·

Governamentalità del “valore”: la lingua politica del riformismo nel settore dell’istruzione e della ricerca

DOI

La riforma universitaria attualmente in standby al Parlamento italiano rappresenta un tentativo di modifica del sistema dell’istruzione superiore nel Paese che incide sul bilancio e sul reclutamento. Secondo il Ministero, questo processo di revisione mira a promuovere l’innovazione nelle università, a garantire una maggiore qualità dell’offerta formativa e a promuovere la competitività. Com’è noto, le ultime riforme sostanziali del sistema dell’istruzione italiano risalgono alla Legge n. 107 del 2015, cosiddetta “Buona scuola”, e alla Legge n. 240 del 2010, ovvero Riforma “Gelmini”. Se tali riforme assecondavano una trasformazione dell’istruzione i cui presupposti sono da ricercare nell’evoluzione di media durata delle politiche neoliberali europee, da allora, in realtà, il contesto dell’istruzione è mutato anche attraverso rapide trasformazioni tecnologiche e, di conseguenza, trasformazioni del mercato del lavoro. C’è stata poi la crisi pandemica. È anche all’interno del contesto dell’istruzione, oltre che di quello sanitario, che sono emersi nuovi concetti di impiego massivo nel sistema mediatico, come quello di resilienza, a tal punto che la principale innovazione politico-economica del decennio ha assunto un nome giuridico connotato attraverso tale parola: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Questo ci fa riflettere, banalmente, su quanto le parole plasmino non solo la nostra percezione delle cose, ma anche l’azione dei processi politici sulle nostre vite. Perché ci interessa? È noto che il PNRR abbia avuto un impatto tangibile, e per certi versi contraddittorio, sull’università e in particolare sui dipartimenti di studi umanistici, producendo un’espansione delle tipologie di contratti “borsistici” e formando figure specializzate che in larga parte non potranno essere assorbite a tempo indeterminato. Il percorso di riforma dell’attuale impianto normativo universitario non può che essere letto anche in relazione alla conclusione della parabola del PNRR e tale percorso, in varie parti d’Italia, ha mobilitato la comunità di studiosi giovani e meno giovani riunita attorno al tema della precarizzazione del lavoro intellettuale. Qui, ci interessa che alcune parole chiave del riformismo nell’ambito della conoscenza siano caratterizzate da un funzionamento retorico che governa nel suo complesso la logica delle élite neoliberali occidentali. Alcuni di questi concetti possono essere discussi e riallacciati ai loro moventi ideologici e a un contesto economico e politico più ampio.
Il nostro Ministero ha sottolineato più volte l’importanza di partire dall’ascolto e dalla partecipazione delle parti sociali per costruire l’università del futuro, capace di accogliere e valorizzare talenti di ogni provenienza e di contribuire allo sviluppo culturale, scientifico ed economico del Paese. Nel settembre 2024, è stato firmato il decreto che istituisce il gruppo di lavoro incaricato di analizzare e proporre modifiche alla Legge n. 240 del 20101. L’obiettivo dichiarato è di attrarre studiosi a livello nazionale e internazionale, contrastando il fenomeno della “fuga dei cervelli” e garantendo opportunità di carriera basate sul merito. Oltre alle parole d’ordine ormai di lunga data, relative all’aderenza dei corsi di studio alle esigenze del mercato del lavoro, alle competenze trasversali, all’interdisciplinarietà e alle metodologie innovative e tecnologiche, il progetto incide sulla cosiddetta governance degli atenei. Si intende rivedere la struttura organizzativa delle università per garantire una maggiore autonomia e responsabilità nella gestione delle risorse. La riforma riconsidererebbe plausibilmente anche l’attuale funzionamento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) e i sistemi di valutazione della ricerca attualmente in vigore attraverso l’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR). Soprattutto, si prevede una revisione dei criteri di allocazione dei fondi, col proposito di incentivare le “performance” positive e promuovere l’eccellenza. Si è dichiarato che sono «numerosi e, in questo periodo, particolarmente cospicui [i] fondi di finanziamento che provengono dall’Italia e dall’Europa, di cui il Fondo per il Finanziamento Ordinario [FFO] è solamente uno, certamente il principale, degli esempi»2. La logica politica di tale constatazione, apparentemente solo denotativa, che enfatizza la pluralità dei canali di finanziamento, è discernibile solo in un orizzonte temporale, che ha a che fare con la risposta neoliberale allo smottamento provocato dalla congiuntura del PNRR. Come accennato, all’interno dell’università italiana, il PNRR ha prodotto un’espansione della contrattualizzazione a tempo, relativa ai primi livelli della ricerca universitaria, producendo in particolare un aumento delle borse di dottorato e degli assegni a tempo determinato, aumento, nel caso delle facoltà umanistiche, esponenziale rispetto all’era prepandemica. Tale congiuntura però è di fatto già chiusa. Essere autonomi, per gli atenei, significa in questo caso aver avuto accesso in un primo momento a risorse provenienti, a monte, da canali diversi da quello dello Stato centrale, in un secondo assumere a pieno titolo le responsabilità di tale innovazione procedurale: avviene attraverso «un percorso di rispetto e ulteriore valorizzazione dell’autonomia degli istituti universitari e di affermazione della conseguente, inevitabile responsabilità di chi gode di autonomia, non solamente didattica e formativa, ma anche organizzativa e gestionale»3. Incentivare l’autonomia degli atenei, per il nuovo scossone neoliberale che si sta aprendo, significa rendere gli atenei eteronomi dal finanziamento progettuale esterno o privato.
Le università devono assicurare «maggiore flessibilità nella gestione dei fondi, maggiore trasparenza, efficienza e operatività»4, ma rendere flessibile significa piegare ulteriormente le tutele del rapporto di lavoro “di fatto” che governa i primi stadi della ricerca universitaria. Parlo di rapporto di lavoro sebbene, com’è noto, in Italia ad esempio il dottorato non sia realmente inscritto in una cornice di diritto del lavoro. Il Ministero si propone di colmare una supposta mancanza che il sistema avrebbe sotto il profilo di canali di contrattualizzazione, legittimando tale operazione a partire dalla constatazione che il cosiddetto contratto di ricerca, caratterizzato da maggiori tutele, stenta a decollare (anche se la sua attuazione è promossa dagli accordi con l’UE)5, mentre il cosiddetto assegno vada abolito. Per fare ciò, però, si ipotizzano «diverse intensità sia di tutela sia di capacità retributiva»6, cioè un’ulteriore liberalizzazione del ventaglio di soluzioni a tempo determinato: «noi dotiamo gli atenei e i ricercatori di molti più strumenti di quanti ne abbiano ora. Ora è l’inferno del precariato: o il contratto di ricerca mai applicato o gli assegni di ricerca. Noi riempiamo il vuoto, con altre opportunità contrattuali, che naturalmente varieranno a seconda del tipo di ruolo e della natura del lavoro, che dovrà essere svolta e concordata tra il ricercatore e l’università, a seconda delle circostanze»7. Il sillogismo che vorrebbe l’operazione di riempimento del vuoto come un riempire un vuoto di precariato si smantella da solo, in modo autoevidente, di fronte alla constatazione della variazione delle opportunità contrattuali a seconda delle circostanze, e tali circostanze si qualificano in un indebolimento dell’FFO8 e in un’incentivazione del finanziamento progettuale. L’ulteriore prospettiva di precarizzazione si estende retroattivamente, a quanto pare, instillando l’idea che anche parte del percorso studentesco possa essere concepito all’interno di una non ben precisata logica del rapporto di lavoro subordinato: «se si è ancora studenti», è stato affermato, «si può essere contrattualizzati con un contratto di ricerca»9. In realtà, però, al momento non mi sembra ci sia una traccia chiara nel DDL della cornice procedurale di questa tipologia e della sua netta distinzione dalle cosiddette borse junior per coloro in possesso di laurea magistrale10. Si tratta in ogni caso di mobilitare una prospettiva di messa a profitto di persone ancora in fase di formazione, incipriandola in un ingannevole intento di istituzionalizzazione di un rapporto di lavoro di fatto. È la logica che ha orientato anche i processi di riforma dei gradi precedenti di istruzione, in particolare attraverso la Legge n. 107 e l’istituzione dell’alternanza scuola-lavoro, su cui poi si è fatto un parziale passo indietro almeno sul piano del monte ore richiesto.
Valorizzare significa invece capitalizzare la produzione di conoscenza ai fini della congiuntura, le «circostanze», appunto, altro sostantivo utilizzato nella presentazione della riforma. Tali circostanze sono prima di tutto economiche. Esse sono caratterizzate principalmente da una trasformazione in atto del modo di produzione11. Il ruolo che al suo interno devono giocare le università è discusso per iscritto in uno dei relativamente recenti manifesti che ne descrivono la cornice ideologica e politica:

Innovation is a complex, social process, and not one we should take for granted. Therefore, even though this section has highlighted a wide array of technological advances with the power to change the world, it is important that we pay attention to how we can ensure such advances continue to be made and directed towards the best possible outcomes.
Academic institutions are often regarded as one of the foremost places to pursue forward-thinking ideas. New evidence, however, indicates that the career incentives and funding conditions in universities today favour incremental, conservative research over bold and innovative programmes.
One antidote to research conservatism in academia is to encourage more commercial forms of research12.

Qui, dopo aver individuato la principale connotazione del processo di innovazione nel suo definirsi come «social process», il noto volto del Forum di Davos mette in guardia dal fatto che tale processo non sia scontato, quasi inferendo che esso non vada da sé proprio in quanto processo sociale. Di certo, prosegue, le trasformazioni tecnologiche a cui stiamo assistendo possono cambiare il mondo, ma dobbiamo assicurarci che esse continuino. Ecco che, allora, le università, percepite convenzionalmente come luoghi di forward-thinking, possono assumere la loro funzione, ma a patto che facciano i conti con il problema della persistenza di ricerche conservatrici. È bene notare che tale congiuntura “conservatrice” è esplicitamente allacciata dall’autore ai «career incentives and funding conditions». Detta in altri termini, sono le tutele del rapporto di lavoro legato alla conoscenza, oltre che la tipologia di finanziamento dei mezzi per produrre tale lavoro, a indurre una sorta di stagnazione del capitale umano messo a valore negli atenei. Inoltre, l’utilizzo dell’aggettivo conservative è sintomatico. Calata in questo contesto discorsivo, la diade conservazione/trasformazione e il suo carattere eminentemente politico, relativo alla scelta di campo sui rapporti di produzione vigenti e sulle loro implicazioni di sperequazione (conservazione o trasformazione, appunto, della distribuzione del valore prodotto), è soggetta a un processo di risemantizzazione che la ricolloca non più sul piano del conflitto sociale, quasi totalmente occultato, bensì su quello dell’adesione o meno a un ideale dei rapporti tra stagnazione/movimento. Laddove tale movimento, ipostatizzato come positivo, è relativo in particolare alla trasformazione tecnologica, ma spesso anche a quella degli assetti giuridici. Abbiamo ormai imparato a leggere sul medio periodo tali processi retorici, in salsa italiana e non necessariamente postfascista, ma anche semplicemente liberale13.
Applicato all’ambito della produzione della conoscenza, e agli organismi che presiedono a tale produzione, cioè le università, quest’orizzonte di pensiero significherà sostanzialmente proliferazione e messa a regime di progetti convenzionati, in particolare, con enti privati. Si tratterà in particolare di enti del settore dell’informazione, dell’industria chimica, dei materiali, dell’energia, caratterizzati da una spiccata propensione al double use, quando non esplicitamente orientati alla produzione di armamenti bellici, anche attraverso il nascente piano ReArm Europe14. Infatti, il progetto di riforma non è totalmente slegato dall’altra principale “circostanza” in cui esso si inscrive: cioè l’attuale riassestamento degli equilibri sovranazionali, caratterizzato per ora da guerre di attrito su scala regionale e anche in territorio europeo; e la guerra che incombe sull’Europa non è, d’altronde, un fenomeno separato da quello della trasformazione tecnologica. Le università giocano più che mai il loro ruolo e per farlo devono assicurare flessibilità, trasparenza e operatività. Trasparenza, oltre che di bilancio, significa anche trasparenza di informazioni, significa che gli atenei devono assicurare un canale di informazioni adoperabili in funzione della “circostanza”. È in questa cornice di fenomeni che si legge una delle “innovazioni” giuridiche già procurate dal DDL detto “Sicurezza”, che legittima l’intrusione dei Servizi, nella fattispecie del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) all’interno degli atenei per l’approvvigionamento di informazioni, «anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza»15.
Attraverso l’enfasi su concetti qualitativi che rimandano a un beneficio generalizzato, di cui si occulta la quantificazione16 e la determinazione di chi ne è beneficiario e di chi ne è vittima, la retorica del riformismo copre le conseguenze di sperequazione delle politiche adottate. Se il tentativo di ulteriore indebolimento dell’università pubblica riprenderà sul medio periodo, poiché inscritto in una congiuntura più ampia di carattere storico-economico, mentre tale tentativo è in standby ed è in atto una mobilitazione a cui aderire, si potrebbe inoltre davvero dirottare per quanto possibile la nostra ricerca dalla costruzione di eterei archivi digitali alla trascrizione, analisi e critica a tappeto delle semantiche del discorso politico dell’élite neoliberale italiana e internazionale.


  1. Decreto Ministeriale n. 1591, Ministero dell’Università e della Ricerca, 20 settembre 2024, https://www.mur.gov.it/sites/default/files/2024-09/Decreto%20Ministeriale%20n.%201591%20del%2020-9-2024.pdf.

  2. A.M. Bernini, Conferenza stampa del Consiglio dei Ministri n. 91, Roma, Palazzo Chigi, 7 agosto 2024, min. 8:30, https://www.youtube.com/watch?v=78Svk6V6EZI&t=498s.
  3. Ivi, min. 8:56, https://www.youtube.com/watch?v=78Svk6V6EZI&t=498s.
  4. Ivi, min. 9:11, https://www.youtube.com/watch?v=78Svk6V6EZI&t=498s.
  5. Ricordo che la Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL ha presentato un esposto alla Commissione Europea su tale tema. Cfr. FLC CGIL alla Commissione Europea: allarme precariato universitario con l’annullamento della missione PNRR, in «FLC CGIL», 4 febbraio 2025, https://www.flcgil.it/comunicati-stampa/flc/flc-cgil-alla-commissione-europea-allarme-precariato-universitario-con-l-annullamento-della-missione-pnrr.flc.
  6. A.M. Bernini, Conferenza stampa del Consiglio dei Ministri n. 91, cit., min. 12:13, https://www.youtube.com/watch?v=78Svk6V6EZI&t=498s.
  7. Ivi, min. 13:40, https://www.youtube.com/watch?v=78Svk6V6EZI&t=498s.
  8. Per i calcoli, di cui si è tanto discusso, rimando a Il Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università, il gioco delle tre carte della Bernini e la flessibilità nello sfruttamento dei precari, in «FLC CGIL», 21 febbraio 2025, https://www.flcgil.it/universita/il-fondo-di-finanziamento-ordinario-delle-universita-il-gioco-delle-tre-carte-della-bernini-e-la-flessibilita-nello-sfruttamento-dei-precari.flc.
  9. Cfr. A.M. Bernini, Conferenza stampa del Consiglio dei Ministri n. 91, cit., min. 12:27, https://www.youtube.com/watch?v=78Svk6V6EZI&t=498s.
  10. Se non all’art. 2 che modifica il DL n. 68 del 2012. Cfr. Disposizioni in materia di valorizzazione e promozione della ricerca, DDL n. 1240, presentato dal ministro dell’Università e della Ricerca Bernini, Senato, 20 settembre 2024, https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01428833.pdf.
  11. Che ormai da diversi anni inizia a essere pensata, a partire dagli organi stessi che ne governano il pensiero economico, come Fourth Industrial Revolution. Cfr. K. Schwab, The Fourth Industrial Revolution, Genève, World Economic Forum, 2016; trad. it. La quarta rivoluzione industriale, prefazione di J. Elkann, Milano, Franco Angeli, 2016.
  12. Ivi, pp. 26-27; trad. it.: «L’innovazione è un processo complesso e sociale, e non qualcosa che dovremmo dare per scontato. Pertanto, anche se questa sezione ha evidenziato una vasta gamma di progressi tecnologici con il potere di cambiare il mondo, è importante prestare attenzione a come possiamo garantire che tali progressi continuino a essere realizzati e indirizzati verso i migliori risultati possibili. Le istituzioni accademiche sono spesso considerate uno dei principali luoghi in cui perseguire idee lungimiranti. Nuove evidenze, tuttavia, indicano che gli incentivi di carriera e le condizioni di finanziamento nelle università di oggi favoriscono una ricerca incrementale e conservatrice rispetto a programmi audaci e innovativi. Un antidoto al conservatorismo nella ricerca accademica è incoraggiare forme di ricerca più orientate al commercio».
  13. Si veda lo scritto di M. Renzi, ormai famoso tra gli addetti ai lavori, alla riedizione del classico saggio di storia del pensiero politico di N. Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, edizione del ventennale con una introduzione di M.L. Salvadori e due commenti vent’anni dopo di D. Cohn-Bendit e di M. Renzi, Roma, Donzelli, 2014 [1994], in cui il problema è proprio quello dello slittamento della diade destra/sinistra dal livello delle scelte di campo nel conflitto sociale a quello di un’adesione o meno a un paradigma di ideale innovazione.
  14. Si veda Joint White Paper for European Defense Readiness 2030, European Commission, High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy, Brussels, March 19, 2025, https://defence-industry-space.ec.europa.eu/document/download/30b50d2c-49aa-4250-9ca6-27a0347cf009_en?filename=White%20Paper.pdf.
  15. Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario, DDL n. 1236, presentato dal Ministro dell’Interno Piantedosi, dal Ministro della Giustizia Nordio e dal Ministro della Difesa Crosetto, Senato, 18 settembre 2024, https://www.camera.it/leg19/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=19&codice=leg.19.pdl.camera.1660.19PDL0074180&back_to=, art. 31: «Le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS, all’AISE e all’AISI la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale. Il DIS, l’AISE e l’AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza».
  16. Alle volte si può isolare una tendenza al racconto di effetti “qualitativi” di un processo in realtà prima di tutto “quantitativo”, che può essere sostenuto nel profondo dell’argomentazione da una illusionistica naturalizzazione delle premesse: esse hanno a che fare spesso con un’ipostasi della “direzione”, dei fini da raggiungere per la comunità, con la pretesa che essi siano assunti dalla comunità come religione, come seconda natura. Sull’utilizzo retorico-persuasivo di forme argomentative simili sono utili le categorie di C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, trad. di C. Schick e di M. Mayer con la collaborazione di E. Barassi, Torino, Einaudi, 1966 [1958], in particolare pp. 91-98, 297-303 e 487-92.