· 2 | 2024 · Recensioni ·

l. braida, b. ouvry-vial (a cura di), leggere in europa. testi, forme, pratiche (secoli xviii-xxi), roma, carocci, 2023, 440 pp.

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Curato da Lodovica Braida e Brigitte Ouvry-Vial, questo volume rappresenta il frutto di una lunga ricerca e collaborazione internazionale avviata nel 2013 a Le Mans durante il convegno Textes, formes, lectures en Europe (18e-21e siècles). Questa raccolta include diciassette contributi di studiosi e studiose provenienti da diversi ambiti disciplinari – storici del libro, letterati, sociologi e specialisti di digital humanities – che dialogano tra loro in un’indagine interdisciplinare sulla lettura. Partendo da un caposaldo degli studi sulla lettura come Storia della lettura nel mondo occidentale (1995), curato da Guglielmo Cavallo e Roger Chartier, il volume ripensa le modalità di analisi di una pratica tanto centrale quanto sfuggente. La lettura, infatti, lascia tracce meno tangibili rispetto alla scrittura, come osserva Michel de Certeau in Arts de faire (1980): «conserva male quanto ha acquisito, e ciascuno dei luoghi che attraversa è ripetizione del paradiso perduto».
Il primo capitolo, affidato a Roger Chartier, offre un quadro concettuale che invita a riscoprire la materialità del testo, rivalutando il ruolo dello stampatore, mettendo in luce la funzione espressiva del modo in cui il testo è inscritto nel libro e cogliendo il lettore all’opera. Questo approccio tiene conto delle diverse teorie che negli ultimi decenni si sono concentrate sul lettore, dall’orizzonte di attesa di Hans Robert Jauss alla comunità interpretativa di Stanley Fish, passando per la morte dell’autore di Roland Barthes e il carattere inesauribile della letteratura evocato da Jorge Luis Borges. Seguono sedici saggi, organizzati in tre parti, che esplorano la storia della lettura tra il XVIII e il XXI secolo, con un focus su aree romanze (Francia, Italia, Spagna) e angloamericane, arricchiti da aperture al mondo slavo.
La prima parte, Trasformazioni e “rivoluzioni” della lettura, affronta i cambiamenti fondamentali nella storia della lettura dal Settecento a oggi attraverso i contributi di Rosamaria Loretelli, Jean-Yves Mollier, Martyn Lyons e Gerhard Lauer, soffermandosi sull’uso del concetto di “rivoluzione”, che, pur adottato, viene continuamente messo in discussione per evidenziare l’intreccio tra elementi di continuità e di frattura. Vengono identificate tre rivoluzioni principali: la prima, avvenuta tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, segna il passaggio dalla lettura collettiva e orale a quella individuale e silenziosa; la seconda, collocata tra Ottocento e Novecento è definita “rivoluzione culturale silenziosa”; la terza, infine, è rappresentata dalla rivoluzione digitale.
La prima trasformazione è analizzata nel saggio di Rosamaria Loretelli, che evidenzia come il passaggio alla lettura silenziosa abbia avuto un impatto profondo sul piano cognitivo e culturale, contribuendo all’affermazione del romanzo moderno. L’autrice confronta due testi simbolici: il Perceval di Chrétien de Troyes e Pride and Prejudice di Jane Austen. Nel primo caso, la narrazione verbale minima era integrata dal contesto fisico della performance orale, dove il pubblico traeva informazioni aggiuntive dall’ambiente e dall’intonazione del narratore. Nei romanzi moderni, invece, il contesto è interamente evocato dal testo scritto, che offre dettagli su ambienti, personaggi e trasformazioni. Loretelli sottolinea come i grandi romanzieri del Settecento abbiano adattato la loro scrittura alla lettura silenziosa, creando un universo narrativo completo che non richiedeva intermediari orali. Questo passaggio ha aperto la strada a una nuova forma di partecipazione emotiva, permettendo al lettore non solo di comprendere la storia, ma anche di empatizzare profondamente con i protagonisti. Sebbene questa trasformazione sembri legata alla modernità, tracce di lettura silenziosa si riscontrano già in epoche passate. Nel mondo romano, ad esempio, la lettura ad alta voce prevaleva soprattutto a causa della scriptio continua, una forma di scrittura priva di spazi tra le parole e di segni di interpunzione, che richiedeva l’uso dell’intonazione per distinguere i termini. Tuttavia, vi sono testimonianze di lettura silenziosa, come mostra Ovidio negli Amores (I, 11, 17-18: «aspicias oculos mando frontemque legentis: et tacito vultu scire futura licet»), dove l’amato osserva l’amata leggere un biglietto d’amore in silenzio, intuendone pensieri ed emozioni. Queste pratiche, sebbene marginali, dimostrano che la lettura silenziosa fosse già un’esperienza personale e intima. Con il tempo, la scrittura ha assunto sempre più il compito di evocare mondi ed emozioni, favorendo un’immersione più profonda, un fenomeno che, come evidenzia Loretelli, oggi trova riscontro negli studi di neuroscienze e psicologia cognitiva.
Per quanto riguarda la seconda, Jean-Yves Mollier descrive la “rivoluzione culturale silenziosa” che si manifesta in Francia tra il 1880 e il 1900. In questo periodo, si assiste a una decisiva alfabetizzazione di massa, con l’introduzione di obblighi scolastici anche per le ragazze, alla crescita esponenziale della vendita di quotidiani e riviste, a una nuova politica nella produzione dei manuali scolastici e alla diffusione di romanzi a basso prezzo, segnando un cambiamento radicale nel panorama culturale e sociale. In questo contesto, si sviluppa quella che Martyn Lyons nel suo saggio definisce Leselust (“sete di lettura”), un momento cruciale nella secolarizzazione della lettura, sempre più legata al consumo rapido di romanzi di svago. Nonostante gli sforzi moralizzatori, come le biblioteche pubbliche britanniche che promuovevano testi edificanti per inculcare valori morali, il controllo sui lettori si rivelò complesso e inefficace. Il mercato di massa di romanzi a basso costo alimentò nuove abitudini culturali e sociali, che si diffusero persino in contesti remoti, come le colline di Cheviot, dove i pastori trovavano modi creativi per condividere i libri lasciandoli nelle fessure dei muri di pietra.
E naturalmente, la terza rivoluzione, quella che stiamo vivendo con il nuovo ruolo del mondo digitale e delle piattaforme che stanno ridefinendo il panorama della lettura, è al centro del contributo di Gerhard Lauer. Utilizzando Wattpad come esempio – una piattaforma canadese che nel 2019 ha coinvolto 980 milioni di utenti – Lauer mostra come il digitale abbia fuso i ruoli di autore, lettore e critico, superando le tradizionali distinzioni tra questi ambiti. Il digitale, sostiene Lauer, non si contrappone al libro, ma lo ingloba in un sistema più vasto, trasformando profondamente l’industria editoriale come è stata conosciuta finora. Accanto a questi cambiamenti, si diffondono nuove modalità di lettura, come lo skimming, tipico dell’ambiente digitale, che privilegia una fruizione rapida e superficiale dei testi, in contrasto con la profondità della lettura tradizionale.
La seconda parte del volume, intitolata Nuovi lettori, nuove collane, raccoglie sette contributi (di Alessia Catagnino, Matthew O. Grenby, Damiano Rebecchini, Raquel Sánchez García, Christine Rivalan Guégo, Nathalie Richard, Hervé Serry) che esaminano il ruolo cruciale degli editori nell’adattare i libri a un pubblico sempre più ampio e diversificato, interpretandone e orientandone le esigenze. Un esempio significativo è offerto dall’analisi di Alessia Castagnino sul fenomeno delle traduzioni nell’Italia della seconda metà del XVIII secolo. Queste traduzioni, lungi dall’essere semplici trasposizioni linguistiche, rappresentavano veri e propri adattamenti culturali, arricchiti da un complesso paratesto (note, prefazioni, avvisi ai lettori) e concepiti per rispondere alle specifiche necessità del contesto italiano. Questo delicato processo di mediazione, condotto da traduttori ed editori, non solo favoriva un rinnovamento culturale, linguistico e politico, ma metteva in luce le tensioni tra fedeltà al testo originale, adattamento culturale e controllo ideologico, rischiando talvolta di produrre interpretazioni alternative, destabilizzanti o inattese. Un’altra modalità di adattamento alle esigenze dei lettori emerge dall’editoria britannica del Settecento, come descritto da Matthew O. Grenby. Sensibile all’attenzione verso l’infanzia, essa promuoveva una letteratura per bambini, mirata a conciliare le istanze educative dei genitori con l’interesse dei piccoli lettori, spesso però più attratti dalla fisicità del libro che dal suo contenuto. Grenby si distingue nel tentativo di studiare questa letteratura dal punto di vista dei bambini stessi, analizzando le loro annotazioni, a volte dissacranti, che offrono uno sguardo inedito sullo sviluppo di questo genere in Gran Bretagna tra il 1740 e il 1840. In un contesto del tutto diverso, ma con le stesse preoccupazioni di accessibilità, Damiano Rebecchini analizza il ruolo dei contadini russi come nuovo pubblico di lettori nella seconda metà dell’Ottocento. Per avvicinare i “classici” al popolo, l’editoria adottava strategie innovative, come la diffusione anonima e a basso costo di opere di Gogol’ e riscritture che semplificavano stile, intreccio e psicologia dei personaggi. Sebbene questi adattamenti trasformassero radicalmente le opere, i contadini dimostravano una capacità creativa di riappropriarsi dei testi, preservandone in parte la bellezza originaria. Nathalie Richard esplora invece i meccanismi di controllo della lettura, con particolare attenzione all’attività recensoria di condanna nella cultura cattolica francese. Parallelamente, Rachel Sànchez Garcìa, Christine Rivalan Guégo e Hervé Serry analizzano lo sviluppo di collane editoriali pensate per un pubblico di nuovi lettori, mostrando come la democratizzazione della stampa abbia dato vita a nuove opportunità ma anche a profonde inquietudini culturali.
La parte conclusiva del volume, Forme, supporti e modalità di lettura, presenta cinque contributi: il primo e l’ultimo sono firmati dalle curatrici, mentre gli interventi di Jean-François Botrel, Matthew Rubery e Roar Lishaugen completano la sezione. Questa parte esplora come le diverse forme e i supporti materiali attraverso cui i testi vengono trasmessi influenzino e innovino le modalità di interpretazione. Nel suo contributo, Lodovica Braida analizza l’evoluzione dell’almanacco, un genere editoriale di grande successo tra il XVIII e il XIX secolo. Originariamente concepito per offrire contenuti pratici, come pronostici astrologici e rubriche utili, l’almanacco si trasforma progressivamente in un genere ibrido. Oltre a mantenere le sue funzioni tradizionali, si arricchisce di spazi dedicati alle annotazioni personali dei lettori, usati per registrare dati economici, come spese, crediti e debiti, oppure per scopi più intimi, come diari o memorie. A seguire, Matthew Rubery descrive il progetto dei “libri parlanti”, nato nel Regno Unito dopo la Prima guerra mondiale e ideato per venire incontro alle esigenze di soldati e civili che avevano perso la vista. Jean-François Botrel, invece, si sofferma sull’uso innovativo delle illustrazioni, utilizzate per rendere opere già note più comprensibili e accessibili a lettori meno esperti. Il volume si chiude con il saggio di Brigitte Ouvry-Vial, che analizza come il libro venga rappresentato nella letteratura europea dalla fine del XIX secolo a oggi. Richiamandosi anche a Roland Barthes, l’autrice mostra come il libro non sia solo un oggetto fisico, ma anche un simbolo che riflette il rapporto dell’autore con la scrittura, con la lettura e con la memoria personale. Questa rappresentazione del libro assume forme diverse: può essere un semplice richiamo visivo, un riferimento alla biblioteca immaginaria dell’autore o un elemento che guida il lettore nella comprensione del testo. Lo studio delle citazioni libresche si inserisce infine in un’interrogazione aperta sul futuro del libro: si pone la questione della sua possibile fine programmata o della continuità delle sue pratiche di lettura, soprattutto di fronte alla costante introduzione di nuovi media, come il cinema, la televisione e internet, che trasformano il rapporto tra il libro e i suoi lettori.
In definitiva, il volume curato da Lodovica Braida e Brigitte Ouvry-Vial si presenta come un contributo di grande rilevanza per gli studi sulla lettura, capace di coniugare un approccio storico e teorico, multidisciplinare e innovativo. La raccolta riesce a tracciare un quadro complesso delle trasformazioni della lettura nel tempo, considerandola non solo come un atto intellettuale, ma anche come un’esperienza intima e personale, capace di suscitare emozioni e di instaurare un legame profondo tra il lettore e il testo. Una riflessione che sembra dialogare con le parole di Giorgio Manganelli, il quale, nel suo Pinocchio: un libro parallelo, esplora la natura inesauribile del libro e della lettura:

Un libro non si legge; vi si precipita: esso sta, in ogni momento, attorno a noi. […] Nessun libro finisce; i libri non sono lunghi, sono larghi. La pagina, come rivela anche la sua forma, non è che una porta alla sottostante presenza del libro, o piuttosto ad altra porta, che porta ad altra. Finire un libro significa aprire l’ultima porta, affinché non si chiuda più né questa né quelle che abbiamo finora aperte per varcarne la soglia, e tutte quelle che infinitamente si sono aperte, continuano ad aprirsi, si apriranno in un infinito brusio di cardini. Il libro finito è infinito, il libro chiuso è aperto.

L’immagine evocata da Manganelli coglie l’essenza della lettura come un processo continuo, non lineare né definitivo, ma aperto a infinite possibilità di scoperta e reinterpretazione. Questa prospettiva si intreccia con le riflessioni proposte nel volume, che analizza con sensibilità l’evoluzione della lettura, evidenziandone la capacità di adattarsi ai cambiamenti storici e tecnologici senza perdere la propria essenza. Grazie alla varietà e alla qualità dei contributi, il volume curato da Braida e Ouvry-Vial offre una riflessione ricca e stimolante, utile non solo per comprendere il ruolo della lettura nella nostra storia culturale, ma anche per indagare il suo valore persistente nella contemporaneità.

Maria Enrica Fedele