· 2 | 2024 · Recensioni · 

l. gaudiosi, lo schermo e l’acquario. scienza, finzione e immersività nel cinema degli abissi, pisa, ets, 2019, 200 pp.

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Il cinema racconta la realtà e il discorso filmico si costruisce su un’unità di base: l’inquadratura. Il suo supporto fisico è lo schermo, che assume la forma, per lo spettatore, di una porzione di quella stessa realtà. Allo stesso modo, l’acquario è un’unità di visione, per l’osservatore è come trovarsi di fronte un «angolo di natura». Sovrapponendo le due definizioni si introduce l’analisi sviluppata da Massimiliano Gaudiosi ne Lo schermo e l’acquario: scienza, finzione e immersività nel cinema degli abissi.
Se infatti il cinema, dalle origini ai giorni nostri, è un racconto per immagini in movimento, desta interesse il suo incrocio con un medium “raccoglitore” di una realtà che il movimento lo fa da sé: il mare, questo eterno sconosciuto. Si pensi alle vedute dei Lumière, dove la semplice uscita di lavoratori da una fabbrica (La sortie des usines Lumière, 1895) o l’arrivo di un treno in stazione (L’arrivée d’un train à La Ciotat, 1896) risultavano dimensioni nuove, diverse, quando non spaventose, per il modo in cui venivano mostrate allo spettatore: la possibilità di immergersi negli abissi appare ancora oggi, ad oltre cent’anni di distanza, sorprendente.
«Lo schermo e l’acquario punta a incanalare il cinema subacqueo in una storia delle forme». Gaudiosi la ricostruisce a partire dagli archetipi: la letteratura, le illustrazioni, le litografie e le tecniche fotografiche fino al pre-cinema che volta a volta hanno proposto nuove «vedute acquariali» di sguardi inabissati. Lettori e osservatori si trasformano presto in spettatori, e così il mare arriva ad inondare il cinema che lo mostra e ne fa un oggetto avvicinabile, come nel caso del cinema documentario, e un elemento altro del cinema narrativo, dove funge da bacino di infiniti rimandi al concetto stesso di racconto per immagini. Se l’acquario è «il limite vitreo che separa lo spettatore da un mondo sconosciuto», lo è anche lo schermo del cinema. Dalle origini ai giorni nostri significa anche questo: se dapprima mostrare il mondo marino è di per sé spettacolare e insieme dispiegabile a fini documentari, finzionali e/o narrativi, è solo con la possibilità dell’immersione che si raggiunge la totalità dell’esperienza. Ed è lo sviluppo estetico e, certamente, tecnico sia dell’acquario sia dello schermo cinematografico.
La panoramica dei rapporti schermo-acquario prende il via, nell’analisi di Gaudiosi, dagli stessi fratelli Lumière (Bocal aux poissons rouges, 1895, Aquarium, 1896), dai set cinematografici delle origini (la glass house, «set acquario» di Georges Meliès, 1897), per approdare, previe alcune considerazioni sul fenomeno fantasmagorico dell’«acquariomania» ottocentesca, ai film-acquario e ai film-sommergibile. Li definisce, Gaudiosi, due modi per immergersi, in quello che è il percorso che lega gli ultimi tre capitoli del libro, Al di qua e al di là del vetro, Acque finzionali, Un mare di sensazioni. I titoli non risultano affatto casuali, e sviluppano il ragionamento sui rapporti schermo-acquario sulla base dei contributi dei due capitoli precedenti, tramite cui si arriva a capire che oltre alle esperienze ‘schermiche’ della storia del cinema, anche le costruzioni acquariali promettono un contatto con una realtà a priori inavvicinabile e sconosciuta.
La compenetrazione delle une nelle altre forma il cinema degli abissi. È interessante l’uso dell’«Al di qua e al di là del vetro» per indicarne le potenzialità: il cinema degli abissi può stazionare sul vetro – è il caso dei film-acquario – e assumere, così, praticamente lo stesso punto di vista di un osservatore di un acquario, o immergersi – come nei film-sommergibile –, senza distanza di sicurezza, in profondità. È un gioco estetico-tecnico che fa in modo che i sensi dello spettatore si estendano, e che il mare e le sue creature, e l’acquario loro contenitore, assumano le forme e le significazioni più diverse. Dai film di divulgazione alle serie scientifiche e naturalistiche fino ai film di finzione, Gaudiosi esplora una vasta cronologia cinematografica che, pur nella sua eterogeneità, contribuisce a dimostrare la persistenza delle «vedute acquariali» sullo schermo. Più volte torna utile il rapporto tra letteratura e cinema, soprattutto per spiegare il mythos/topos marino nel passaggio tra i due mezzi: sin dai casi emblematici degli adattamenti di Verne (Vingt mille lieues sous les mers, 1870), il mare viene reso nella sua complessità con tutte le tecniche del cinema (si pensi in tal senso al montaggio), e lo spettatore volta a volta si allontana e si avvicina, nell’incontro/scontro tra l’umano e il marino, e ritorna la protezione dello schermo – acquariale o cinematografico. E allora lo sguardo dapprima esclusivamente spettacolare, poi documentario, può rivolgersi anche verso la narrazione. Il ragionamento di Gaudiosi su queste acque finzionali arriva a fare del mare eterno sconosciuto prima fonte di morte e di vita, poi un sogno e poi una forma di mise en abyme (letteralmente messa in abisso) del cinema e del suo linguaggio: «attraverso la veduta acquariale il cinema non smette di parlare di sé stesso».
La domanda di Gaudiosi («In che modo gli acquari ci parlano del cinema come macchina di visione? È possibile che queste miniature della vita acquatica ci rivelino la natura delle immagini in movimento?») trova la sua risposta, e l’analisi dimostra che «anche all’interno dei prodotti più aderenti ai canoni classici del racconto, la veduta acquariale apre uno squarcio attraverso il quale lo spettatore può naufragare in una miriade di differenti rimandi alla visione e al suo funzionamento, e quindi al cinema stesso come macchina di racconti e di immagini». Il discorso dell’autore rileva una serie di costanti che, a ben vedere, sono presenti in tutto il corpus di opere filmiche trattate nel testo. Come le costruzioni degli acquari diventano col tempo sempre più immersive, così il cinema, dalle origini ai giorni nostri, dalle attrazioni alle sensazioni, fa “tuffare” lo spettatore sempre più dentro e oltre lo schermo – e l’acquario.

Giulia de Lange