epoca, più che propriamente mainstream – dal momento in cui «viviamo in un mondo di infinite nicchie e sottogeneri»46 – se fatta in maniera consapevole, se supportata da una poetica strutturata (una specifica visione o concezione del mondo che si esplica tramite determinate strategie formali), può risultare un’operazione in grado di ricostruire una certa funzione comunicativa dell’opera letteraria, capace di concorrere con la comunicazione della mass culture, soprattutto se la si definisce non come cultura di massa, ma piuttosto come “cultura mediata dai media”.
Il recupero di tale dimensione comunicativa – associata al sistema di riferimento in cui oggi la cultura circola, immersa in un tessuto mediatico che ne indirizza la circolazione e, contemporaneamente, la espone costantemente al confronto con l’opinione pubblica, generando la necessità di una continua contrattazione tra i produttori e i fruitori, cioè chi scrive e chi legge – comporta, quindi, un’ulteriore questione: quella della (auto)censura47. Trovandosi immersi in un contesto che prevede, come presupposto fondamentale alla valorizzazione48 del testo, la sua circolazione in un circuito più o meno ampio a seconda dei casi, è lecito immaginare che il lavoro degli scrittori, e di conseguenza la sua espressione in forma di morfologia testuale, tenga non poco conto dell’ipotetica ricezione del testo, la quale, oggi, se da un lato è inevitabilmente preceduta dal placet degli editor, o quantomeno dalle indicazioni che questi forniscono agli autori, dall’altro si costituisce non solo come meccanismo capace di valutare e validare il testo, ma soprattutto come elemento all’interno del quale esso assume una propria esistenza e presenza storica. È possibile ipotizzare, dunque, che, pur in assenza di effettivi organi censori, il confronto con l’apparato editoriale, che molto spesso agisce in base a meccanismi di «precorporazione»49 volti a tagliare il prodotto su fette di pubblico considerate interessate ad esso, imponga varie forme di censura non strutturata ma comunque capace di influenzare la forma del testo. Allo stesso tempo, non si può escludere che la consapevolezza dell’esposizione ad un pubblico, variamente composto e impossibile da circoscrivere, comporti altrettanti meccanismi di autocensura da parte dell’autore stesso.
Un ulteriore problema riguarda poi la questione del genere letterario all’interno del circuito editoriale e mediatico. In virtù di ciò che si è discusso fin qui e dell’attenzione data da alcuni studiosi – primo tra tutti lo stesso Spinazzola – alla cosiddetta “narrativa di genere”, sembra quasi scontato ormai parlare del genere letterario come veicolo capace di garantire una circolazione ampia di idee e concetti che autonomamente non l’avrebbero, nell’ambito di quella commistione, divenuta ormai quasi proverbiale dalla postmodernità in poi, tra cultura alta e bassa (due etichette, tra l’altro, che, al giorno d’oggi, andrebbero quantomeno ripensate in maniera più problematica). Per questo motivo, dirimente potrebbe essere studiare i meccanismi che s’instaurano nel momento in cui, grazie ad un libro in particolare o per altri motivi, un determinato genere diventa egemonico, comportando degli effetti all’interno della produzione successiva. In questo senso, la ricostruzione dell’ipotetica influenza di Gomorra (2006) di Roberto Saviano sulla genesi di Resistere non serve a niente (2012) di Walter Siti, compiuta da Simonetti in Caccia allo Strega (2023) può costituire un caso emblematico50. Siti, infatti, nel 2021 (cioè, nove anni dopo l’uscita del testo in questione) scrive il pamphlet Contro l’impegno, di cui Saviano risulta il principale bersaglio polemico. Ma, nonostante ciò, secondo Simonetti egli sarebbe stato condizionato dal successo critico e commerciale del libro dell’autore campano, nella stesura di un’opera come Resistere non serve a niente che, effettivamente, discostandosi dall’autofinzionalità tipica delle precedenti e avvicinandosi molto di più ad una declinazione “crime” della non fiction – di cui Gomorra è ormai da considerarsi l’esempio italiano più illustre – si aggiudica il Premio Strega, nonché un notevole successo presso il pubblico generalista. Se una dinamica di questo tipo può essere verificata, allora, viene da sé che il problema non può essere sottovalutato.
Infine, vale la pena soffermarsi su una questione, che seppur accennata, in un futuro sviluppo del lavoro potrebbe costituirne uno degli obiettivi di ricerca più interessanti. Finora, infatti, si è posto l’accento su questioni di genesi storica della forma che stanno a priori del testo a diversi livelli che possiamo considerare ragionevolmente progressivi: l’intenzione autoriale di porsi in una certa maniera rispetto alla tradizione, ai modelli, al pubblico e al mercato; i meccanismi di censura, le cose che un autore sente di poter dire o non dire (e quindi le strategie formali che ne derivano); il genere adoperato e le implicazioni che tale scelta comporta. Se si volesse stringere la lente ancor di più, il livello di analisi più profondo a cui giungere potrebbe essere quello della “tecnica”, cioè un’unità microscopica della forma, il vero e proprio strumento morfologico. Benjamin, infatti, definisce il concetto di “tecnica” in questo modo:
Il campo della tecnica poetica segna il confine tra uno strato superiore, scoperto, e uno strato più profondo e nascosto dell’opera. Ciò che il poeta possiede come tecnica […] tocca bensì gli elementi reali del contenuto, ma segna anche il confine verso il loro contenuto di verità, che non può essere pienamente consapevole né al poeta né alla critica dei suoi tempi […] per il poeta, la rappresentazione dei contenuti reali è l’enigma di cui deve cercare soluzione nella tecnica51.
Per il pensatore tedesco, quindi, la “tecnica poetica” costituirebbe una cerniera tra il fatto testuale e la condizione reale in cui l’opera si genera, rispetto alla quale l’autore si configura come catalizzatore dell’emersione di una sorta di inconscio storico, ovvero di alcune questioni di matrice contestuale, che vengono problematizzate dalla riflessione autoriale sul mondo e che trovano, se non una risposta, quantomeno una sintesi, un’organicità, nella soluzione formale. Senza offrire alcuno scioglimento del fatto e risparmiando, almeno in questa fase, esemplificazioni probanti – in consonanza con la natura puramente interrogativa di questo scritto, la cui utilità sarebbe piuttosto quella di porre l’accento su una serie di problemi teorici da tenere in conto, e a cui è necessario fornire una risposta metodica, oltre che metodologica – la suggestione conclusiva che si vuole proporre è che lo scopo finale di uno studio della consistenza morfologica dei testi, della “cassetta degli attrezzi” a cui attingono le scritture romanzesche contemporanee, non possa che passare dall’individuazione, all’interno dell’opera letteraria, di una componente critica e problematizzante rispetto alle strutture di senso egemoni nella contemporaneità. È lecito pensare, dunque, che tale componente si ripercuota nella morphé producendo innovazioni di carattere formale ed evidenziando l’emersione di un’istanza ideologica storicamente e sociologicamente determinata che si esplicita attraverso lo specifico del letterario: cioè, il linguaggio e un certo modo di utilizzarlo.
4. Fuoco sul lettore. La lente del romanzo sul lettore contemporaneo
Gli approcci cognitivi alla letteratura hanno seguito questa tradizione, in gran parte per deferenza verso le convenzioni dominanti negli studi letterari. Tuttavia, i modelli cognitivi sono molto meno compatibili con le pratiche interpretative rispetto ai programmi poststrutturalisti che li hanno preceduti: da un lato, l’interpretazione mina la scientificità dei modelli cognitivi, poiché ogni lettura che usa la scienza cognitiva come base (LISC) si trova su un piano di parità con le altre letture (OAL). D’altra parte, alcune delle linee di ricerca più promettenti negli studi letterari cognitivi – quelli che ho chiamato gli approcci ‘processuali’ e approcci ‘funzionali’ – sembrano rinunciare all’interpretazione come principale focus della ricerca52.
Chiedersi con quale lente il romanzo contemporaneo guarda il lettore ed eventualmente dialoga con esso non può prescindere dall’interrogarsi su come la critica letteraria ha integrato il lettore nell’interpretazione, nella teoria del testo e negli studi letterari in generale. Le parole di Marco Caracciolo suggeriscono una presa di coscienza: fare distinzione tra le metodologie che integrano l’universo del lettore – in maniera ‘forte’ o ‘debole’ – nei propri programmi interpretativi. È possibile studiare la lettura integrando nell’interpretazione la scientificità delle ipotesi psicologiche, cognitive o neuroscientifiche? La quaestio sollevata da Caracciolo è mossa da una particolare urgenza perché la funzione delle scienze cognitive «all’interno degli studi letterari cognitivi non è stata affrontata a sufficienza»53. Ripercorrere le argomentazioni di Caracciolo può aiutare a individuare una direzione proficua per considerare l’esperienza di lettura all’interno della critica letteraria.
Prima, però, vale la pena spendere qualche riga, sicuramente non esaustiva, sullo scenario di fruizione del lettore contemporaneo. Ciò introduce al problema: quali fenomeni considerare se si vuole comprendere il modo in cui il romanzo si relaziona al lettore contemporaneo54? Si è già discusso nell’arco di queste pagine come il soggetto contemporaneo sia tendenzialmente abituato a gravitare in un universo di fruizione mediale plurimo e ininterrotto, performativo, pervaso dallo storytelling55, altamente interattivo56, perennemente on-line. L’eterogeneità, la brevità, la frammentarietà e la valanga di contenuti rischiano di saturare la capacità esperienziale del soggetto e ostacolare le pratiche di ricezione e produzione della conoscenza. Cosa ne è dell’esperienza estetica?
Ricardo Piglia aveva elaborato una risposta oracolare a questa squillante domanda in un ciclo di seminari, nel 1995, dedicati alla nouvelle di Juan Carlos Onetti. Piglia rifletteva sulla relazione tra esperienza estetica, esperienza vissuta e funzionamento mediale agli albori della svolta digitale. In modo profetico, leggeva il funzionamento mediale contemporaneo come qualcosa che non ha fine e che «non sembra privilegiare mai i concetti di senso e di significato, bensì quello di speculazione», così i sistemi informativi sono «costruit[i] in modo da collocare il soggetto nella situazione passiva di destinatario»57 che non assimila le informazioni, e fatica a trasformarle in esperienza58. La riflessione si fa cogente riprendendo un’affermazione di Norman Mailer secondo cui «soltanto i lettori segnati dall’esperienza potranno leggere i suoi romanzi e provare l’emozione che l’autore racconta»59. L’esperienza è propedeutica perché soltanto quando assimila ciò che esperisce può contribuire alla fruizione estetica delle opere letterarie. Dall’informazione, all’esperienza personale fino all’esperienza del testo letterario, la domanda può essere riformulata: cosa ne resta dell’esperienza estetica se l’esperienza personale è intaccata?
Su simili interrogativi si è speso Pietro Montani in Tecnologie della sensibilità, anche se in merito a un tipo di esperienza non strettamente letteraria e ragionando sulle condizioni che le arti devono rispettare per unire «protesi tecniche»60 e digitali al fine di ottenere esperienze estetiche. Riflettendo sulla «producibilità tecnica delle immagini»61 nei sistemi mediali si scorgono due vettori che minacciano l’esteticità delle esperienze. L’ipermedialità, caratterizzata dall’uso eccessivamente sensazionale dell’immagine, provoca «totale indifferenza per ogni sua possibile prestazione critica ed elaborativa»; l’ipomedialità, caratterizzata dall’uso intensivo dei social network per riversare frammenti di narrazioni audiovisive, schematizza la realtà e abitua a fruire «ogni realtà, come l’effetto di un’esperienza semplificata»62. Ipo e iper medialità traumatizzano l’esperienza con eventi an-estetici e atrofici e possono causare un «prosciugamento dei processi – emotivi e cognitivi – che [di norma] differenziano la percezione dalla sensazione, le esperienze autentiche da quelle contratte e irrigidite»63. Affondo lucido e critico, quello di Montani, sull’attacco che i sistemi mediali di fruizione possono assestare all’esteticità dell’esperienza.
Le riflessioni riportate delineano alcune delle caratteristiche del contesto di fruizione potenziale in cui il romanzo contemporaneo si muove. È cruciale, dunque, domandarsi se, in questo contesto, l’esperienza che il romanzo suscita nel lettore contemporaneo sia effettivamente un’esperienza estetica.
Lo studio dell’esperienza di lettura, nell’arco della storia della critica letteraria, è stato direzionato dall’ambizione di qualificare l’interpretazione – affetta da soggettività64 – con un’iniezione di oggettività equivalente a quella richiesta dalle scienze dure. Fin da L’atto della lettura. Una teoria della risposta estetica di Wolfgang Iser, si può ravvisare un’istanza oppositiva e di scardinamento dell’ermeneutica tradizionale, dell’interpretazione impressionistica o ideologica65: «il nostro interesse primario non può più essere il significato di quel testo (il cavalluccio di legno cavalcato dai critici di una volta) ma il suo effetto [corsivi miei]»66. Iser costruisce una scienza dell’interpretazione del testo imperniata sul riconoscimento della struttura testuale che, condivisa intersoggettivamente, genera diverse interpretazioni semantiche67. È possibile che lo studio semiotico riesca a spiegare, come sostenuto da Eco, «per quali ragioni strutturali il testo possa produrre quelle (o altre alternative) interpretazioni semantiche»68? È possibile svincolare totalmente l’interpretazione semiotica dalla struttura circolare che la lega all’atto di lettura individuale del critico69? O anche l’interpretazione semiotica è soggetta a tale circolarità? Il sogno di una scienza interpretativa della lettura è andato in frantumi?
Pierre Bourdieu ha osservato che i vetri rotti del progetto scientifico di interpretazione della lettura non hanno tardato a manifestarsi perché fondati su
un’analisi di tipo fenomenologico di un’esperienza vissuta di lettore colto, esse si condannano a trarre da tale norma fatta persona delle tesi ingenuamente normative. Che lo si battezzi “lettore implicito” con la teoria della ricezione (e Wolfgang Iser), “arcilettore” con Michael Riffaterre o “lettore informato” con Stanley Fish, il lettore di cui parla realmente l’analisi – per esempio, con la descrizione dell’esperienza della lettura come ritensione e protensione in Wolfgang Iser – non è altro che il teorico stesso che, seguendo in ciò una tendenza molto comune presso il lector, assume come oggetto la sua propria esperienza, non analizzata sociologicamente, di lettore colto. Non c’è bisogno di spingere molto lontano l’osservazione empirica per scoprire che il lettore che richiedono le opere pure è il prodotto di condizioni sociali d’eccezione le quali riproducono (mutatis mutandis) le condizioni sociali della loro produzione (in tal senso, l’autore e il lettore legittimo sono intercambiabili)70.
Nel paragrafo intitolato Le condizioni della lettura pura (questa paradossale metodologia) Bourdieu contesta a Iser, e ad altri teorici della ricezione, l’aver costruito modelli per lo studio della lettura, presuntamente intersoggettivi, oggettivati, e in verità basati sull’esperienza di lettori e interpreti colti, per questo puri, cioè epurati dal contesto sociologico della lettura reale: «soltanto una critica sociologica della lettura pura […] può permettere di rompere con i presupposti che essa assume tacitamente»71. Assecondare il suggerimento di Bourdieu non necessariamente, però, porta a un’interpretazione semantica e marxista.
Esaminare come le caratteristiche stilistiche, formali e contenutistiche interagiscono con l’esteticità dell’esperienza letteraria può costituire il fuoco di una forma di scienza letteraria che utilizza ipotesi e paradigmi delle scienze cognitive e prova a non discostarsi da validità intersoggettiva. Per chiarire quest’ultima affermazione occorre ritornare alla sequenza con cui si è aperto questo paragrafo.
Caracciolo difende due tesi volte a mostrare come una lettura informata dalle scienze cognitive («LISC») non possa essere ritenuta più valida soltanto perché costruita con ipotesi scientifico-cognitive72. Ogni lettura «LISC» è un’interpretazione costruita dall’esperienza del critico e per questo da essa non separabile. Dunque, sostenere un tipo di lettura informata dalle scienze cognitive soltanto in ragione di una possibile validità scientifica sarebbe improprio. Come integrare, allora, l’esperienza di lettura nello studio del testo letterario? Si può adottare uno studio della lettura che non si imbatta nel rischio di una ‘lettura pura’ né indebolisca i metodi interpretativi con obiettivi di validità scientifica? Se si riafferrano le conclusioni di Caracciolo si può ripercorrere una direzione letteraria di studio della lettura che non è più valida, a priori, dell’interpretazione ma diversamente valida, appunto, se basata su un suo sacrificio parziale: «[il] dialogo a due vie è possibile, ma deve basarsi su qualcosa di più della sola pratica dell’interpretazione letteraria. […] gli studi letterari devono integrare […] l’interpretazione con un altro insieme di obiettivi e metodi»73. Così la convergenza della coppia interpretazione-lettura sembra euclidea: sovrapponibile soltanto all’infinito evoca l’antitesi tra il procedere microscopico dell’interpretazione e lo sguardo macroscopico della spiegazione quantitativa74. La stessa dicotomia spingeva Franco Moretti a imprimere, in una sintesi, la distanza, forse non sanabile, tra close e distant reading:
l’interpretazione trasforma tutto ciò che tocca: “questo, significa quello”. Un assoluto rispetto per i dati è il punto d’onore del lavoro quantitativo. Sono impulsi antitetici. Dioniso, Apollo. Si pensi a come lavorano sulla forma. L’interpretazione si muove tra la forma e il mondo, andando in cerca del significato storico delle opere; la quantificazione si muove tra forma e forma75.
In Falso movimento sembra prevalere, dopo un bilancio di venti anni di ricerche nel campo delle Digital Humanities, la sensazione che il rapporto tra interpretazione e spiegazione scientifica scorra su binari non integrabili, o alla meglio paralleli: o l’uno o l’altro, senza scampo. E forse, se l’obiettivo della ricerca letteraria è, nell’integrare il lettore, saldare indissolubilmente la via della spiegazione scientifica senza confronto con il contesto reale, allora il monito di Bourdieu presenterebbe il conto; così come non sarebbe appropriato solubilizzare le scienze cognitive nell’interpretazione, auspicando la scientificità del progetto. Ma dunque quali metodi e obiettivi rendono proficuo il sacrificio parziale dell’interpretazione?
Caracciolo conclude che «gli studi cognitivi letterari poss[o]no superare questa impasse metodologica» imboccando due strade rubricate come funzionali e processuali, entrambe sviluppano una relazione proficua tra studio della lettura e interpretazione. L’approccio funzionale non approfondisce l’esperienza dei lettori ma prova a illuminare «il modo in cui il rapporto con i testi letterari possa giocare un ruolo in processi psicologici più ampi» attraverso una prassi di feedback loop76 tra cognizione e cultura. L’approccio processuale, invece, riprende la via della teoresi sull’atto di lettura ma lo fa dialogando con i paradigmi e con i risultati della ricerca cognitiva e neuroscientifica corrente. Tra questi, alcuni filoni di ricerca accoppiano gli approdi cognitivi e neuroscientifici sulla lettura con concetti letterari ad alto tasso di formalizzazione77. Quest’ultimo tipo di legame tra studio della lettura e interpretazione può rivelarsi florido, purché non modifichi le attività dell’interpretazione ma ne consolidi attraverso una prassi empirica la validità astratta e sovra-soggettiva. E forse, un approccio alla lettura come questo seguirebbe un suggerimento simile a quello che Moretti proponeva riflettendo su come lo studio quantitativo della letteratura abbia «fuggito il confronto con la grande cultura estetica e scientifica del Novecento, preferendo l’assai più angusto perimetro della critica americana recente»78. Allo stesso modo, lo studio processuale dell’esperienza estetica potrebbe, sfruttando la validità di ipotesi cognitive sulla lettura, valutare e applicare i concetti della tradizione formalista. Ottenendo da un lato un dialogo proficuo perché teso a supportare la validità dell’interpretazione, attuando dall’altro una verifica su quanto l’astrazione delle forme sia appropriata a rappresentare qualcosa di storico, cioè a descrivere con quale lente il romanzo guarda il lettore contemporaneo, e dunque con quale esperienza di lettura il contemporaneo lo riceve.
- Questo working paper rappresenta un primo risultato delle ricerche sviluppate dal gruppo di Morfologia del contemporaneo all’interno dell’Osservatorio sul romanzo contemporaneo. Al netto di una condivisione generale delle argomentazioni proposte, il paragrafo 1 è stato redatto da Giuseppe Episcopo, il paragrafo 2 da Nicola De Rosa, il paragrafo 3 da Alberto Scialò, il paragrafo 4 da Naji Al Omleh. Oltre ai suddetti autori, hanno lavorato all’interno del gruppo Vincenzo De Rosa, Riccardo Gasperina Geroni, Sara Nocerino, Concetta Maria Pagliuca, Ernesto Radice, Giulia Renzi, Federica Tortora. Il gruppo si è inoltre giovato di riflessioni condivise con Giuliana Benvenuti, Paolo Giovannetti, Federica Pedriali, oltre che con Elisabetta Abignente e Francesco de Cristofaro, direttori del progetto. ↑
- G. Lukács, Saggi sul realismo, trad. it. di M. e A. Brelich, Torino, Einaudi, 1950, p. 11. ↑
- Ivi, p. 12. ↑
- Ivi, p. 15. ↑
- Si vedano i due importanti contributi di F. Vittorini sulla narrativa americana: Narrativa USA 1984-2014. Romanzi, film, graphic novel, serie tv, videogame e altro, Bologna, Pàtron, 2015; e Raccontare oggi. Metamodernismo tra narratologia, ermeneutica e intermedialità, Bologna, Pàtron, 2017. ↑
- M. Deseriis, I ragazzi dell’avant-pop tra rap e sesso estremo, in «la Repubblica», 1 maggio 1998. ↑
- Nel gennaio del 1997 le edizioni Shake Underground avevano pubblicato in Italia, con la traduzione di Giancarlo Carlotti e con buon successo, Avant-Pop. Racconti per una nazione che sogna a occhi aperti, l’antologia manifesto della nuova contro-cultura americana curato da Larry McCaffery. Il 1998 è invece l’anno in cui Fanucci fa uscire, accompagnato dalla postfazione di Mattia Caratello e Luca Briasco, il secondo volume curato da Larry McCaffery, Schegge d’America. Nuove avanguardie letterarie. «La cultura pop – scrive McCaffery nella introduzione – non solo ha soppiantato la natura e colonizzato lo spazio fisico praticamente di ogni paese del mondo, ma (fatto non meno importante) si è spinta persino a colonizzare quei territori interiori, soggettivi, che un tempo si ritenevano quasi inviolabili, come la memoria individuale, il desiderio sessuale, lo spazio dell’inconscio». L’antologia ospita anche due racconti di Vollman e Wallace. ↑
- Sul terzo numero di «Fleshout» del 1999, una nota di Lello Voce fa il punto sull’Avant-pop e riporta stralci dal manifesto di Mark Amerika. ↑
- J. Morrison, Contemporary Fiction, London-New York, Routledge, 2003, p. 7: «Accordingly, in contrast to older studies which attempt to provide a summative account of ‘the state of the novel’, the assumption of this book is that the range and variety of contemporary writing demands similar variation in critical approach». Anticipo qui nella sua interezza il passaggio da cui sono tratte le successive citazioni: «In chapter 1, the representation of history is explored, with reference to the multi-dimensional transitions of the post-war period and claims in the late twentieth century of the ‘End of History’ itself. Chapter 2 moves on to the connected question of time, and the variety of responses in contemporary fiction to the radical rethinking of time in the New Physics, in philosophy and elsewhere. Chapter 3 is concerned with the disciplining of the flesh, exploring the provocative ways in which genders and bodies are re-imagined in recent writing. Chapter 4 turns then to the problem of ‘race’, examining the roots of race-thinking, its train of atrocities, and the ways in which writers have dealt with the legacy of both» (ibidem). ↑
- J. Morrison, Contemporary Fiction, cit., p. 3. ↑
- L. Fiedler, Waiting for the End: The American Literary Scene from Hemingway to Baldwin, London, Cape, 1965, p. 170. ↑
- Ivi, p. 171. ↑
- Ivi, p. 177. ↑
- Th. Martin, The Contemporary Drift: Genre, Historicism, and the Problem of the Present, New York, Columbia University Press, 2017, p. 5. ↑
- [M. Hart, Th. Martin,] Author Theodore Martin and Series Editor Matt Hart Discuss «Contemporary Drift», in «Columbia University Press Blog», 25 luglio 2017, URL https://cupblog.org/2017/07/25/author-theodore-martin-and-series-editor-matt-hart-discuss-contemporary-drift/, consultato il 22 marzo 2024. ↑
- Th. Martin, The Contemporary Drift, cit., p. 7. ↑
- Ivi, p. 34. ↑
- Ivi, p. 37. ↑
- Ivi, p. 101. ↑
- Ivi, p. 166. ↑
- Cfr. ivi, p. 193. ↑
- Cfr. M. Weber, L’“oggettività” della scienza sociale e della politica sociale [1904], in Id., Il metodo delle scienze storico-sociali, Torino, Einaudi, 1958, p. 112: «il tipo ideale rappresenta un quadro concettuale il quale non è la realtà storica, e neppure la realtà “vera e propria”, ma tuttavia serve né più né meno come schema in cui la realtà deve essere sussunta come esempio; esso ha il significato di un puro concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico». ↑
- Cfr. M. Caracciolo, The Experientiality of Narrative. An Enactivist Approach, Berlin-Boston, de Gruyter, 2014. ↑
- M. Fludernik, G. Olson, Introduction, in Current Trends in Narratology, a cura di G. Olson, Berlin-New York, de Gruyter, 2011, p. 7. ↑
- È ciò che porta, ad esempio, Filippo Pennacchio a scrivere: «senza che il lettore mobiliti competenze extra-letterarie e transmediali, legate all’esperienza di altri media, di sistemi semiotici diversi da quello letterario, e segnatamente del cinema e della televisione, un romanzo come Infinite Jest risulterebbe forse non del tutto comprensibile» (F. Pennacchio, Il romanzo global. Uno studio narratologico, Milano, Biblion, 2018, p. 256). ↑
- La «situazione narrativa autoriale», contrapposta a quella «figurale», è in Stanzel determinata dalla postura demiurgica di un narratore che tiene le redini della diegesi e orchestra con disinvoltura la sua gamma di modalità, tra cui anche la possibilità di assumere la prospettiva «figurale» stessa. Stanzel ha il merito di descrivere il fenomeno utilizzando una tipizzazione più sintetica che analitica. Cfr. F.K. Stanzel, A Theory of Narrative [1979], a cura di C. Goedsche, prefazione di P. Hernadi, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, pp. 46-77; G. Genette, Figure III. Discorso del racconto [1972], trad. it. di L. Zecchi, Torino, Einaudi, 2006, pp. 237, 256. Sul ritorno all’onniscienza si veda P. Dawson, The Return of the Omniscient Narrator. Authorship and Authority in Twenty-First Century Fiction, Columbus, The Ohio State University Press, 2013, p. 166: «contemporary omniscient narrators draw attention to the narrating instance to rhetorically perform their narrative authority: mobilizing the function of narration via overt commentary and direct addresses to the reader; displaying the proleptic knowledge of history enabled by the spatio-temporal distance of the narrator from the storyworld; asserting their stylistic presence through metaphorical excess and linguistic control over characters’ thoughts; and offering synoptic wisdom through the display of polymathic knowledge in which nonliterary paradigms of knowledge (history, journalism, science) compete with the narrator’s conventional insight into the psychological interior of characters to explain “human nature”». Sul tema cfr. anche S. Ercolino, Il romanzo massimalista. Da L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon a 2666 di Roberto Bolaño, Milano, Bompiani, 2015, p. 163, che parla di un’«onniscienza per ricomposizione […], risultante della somma delle informazioni narrative vincolate da ciascuna delle focalizzazioni presenti nelle diverse unità in cui si articola la diegesi». ↑
- [“Il giorno dopo, quando si alzò, Espinoza trovò Pelletier seduto nella terrazza dell’hotel, con indosso un paio di bermuda e sandali di cuoio, intento a leggere l’ultima edizione dei giornali di Santa Teresa armato di un dizionario spagnolo-francese che probabilmente aveva acquistato quella stessa mattina. “Andiamo a far colazione in centro?” gli chiese Espinoza. “No,” disse Pelletier “basta con gli alcolici e con i piatti che mi rovinano lo stomaco. Voglio capire cos’è che succede in questa città”. Espinoza ricordò allora che durante la serata uno dei ragazzi aveva raccontato la storia delle donne assassinate. Ricordava soltanto che secondo il ragazzo erano più di duecento e che aveva dovuto ripeterlo due o tre volte, perché né lui né Pelletier credevano alle proprie orecchie. Non credere, tuttavia, pensò Espinoza, è un modo di esagerare. Uno vede qualcosa di bello e non crede ai suoi occhi. Ti raccontano qualcosa su… la bellezza naturale dell’Islanda… gente che fa il bagno in acque termali, fra i geyser, in realtà l’hai già visto in fotografia, ma dici lo stesso che non ci puoi credere… anche se evidentemente ci credi… Esagerare è una maniera di meravigliarsi con cortesia… Dai la possibilità al tuo interlocutore di dire: ma è vero… E allora dici: è incredibile. Prima non ci puoi credere e poi ti sembra incredibile”] R. Bolaño, 2666, Barcelona, Anagrama, 2004, p. 181; trad. it. a cura di I. Carmignani, Milano, Adelphi, 2009, pp. 157-158. ↑
- Sul problema attualissimo della narrazione alla seconda persona, sia singolare che plurale, si veda almeno M. Fludernik, The Category of ‘Person’ in Fiction: You and We Narrative-Multiplicity and Indeterminacy of Reference, in Current Trends in Narratology, cit., pp. 101-128. ↑
- [“Ecco Hal Incandenza, diciassette anni, farsi di nascosto con il suo piccolo cilum di ottone nella Sala pompe sotterranea dell’Enfield Tennis Academy, ed espirare fumo pallido in un aspiratore industriale. È il breve triste intervallo che sta tra le partite del pomeriggio, la ginnastica e la cena comune all’Accademia. Hal è solo quaggiù e nessuno sa dove sia o che cosa stia facendo. A Hal piace farsi in segreto, ma un segreto più segreto è che tiene alla segretezza tanto quanto al farsi. Il cilum, una specie di lungo bocchino in fondo al quale c’è un bel pezzetto di ottima roba, diventa molto caldo e fa male a tenerlo in bocca – quelli di ottone soprattutto – ma ha il vantaggio di essere efficiente: ogni particella d’erba rovente finisce per essere inalata; niente fumo di seconda mano come in genere accade con i megacarichi alle feste, e Hal può inspirare e mandar giù fino in fondo ogni iota e trattenere il fiato per sempre, per cui persino le sue esalazioni sono appena appena pallide e non hanno niente più che un odoraccio dolciastro. Utilizzazione totale delle risorse disponibili = assenza di rifiuti pubblicamente rintracciabili. La Sala Pompe del Polmone dei campi da tennis dell’Accademia è sotterranea e ci si arriva solo via tunnel. L’Eta è abbondantemente, avvolgentemente dotata di tunnel. È stata progettata così”] D. Foster Wallace, Infinite Jest. A novel (1996), foreword by D. Eggers, New York-Boston-London, Back Bay, 2006, p. 49; trad. it. Infinite Jest, a cura di E. Nesi et al., Torino, Einaudi, 2006, p. 58. ↑
- Per una morfologia storica della narrazione simultanea si veda R. Castellana, Finzione e convenzione: teoria e storia della narrazione simultanea, in Tempora, vol. I, Atti del Seminario Permanente di Narratologia, III edizione, Università IULM, Milano, 20-22 ottobre 2021, a cura di C.M. Pagliuca e F. Pennacchio, Milano, Biblion, 2023, pp. 69-88. ↑
- G. Falco, La gemella H, Torino, Einaudi, 2014, pp. 291-292. ↑
- Sull’onniscienza omodiegetica cfr. F. Pennacchio, «… And now I have to enter Father Mike’s head, I’m afraid». Parallessi, onniscienza omodiegetica e “io” autoriali nella narrativa contemporanea, parti I e II, in «Enthymema», X, 2014, pp. 94-124 e XII, 2015, pp. 440-473. In particolare, su La gemella H si veda Id., Le vite degli altri. Sulla Gemella H di Giorgio Falco, in Eccessi d’autore. Retoriche della voce nel romanzo italiano di oggi, Milano-Udine, Mimesis, 2020, pp. 141-159. ↑
- Cfr. ad esempio P. Dawson, The Return of the Omniscient Narrator, cit., p. 248: «the narrative voices of contemporary omniscience self-reflexively demonstrate an agonistic awareness of the diminished “universality” of authorial narration, drawing authority not from the novelist as observer of human nature and guide to ethical conduct, but from the writer as public intellectual both competing with and deploying other nonliterary discourses of “knowledge”: journalistic, historical, scientific, critical, and so on». ↑
- Cfr. G. Lipovetsky, J. Serroy, L’estetizzazione del mondo. Vivere nell’era del capitalismo artistico [2013], trad. it. di A. Inzerillo, prefazione di G. Puglisi, Palermo, Sellerio, 2017. ↑
- I. Piazza, «Canonici si diventa». Mediazione editoriale e canonizzazione nel e del Novecento, Palermo, Palumbo, 2022, p. 176. ↑
- Il riferimento è ovviamente a P. Bourdieu, Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario [1992], trad. it. di A. Boschetti e E. Bottaro, prefazione di A. Boschetti, Milano, Il Saggiatore, 2022. ↑
- Ivi, p. 433. ↑
- Che, pur rappresentando, in effetti, la prospettiva di questo tipo più aggiornata, non costituisce una novità assoluta, essendo già stata anticipata da diversi studi come, su tutti, quelli di Vittorio Spinazzola, il quale ha spesso insistito sulla necessità di un approccio eteronomo ad una letteratura che oggi è impossibile pensare se non in ottica relazionale e funzionale. «Sarebbe stato davvero troppo immaginare che tutto d’un tratto si facesse strada la consapevolezza della necessità di un coinvolgimento attivo nei meccanismi messi in moto dall’industrializzazione culturale, con il suo rilancio della letterarietà su orizzonti tanto più vasti che in passato. La boria dei dotti, nella fattispecie i critici, si è anzi sentita sfidata: guai ad arrendersi al principio secondo cui il mercato librario, ossia il sistema di rapporti intercorrente tra scrittori e lettori attraverso la mediazione economico-organizzativa dell’editoria, risponde a norme, leggi, codici più o meno elastici, ma comunque oggi meno che mai riconducibili ai desiderata, alle aspirazioni degli studiosi specializzati» (cfr. V. Spinazzola, Critica della lettura. Leggere, interpretare, commentare e valutare un libro, Firenze, goWare, 2018, p. 20). ↑
- M. Fisher, Il nostro desiderio è senza nome. Scritti politici, Roma, minimum fax, 2020, p. 77. ↑
- Il quale è definito dal pensatore britannico come «un’atmosfera che pervade e condiziona non solo la produzione culturale ma anche il modo in cui vengono regolati il lavoro e l’educazione, e che agisce come una specie di barriera invisibile che limita tanto il pensiero quanto l’azione» (cfr. Id., Realismo capitalista, Roma, Nero, 2018), sostanzialmente: l’impossibilità di pensarsi e di pensare al di fuori delle strutture di pensiero del capitalismo postfordista. ↑
- F. Bertoni, Letteratura. Teorie, metodi, strumenti, Roma, Carocci, 2018, p. 20. ↑
- V. Spinazzola, Critica della lettura, cit., p. 122. ↑
- «Insomma, nel panorama coevo la proposta sinergica di un autore nelle collane Oscar e Meridiani assume una funzione di canonizzazione che, per quanto discussa e discutibile possa sembrare, non ha concorrenti in altre istituzioni o interlocutori culturali» (cfr. I. Piazza, «Canonici si diventa», cit., p. 144). ↑
- Su questo, ad esempio, cfr. R. Donnarumma, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2014; G. Simonetti, La letteratura circostante. Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2018; B. Pischedda, Postmoderni di terza generazione, in V. Spinazzola (a cura di), Tirature ’98. Una modernità da raccontare: la narrativa italiana degli anni Novanta, Milano, Il Saggiatore, 1998, p. 44. ↑
- Wu Ming, New Italian Epic. Narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009, pp. 95-97. ↑
- Id., Prefazione, in H. Jenkins, Cultura convergente, Milano, Apogeo, 2007, pp. 7-8. ↑
- Tema che è stato argomento della riflessione di R. Donnarumma in un intervento proposto al convegno Forme dell’intervento pubblico nella narrativa italiana contemporanea, Pisa, 6-7 dicembre 2023, URL https://www.youtube.com/watch?v=qIv8A-cyvaY, min. 1:36:08-2:02:56, consultato il 15 aprile 2024. ↑
- Intesa alla maniera delineata ancora una volta da Spinazzola: «l’essenziale è accettare una premessa teorica fondamentale: al concetto di ‘valore’, con la sua carica di astrattezza ontologica, va sostituito quello di ‘valorizzazione’, che è indole eminentemente funzionale. L’estetica della creazione trova il suo adempimento necessario nell’estetica della ricezione; entrambe rimandano a un orizzonte di domande e offerte, attese e risposte sempre storicamente determinato. Su questo orizzonte il relativismo valutativo non annulla certo, ma attinge il grado più soddisfacente di attendibilità, nel rinviare ai criteri dell’oggettività sociale» (cfr. V. Spinazzola, Critica della lettura, cit., p. 64). ↑
- «Quello con cui ora abbiamo a che fare non è l’incorporazione di materiali che prima sembravano godere di un potenziale sovversivo, quanto la loro precorporazione: la programmazione e la modellazione preventiva, da parte della cultura capitalista, dei desideri, delle aspirazioni, delle speranze […] “alternativo e “indipendente” non denotano qualcosa di estraneo alla cultura ufficiale; sono semmai semplici stili interni al mainstream» (cfr. M. Fisher, Realismo capitalista, cit., p. 38). ↑
- Cfr. G. Simonetti, Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario, Milano, Nottetempo, 2023, pp. 85-98. ↑
- W. Benjamin, Le affinità elettive di Goethe, in Id., Opere complete, vol. I, Scritti 1906-1922, a cura di E. Ganni, Torino, Einaudi, 2008, p. 523. ↑
- M. Caracciolo, Gli studi letterari cognitivi e lo statuto dell’interpretazione: un tentativo di mappatura teorica [2017], trad. it. di C. Antonini e F. Ciotti, in La narrazione come incontro, a cura di F. Ciotti e C. Morabito, Firenze, Firenze University Press, 2022, p. 47. La linea di ricerca individuata da Caracciolo ha intrecciato gli studi di stampo formalista alla narratologia post-strutturalista e ai paradigmi concettuali delle scienze cognitive, si veda: Id., The Experientiality of Narrative, cit.; Id., Narrating the Mesh: Form and Story in the Anthropocene, Charlottesville, University of Virginia Press, 2021. ↑
- Id., Gli studi letterari cognitivi e lo statuto dell’interpretazione: un tentativo di mappatura teorica, cit., p. 37. La validità dei programmi interpretativi, ibridati da concetti e paradigmi delle scienze cognitive, è discussa a partire dall’obiezione centrale sull’impossibile coesistenza tra interpretazione e scienze cognitive di T.E. Jackson, “Literary Interpretation” and Cognitive Literary Studies, in «Poetics Today», XXIV, 2, 2003, pp. 191-205. ↑
- Per una tesi a sostegno degli effetti significativi che l’uso e/o abuso dei sistemi mediali produce sulle tradizionali pratiche di studio, lettura e interpretazione: cfr. A. Nardi, Il lettore “distratto”: leggere e comprendere nell’epoca degli schermi digitali, Firenze, Firenze University Press, 2022. ↑
- Molti hanno osservato che l’adozione dello storytelling come paradigma narrativo sia stato preceduto da un narrative turn, una svolta che ha investito campi del sapere in cui il racconto non era né il linguaggio né il metodo di ricerca privilegiato; differentemente il sapere umanistico ha storicamente utilizzato il racconto come metodo di esplorazione, comunicazione e ragionamento. Cfr. C. Salmon, La politica nell’era dello storytelling [2013], trad. it. di N. Vincenzoni, Roma, Fazi, 2014 e Id., Storytelling. La fabbrica delle storie [2007], trad. it. di G. Gasparri, Roma, Fazi, 2008 sull’idea di un Nouvel Ordre Narratif (NON), cioè un ordine narrativo dominato dallo storytelling: racconto chiaro, dalla struttura preimpostata e accattivante che imperversa nel mondo degli affari, nell’economia e nel commercio, nel marketing, nella comunicazione pubblica e nella propaganda politica. Da notare, in questo problema, la tesi di Peter Brooks secondo cui «l’attuale iperinflazione delle storie» sia stata influenzata dalle conoscenze sviluppate nello studio critico-letterario del racconto (cfr. P. Brooks, Sedotti dalle storie: usi e abusi della narrazione [2022], trad. it. di G. Episcopo, Roma, Carocci, 2023). ↑
- L’interattività richiesta da un sistema semiotico è stata definita, più volte, come una delle caratteristiche indispensabili per l’esteticità di un’esperienza. Wolfgang Iser ha sostenuto che l’esperienza di «lettura non è una diretta ‘interiorizzazione’, perché non è un processo a senso unico» ma un’«interazione dinamica fra testo e lettore». Allora «l’esperienza estetica differisce dalle forme di esperienza ordinarie perché i fattori interattivi diventano un tema a sé» (W. Iser, L’atto della lettura: una teoria della risposta estetica [1978], trad. it. di R. Granafei, prefazione di C. Segre, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 170 e 204). Iser associava all’interattività l’idea che l’esperienza personale fosse doppiamente coinvolta: è responsabile per la costruzione del senso narrativo, è ridefinita dall’esperienza di lettura data la sua essenza di oggetto dinamico, non statico, e cangiante ogni volta che è agito. Così l’interattività non è uno scambio qualsiasi ma una qualità che tematizza l’esteticità di un’esperienza. Marie Laure Ryan ha invece definito l’interattività come la caratteristica che consente a un sistema informativo di essere rimodulato nei suoi contenuti espliciti (cfr. M.L. Ryan, Narrative as Virtual Reality: Immersion and Interactivity in Literature and Electronic Media, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 2001, p. 17). Le caratteristiche di fruizione dei contemporanei sistemi mediali ricordano la definizione di interattività di Ryan. È bene chiedersi come quest’ultimo tipo di interattività può interagire con l’esteticità delle esperienze. ↑
- R. Piglia, Teoria della prosa [2019], trad. it. di L. Tassi, a cura A. Zucchi e F. Arnoldi, Pomigliano d’Arco, Wojtek, 2022, p. 138. ↑
- Per la crisi del narratore derivata da una perdita d’esperienza alle soglie del moderno si veda: W. Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov [1936], trad. it. di R. Solmi, in Id., Angelus novus, a cura di R. Solmi, Torino, Einaudi, 2006. ↑
- R. Piglia, Teoria della prosa, cit., p. 139, corsivo mio. ↑
- «Si può infatti sostenere che uno degli effetti delle protesi tecniche nelle quali il nostro corpo ha l’attitudine a prolungarsi sia, a certe condizioni sulle quali mi soffermerò tra poco, proprio quello di indurre da un lato un certo irrigidimento della plasticità referenziale del linguaggio, dall’altro, e soprattutto, una vistosa canalizzazione della sensibilità (e un conseguente impoverimento delle prestazioni interattive dell’immaginazione)» (P. Montani, Tecnologie della sensibilità: estetica e immaginazione interattiva, Milano, Cortina, 2014, p. 35). ↑
- Ivi, p. 47. ↑
- Ibidem. ↑
- Ibidem. ↑
- «[…] le interpretazioni sono i risultati di processi cognitivi applicati a entità individuali (testi, persone, fatti); si basano su un insieme di presupposti e assunzioni soggettive, sebbene siano discorsi pubblici che possono essere condivisi intersoggettivamente da una comunità; sono guidate da valori e dal giudizio estetico (sono dunque argomentazioni di carattere normativo e valutativo)» (F. Ciotti, La convergenza tra computazione, cognizione ed evoluzione, in La narrazione come incontro, cit., p. 29). ↑
- Sulla differenza tra interpretazione impressionistica e interpretazione ideologica: «Nella critica letteraria sono comunemente praticati due metodi di interpretazione. Il primo è intuitivo e soggettivistico: viene proposto un significato che il critico sente o crede sia ‘nascosto’ nel testo; il testo è fatto per significazione ciò che l’interprete vuole che significhi. Il secondo è ideologico: tutti i testi sono semanticamente interpretati mediante il ricordo a una medesima fonte; il significato di un testo particolare è un derivato di un’ideologia universale» (L. Doležel, Heterocosmica: fiction e mondi possibili [1998], trad. it. di M. Botto, Milano, Bompiani, 1999, p. 177). ↑
- Cfr. W. Iser, L’atto della lettura: una teoria della risposta estetica, cit., p. 98. ↑
- Sull’idea che la soggettività della lettura non implica che il significato letterario sia irrecuperabile ma anzi accessibile: «[…] esso forma la base di molte selezioni che devono essere fatte durante il processo di lettura e che, sebben intersoggettivamente diverse – com’è mostrato dalle molte interpretazioni diverse di un unico testo – restano tuttavia intersoggettivamente comprensibili nella misura in cui tentano di ottimizzare la stessa struttura» (ivi, p. 184). ↑
- U. Eco, I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990, p. 29. ↑
- Una risposta possibile a questa domanda: «il problema è che tra i due livelli sussiste un rapporto circolare, come tutta la storia della teoria letteraria post-strutturalista ha ampiamente, e da molteplici punti di vista teorici e filosofici, mostrato. L’interpretazione critica presuppone l’atto della lettura individuale del critico. L’idea che possa darsi una interpretazione letteraria basata su un approccio quantitativo, oggettivo, immanente e puramente formalista è stata radicalmente criticata» (F. Ciotti, La convergenza tra computazione, cognizione ed evoluzione, cit., p. 25). Per sostenere quest’affermazione, Ciotti ripercorre uno dei più noti saggi di S. Fish, Is There a Text in This Class? The Authority of Interpretive Communities, Cambridge, MA, Harvard University Press, 1980. ↑
- P. Bourdieu, Le regole dell’arte, cit., p. 388. ↑
- Ibidem. ↑
- La tesi 1 contrasta l’idea che studiare l’interpretazione attraverso le scienze cognitive aumenti la sua scientificità: «Una lettura ispirata alle scienze cognitive (LISC) non è necessariamente una interpretazione migliore di una che utilizzi come base una teoria non scientifica (OAL)»; la tesi 2 è volta a indebolire lo statuto scientifico delle interpretazioni LISC: «Una determinata lettura di un’opera letteraria non può contribuire a un progetto scientifico di per sé» (M. Caracciolo, Gli studi letterari cognitivi e lo statuto dell’interpretazione: un tentativo di mappatura teorica, cit., pp. 40 e 43). Entrambe le tesi sono basate sul fatto che i criteri di validità dell’interpretazione letteraria vanno significativamente distinti dai criteri di validità delle teorie scientifiche: «Il risultato è che l’adesione delle LISC a un paradigma scientifico non le trasforma in interpretazioni intrinsecamente migliori di OAL, semplicemente perché la scientificità di un modello o di una teoria perde rilevanza nel momento della sua applicazione all’interpretazione letteraria. Ciò che conta, in un contesto interpretativo, è la novità e l’adeguatezza testuale delle intuizioni offerte su una data opera» (ivi, p. 42). ↑
- Ivi, p. 43. ↑
- Conclusione simile quella di Moretti sul rapporto tra interpretazione e analisi testuale-quantitativa: «Non c’è niente di male, se un campo così complicato come la letteratura viene studiato da due prospettive del tutto indipendenti. Va da sé che posso sbagliarmi, e che qualcuno potrebbe trovare una buona sintesi – domani. Allora, le cose cambieranno. Fino ad allora, come disse una volta Arnold Schönberg, la via di mezzo è l’unica che non porterà mai a Roma» (F. Moretti, Falso movimento: la svolta quantitativa nello studio della letteratura, Milano, Nottetempo, 2022, p. 37). ↑
- Ivi, p. 36. ↑
- M. Caracciolo, Gli studi letterari cognitivi e lo statuto dell’interpretazione: un tentativo di mappatura teorica, cit., p. 45. Questo approccio vede cognizione e cultura intimamente legate da un insieme di domande metacognitive condivise e soggette a evoluzione storico-culturale. Le domande metacognitive possono informare l’interpretazione rivelando in un rapporto circolare: da un lato i punti ciechi nell’attuale conoscenza scientifica, dall’altro il divario con «le concezioni della mente incorporate nei testi letterari» (ivi, p. 51). ↑
- Per un esempio di modello teorico cognitivo e neuroscientifico per la risposta estetica, in dialogo con l’interpretazione di matrice formalista, si veda: A.M. Jacobs, Neurocognitive Poetics: Methods and Models for Investigating the Neuronal and Cognitive-Affective Bases of Literature Reception, in «Frontiers in Human Neuroscience», IX, 2015, pp. 1-22. A partire dal modello formulato da Jacobs, è stato proposto un approccio interpretativo della risposta di lettura supportato dalle evidenze sperimentali (cfr. R. Gambino, G. Pulvirenti, Storie, menti, mondi: approccio neuroermeneutico alla letteratura, Milano, Mimesis, 2018). Sulla stessa direzione di ricerca, esiste un insieme di studi che, a partire da Miall e Kuiken, sostiene la validità empirica dello straniamento e del concetto di foregrounding testuale (cfr. D.S. Miall, D. Kuiken, Foregrounding, Defamiliarization, and Affect: Response to Literary Stories, in «Poetics», XXII, 1994, pp. 389-407; per una revisione degli studi empirici sullo stesso concetto si veda: W. Van Peer, P. Sopčák, D. Castiglione, O. Fialho, A.M. Jacobs, F. Hakemulder, Foregrounding, in Handbook of Empirical Literary Studies, a cura di D. Kuiken e A.M. Jacobs, Berlin, De Gruyter, 2021, pp. 145-176). ↑
- F. Moretti, Falso movimento: la svolta quantitativa nello studio della letteratura, cit., p. 147. ↑