All’ombra di Paul Gauguin. La luna e sei soldi di William Somerset Maugham
Nel 1903 William Somerset Maugham si reca, insieme a Gerald Kelly, presso la Galérie Vollard, dove era esposta una generosa selezione delle opere pittoriche di Paul Gauguin. Questa esperienza, senza dubbio, ha giocato un ruolo importante per la stesura di The Moon and Sixpence, romanzo che Maugham compone nel 1919 ispirandosi alla vita del grande artista francese. Sin dalle prime battute dell’opera, il narratore, portavoce dell’opinione autoriale, dichiara un mirato interesse per la personalità di Charles Strickland, nome dietro cui si cela una lunghissima serie di rimandi a Gauguin, mettendo in secondo piano la qualità espressiva dei suoi quadri1:
La sua arte può non piacere, ma non potrete rifiutarle almeno il tributo del vostro interesse. Strickland turba e colpisce. È passato il tempo in cui era oggetto di scherno, e non è più un segno di eccentricità difenderlo, o di protervia esaltarlo. I suoi difetti sono accettati quali necessario completamento dei suoi pregi. […] A mio parere la cosa più interessante in arte è la personalità dell’artista, e se questa è singolare sono disposto a perdonare mille difetti.2
In effetti, anche il giudizio di Maugham sulle opere di Gauguin non è mai stato particolarmente lusinghiero, come dimostra un articolo pubblicato nel 1941 intitolato Paintings I have liked, in cui l’ammirazione dell’autore è evidentemente rivolta ad altri illustri artisti:
Then there is Gauguin. He is not a great artist… I think his life and character more interesting than his paintings. I once wrote a fanciful description of a fruit piece in the museum at Stockholm, but it is in his Tahitian scenes that he is most truly himself. They are deliberately stylized, but they have an idyllic character that does recall those lovely islands of the South Seas and for one who has lived in them they evoke memories of a kind of sensual content and a happiness of the spirit which the passing of time can never quite dim.3
Il vero obiettivo dello scrittore britannico, infatti, non è certamente comporre una biografia elogiativa dell’artista, il suo reale interesse sembra invece far emergere la totale dedizione all’arte del protagonista, questione che all’interno della trama funziona come meccanismo di avvio e accelerazione di tutti gli eventi raccontati. Le evocazioni verbali dei dipinti di Gauguin, invece, sono utili a Maugham per comporre lo scenario in cui calare le vicende dei suoi personaggi e, in particolare, per completare la caratterizzazione di Strickland, a cui l’autore aggiunge di volta in volta i tratti distintivi di personalità reali e fittizie. Charles Strinckland non è soltanto l’esito di una fervida immaginazione, ma contiene in sé una moltitudine di caratteri riconoscibili, alcuni dei quali sono astutamente trasferiti da chi racconta a colui che è raccontato. Per questo The Moon and Sixpence è un’opera certamente ascrivibile al genere delle biofiction, attinge infatti senza prudenze al vissuto di una persona realmente esistita, ma è anche tacciata da un velato autobiografismo. Tuttavia, il motivo per cui Maugham sceglie come fil rouge della trama la vita di un artista per cui non nutriva particolare stima non è subito evidente4.
Il semiologo Jurij Lotman, in un saggio del 1984, afferma che il diritto alla biografia non è universalmente valido e che ogni società elabora secondo diversi criteri i propri modelli di uomini, i quali divengono portatori ‒ cioè meritevoli ‒ di biografia, e, sebbene questi modelli appaiano molto distanti tra loro, restano accomunati da una inequivocabile esemplarità: questo è il presupposto che avvicina la vita del santo medievale, elaborata secondo topoi stereotipati, alla biografia moderna, dove l’individuo emerge per la propria originalità. Dunque, se nel medioevo all’individuo è richiesto l’adempimento ideale alla norma, nell’epoca del romanticismo il valore risiede nella deviazione rispetto alla norma. In entrambi i casi però, secondo Lotman, il singolo portatore di una biografia segue una regola di comportamento che non è abituale, ma inconsueta5. Anche nel caso di The Moon and Sixpence, l’irresistibile vocazione artistica di Stricklalnd diviene il movente ideale per una condotta totalmente anomala, che induce il personaggio ad abbandonare una serie di virtù borghesi e a deviare da convenzionali norme comportamentali per inseguire uno scomodo ideale. Gli eventi che costituiscono questa storia, come la fuga a Parigi e poi a Taihiti, ripercorrono le scelte imprudenti di Gauguin e, al contempo, lasciano intravedere un fine certamente caro anche a Maugham: eludere una normatività opprimente che disumanizza l’uomo e indebolisce l’estro.
Inoltre, attraverso la stesura dell’opera, l’autore recupera pienamente l’immagine canonizzata dell’artista segnato dall’alto, destinato a seguire la propria inclinazione per realizzare un’impresa di valore incommensurabile. Infatti Charles, dal momento in cui decide di partire, sembra rispondere a comandi superiori senza comprenderne l’entità e il senso. Il romanzo è anche un esempio di Künstlerroman, in cui si rintracciano delle costanti aneddotiche che riguardano la personalità dell’artista, utili a sottolinearne l’alterità, cioè la distanza dall’uomo qualunque. Luoghi comuni come il modo eccentrico di vestire, le abitudini stravaganti o l’isolamento dal mondo esterno costituiscono un repertorio leggendario di comportamenti cui spesso si fa riferimento per la realizzazione di opere di tal genere, e Maugham ne sembra perfettamente cosciente6.
Charles Strickland è un vero e proprio antieroe, un uomo del tutto inadatto alla missione estetica cui è destinato che, però, non si esime dal perseguirla:
I fatti sono molto più opachi. Strickland, ragazzo appena uscito di scuola, era entrato nell’ufficio di un agente di cambio senza alcun senso di disgusto. Fino al matrimonio aveva condotto la vita solita dei suoi colleghi, giocando prudentemente in borsa […] Gli anni del suo laborioso apprendistato furono monotoni, e non mi risulta che negli espedienti cui dovette ricorrere per guadagnare tanto da mantenersi ci sia tanto di significativo. […] Per strano che possa sembrare, Strickland mi parve sempre una persona non solo pratica, ma estremamente realistica. Suppongo che in quel periodo la sua vita abbia avuto aspetti romantici, ma certo di romantico egli in essa non vedeva nulla.7
Il grigiore di Strickland, nell’arco della sua vita, assumerà tratti sempre più cupi, fino a generare una personalità del tutto inavvicinabile, rozza e temibile. Tuttavia, è proprio nell’inadeguatezza del personaggio che si colloca l’origine dell’ammirazione e dell’effetto mitico. Questa vita dagli aspetti tiepidi contribuisce a immergere il lettore in un costante stato di incredulità: «Charles Strickland visse oscuramente; si fece più nemici che amici. Nessuna meraviglia, dunque, se chi ha scritto di lui ha impinguato i propri scarsi ricordi con una vivace immaginazione, ed è evidente che nel poco che di lui si sapeva c’era di che dare spago all’estro romanzesco»8.
Il timido narratore stabilisce una premessa importante: se è vero che la vita produce meravigliosi scarti fatti di mondi possibili, al testo è affidato proprio il recupero di questi mondi, dunque, chi scrive può controbilanciare i vuoti che la realtà ha prodotto attraverso un uso sapiente della fantasia. Non v’è dubbio che l’autore ci offra una dichiarazione di poetica esplicita attraverso le parole del suo personaggio-narratore. Finzione e realtà cooperano per la composizione di quest’opera, e anche se Gauguin non è mai esplicitamente menzionato è evidente che fornisca al romanzo un paradigma cui ispirarsi.
Non per questo, però, Maugham rinuncia all’effetto di verosimiglianza, infatti l’inserimento di note a margine serve a certificare l’esattezza di alcune informazioni, sebbene queste siano completamente inventate. Neanche il paratesto, dunque, è escluso dalle strategie di finzionalizzazione ed è utile a tendere un tranello al lettore, il quale facilmente confonde il vero con il falso, la realtà e la fiction9.
A supporto di questi meccanismi di falsificazione è utilizzato anche l’efficace strumento dell’ekphrasis, atto alla realizzazione immaginativa del romanzo tramite descrizioni estremamente accurate ed evocative. Nel dettaglio, durante la lettura ci imbattiamo in cinque esempi di ekphrasis, e in ciascuno di questi casi la narrazione vera e propria si interrompe, introducendo il lettore in una dimensione extratestuale e attivando emozioni di carattere percettivo. Inoltre, essendo delimitata dal resto del testo, la descrizione ecfrastica acquisisce lo status semiotico di testo nel testo, riflettendo il tipo di percezione di «vista attraverso la finestra» e risultando ancor più emblematica, dal momento in cui le opere rievocate non hanno un corrispettivo unico e specifico nel reale, ma alludono piuttosto a esempi di stile, a oggetti e a tonalità riscontrabili in molteplici opere di Paul Gauguin10. La prima ekphrasis è particolarmente determinante per lo svolgimento della trama:
Era un nudo. Il cuore cominciò a battergli furiosamente, perché temette che fosse un lavoro di Strickland. Lo sbatté con rabbia contro la parete – che cosa si credeva, Strickland, a lasciarglielo là? – ma la tela cadde, a faccia sotto, per terra. Di chiunque fosse il quadro, non poteva lasciarlo nella polvere, e lo rialzò; e poi la curiosità ebbe il sopravvento. Stroeve si disse che, in fondo, non gli sarebbe dispiaciuto dargli un’occhiata come si deve, e allora lo prese e lo mise sul cavalletto. Poi indietreggiò di qualche passo per osservarlo comodamente. Ansimò. Il quadro raffigurava una donna coricata su un sofà, con un braccio sotto il capo e l’altro lungo il fianco; un ginocchio era sollevato, l’altra gamba allungata. La posa era classica. Stroeve sentì la testa girargli. Era Blanche.11
Dirk Strove, artista mediocre e fedele amico di Strickland, dopo la morte di sua moglie Blanche, si reca nella casa in cui era stato consumato il tradimento dell’amata sposa con il suo vile amico. Durante questa ricognizione, Stroeve ritrova una maestosa opera che ritrae un nudo: Strickland, senza alcun rimorso, dopo aver ritratto Blanche, aveva conservato il quadro dove l’amico l’avrebbe certamente ritrovato. La superbia di Strickland non è, però, volta ad addolorare Stroeve, bensì a non lasciare inosservata un’opera che anch’egli ritiene di inestimabile pregio. L’idea più plausibile è che Maugham, per realizzare la descrizione di quest’opera cruciale, abbia recuperato l’immagine dello scandaloso nudo dell’Olympia di Manet (1863) di cui Gauguin custodiva gelosamente una fotografia che portò con sé a Tahiti e di cui realizzò anche una meticolosa copia nel 1891.
Édouard Manet, Olympia, 1863, olio su tela, 130,5 x 190 cm, Musée d’Orsay, Parigi.
All’interno del testo si crea un inquietante e inevitabile senso di dissonanza che invoca la necessità di sopprimere in parte la conoscenza dell’opera di Gauguin, al fine di intrattenere la finzione dei capolavori prodotti da Charles Strickland, ma, allo stesso tempo, la possibilità di attingere a una galleria di immagini conservate nella memoria fornisce al fruitore un incentivo alla visualizzazione e alla concretizzazione della storia12.
Lo sguardo di Strove, soffermandosi a scrutare i dettagli del quadro, si dinamizza, recuperando il duro ricordo del tradimento e innescando una serie di emozioni contrastanti:
«Non so che cosa mi accadde. Stavo per fare uno squarcio nella tela, avevo il braccio pronto a vibrare il colpo, quando d’improvviso ho veduto».
«Veduto cosa?»
«Il quadro. Era un’opera d’arte. Non potevo toccarlo. Ho avuto paura».
Stroeve tacque di nuovo, e mi fissò a bocca aperta, con i tondi occhi azzurri che schizzavano dalle orbite.
«Era un grande quadro, meraviglioso. Sono stato preso da un timore reverenziale. Avevo quasi commesso un tremendo delitto. Mi sono spostato per vedere meglio, e il mio piede ha urtato il raschietto. Sono rabbrividito».13
L’impagabile valore dell’opera è destinato a trionfare sia sui sentimenti personali che sulla sensibilità etica. Nonostante ciò, il tentativo di Stroeve di lacerare la tela testimonia una sorta di superamento della distanza estetica, avendo egli per qualche istante dimenticato la convenzionalità dell’immagine, figurandosi dinanzi agli occhi, a causa della sua rabbia accecante, l’immagine del nemico invisibile che l’opera, invece, celava. L’esperienza di Stroeve, dunque, adempie il principio ecfrastico secondo cui, grazie al carattere mimetico, l’immagine prende vita, riaffermando la propria consistenza materiale14.
Il culmine dell’arte di Strickland, però, è rappresentato dall’ultimo e inquietante affresco, realizzato dal pittore sui muri della casa che condivideva con la compagna tahitiana e che facilmente diviene la sintesi dello stile e della poetica di Gauguin:
Dal pavimento al soffitto le pareti erano ricoperte da una strana ed elaborata composizione. Era indescrivibilmente meraviglioso e misterioso. Gli tolse il fiato. Lo riempì di un’emozione che non poteva capire né analizzare. Provò il timore reverenziale e la gioia che potrebbe provare un uomo che ha visto l’inizio di un mondo. Era tremendo, sensuale, appassionato; eppure c’era anche qualcosa di orribile, qualcosa che lo faceva paura… C’era qualcosa di primordiale e terribile. Non era umano. Gli riportò alla mente vaghi ricordi di magia nera. Era bello e osceno.15
Paul Gauguin, D’où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous?, 1897, olio su tela, 139,1 x 374,6 cm, Museum of Fine Arts, Boston.
Tra le righe di questa descrizione sembra facilmente riemergere il capolavoro di Gauguin Da dove veniamo? Chi siamo noi? Dove andiamo? e, in effetti, la difficoltà nello specificare il soggetto di quell’impressionante opera affrescata pure sembra presumerlo:
Non so bene. Era strano e fantastico. Era una visione degli inizi del mondo, il Paradiso terrestre, con Adamo ed Eva – que sais-je? – era un inno alla bellezza della forma umana, maschile e femminile, l’esaltazione della Natura, sublime, indifferente, incantevole e crudele. Ti dava un senso arcano dell’immensità dello spazio e dell’infinità del tempo. Vi erano dipinti alberi che ho davanti agli occhi ogni giorno […] E quegli uomini e quelle donne nude. Erano parte della terra, dell’argilla con cui sono stati creati, e al tempo stesso avevano qualcosa di divino. Vedevi l’uomo nella nudità dei suoi istinti primordiali, e ti faceva paura, perché vedevi te stesso.16
Entrambi i dipinti, sia quello reale che quello fittizio, sono tentativi di presentare un resoconto della creazione, oltre a essere, in egual misura, espressione del compimento della missione artistica degli autori. In terzo luogo, sia la pittura reale che quella immaginaria sono strettamente associate alla morte dell’artista. Gauguin annunciò la sua intenzione di suicidarsi al completamento dell’opera Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, mentre Strickland, ormai cieco, muore effettivamente di lebbra nelle stanze le cui pareti recano la sua dichiarazione finale. Tale dichiarazione condivide con l’artista una natura caduca e precaria, in quanto anch’essa sopravvive solo fino a quando la compagna brucia la casa, come, per superbia o per disprezzo, lo stesso Strickland aveva richiesto17.
L’ombra di Gauguin sembra aleggiare su tutte le pagine del romanzo, la sua presenza è palpabile e inappellabile, sebbene venga costantemente e volontariamente taciuta. Al lettore è richiesto uno sforzo considerevole: credere che un uomo detestabile abbia prodotto le opere di Paul Gauguin. Ma se è vero che «la cosa più importante in arte è la personalità dell’artista»18, questa finzione biografica assolve perfettamente il compito di restituire profondità e vitalità alle immagini che dimorano indisturbate nella mente di molti.
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Cfr. Laurence Wright, References to Gauguin paintings in Somerset Maugham’s The moon and sixpence, «Literator», XXXV/1, 2014, pp. 1-12. ↑
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William Somerset Maugham, La luna e sei soldi, trad. it. di F. Salvatorelli, Milano, Adelphi, 2002, pp. 9-10. ↑
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«Poi c’è Gauguin. Non è un grande artista… penso che la sua vita e il suo carattere siano più interessanti dei suoi dipinti. Una volta ho scritto una descrizione fantasiosa di una natura morta nel museo di Stoccolma, ma è nelle sue scene tahitiane che è veramente se stesso. Sono volutamente stilizzate, ma hanno un carattere idilliaco che ricorda quelle incantevoli isole dei Mari del Sud e per uno che li ha vissuti evocano ricordi di contenuto sensuale e di una felicità dello spirito che il passare del tempo non potrà mai del tutto offuscare» (Id., Paintings I have liked, in A traveller in romance: Uncollected writing 1901–1964, a cura di J. Whitehead, Londra, Anthony Blond, 1984, pp. 47-53, trad. mia). ↑
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Tamara Karpukhina, L’ekphrasis e il suo funzionamento nel romanzo di Somerset Maugham La luna e sei soldi, «Bollettino dell’Università Statale di Kemerovo», 2, 2017, pp. 200-204. ↑
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Cfr. Jurij M. Lotman, Il diritto alla biografia. Il rapporto tipologico fra il testo e la personalità dell’autore, in La semiosfera. L’asimmetria e il dialogo delle strutture pensanti, a cura di S. Salvestroni, Venezia, Marsilio, 1985, pp. 181-199; Isabella Pezzini, Biografia e autobiografia in Barthes e Lotman. Un confronto di prospettive, «Ocula», 17, 2016, pp. 6-8. ↑
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Cfr. Maddalena Spagnolo, La biografia d’artista: racconto, storia e leggenda, in Enciclopedia della cultura italiana, Torino, UTET, 2010, vol. X, pp. 375-393. ↑
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W. Somerset Maugham, La luna e sei soldi, cit., p. 170. ↑
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Ivi, p. 12. ↑
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Cfr. Riccardo Castellana, Finzioni biografiche. Teoria e storia di un genere ibrido, Roma, Carocci, 2019, pp. 43-87. ↑
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Cfr. T. Karpukhina, L’ekphrasis e il suo funzionamento nel romanzo di Somerset Maugham La luna e sei soldi, cit., pp. 200-204. ↑
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W. Somerset Maugham, La luna e sei soldi, cit., p. 150. ↑
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Cfr. L. Wright, References to Gauguin paintings in Somerset Maugham’s The moon and sixpence, cit., pp. 1-12. ↑
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W. Somerset Maugham, La luna e sei soldi, cit., p. 150. ↑
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Cfr. L. Wright, References to Gauguin paintings in Somerset Maugham’s The moon and sixpence, cit., pp. 1-12. ↑
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W. Somerset Maugham, La luna e sei soldi, cit., p. 228. ↑
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Ivi, pp. 230-31. ↑
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Cfr. L. Wright, References to Gauguin paintings in Somerset Maugham’s The moon and sixpence, cit., pp. 1-12. ↑
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W. Somerset Maugham, La luna e sei soldi, cit., p. 10. ↑