4 | 2023  ·  Recensioni

g. bassi, «con assoluta sincerità». il lavoro editoriale di natalia ginzburg (1943-1952), firenze-siena, firenze university press-usiena press, 2023, 196 pp.

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Mentre ai profili editoriali degli scrittori che hanno collaborato con Einaudi – come Calvino, Vittorini e Pavese – sono stati dedicati numerosi studi, la figura di Natalia Ginzburg è sempre rimasta nell’ombra. Il libro di Giulia Bassi «Con assoluta sincerità». Il lavoro editoriale di Natalia Ginzburg (1943-1952) mira a restituire un punto di vista inedito sul ruolo di primo piano svolto da Natalia Ginzburg nella redazione di Einaudi a cavallo fra gli anni Quaranta e Cinquanta. Fra i pregi del lavoro vi è senza dubbio la qualità e la tipologia dei materiali a cui la studiosa attinge per la sua ricostruzione. Si tratta prevalentemente di documenti pratici che attestano il concreto lavoro svolto nella redazione di Einaudi e che sono attualmente conservati presso la sezione Archivio Einaudi dell’Archivio di Stato di Torino. Fra questi, oltre ai verbali delle riunioni di redazione, spicca il Giornale di Segreteria della sede di Torino, ovvero il luogo dove i diversi redattori di Einaudi annotavano osservazioni e commenti sui libri in lavorazione e che fungeva anche da mezzo di comunicazione fra la sede torinese e quelle di Roma e Milano. Il giornale è costellato dai commenti di Ginzburg, la quale era solita firmarsi con il nome di battesimo e non con il cognome, «più familiare e quindi anche meno autorevole in un contesto prevalentemente se non esclusivamente maschile» (p. 35). Sono infatti proprio le vicende familiari ad avvicinare Natalia Ginzburg alla redazione einaudiana.
Il capitolo 1, dedicato agli anni 1937-1944, racconta le vicende precedenti all’effettiva assunzione di Ginzburg nella sede romana di Einaudi nel 1944. Natalia esordisce nella casa editrice fondata dal marito Leone come traduttrice dal francese e in questo contesto “famigliare” acquisisce le competenze su cui si fonderà il suo lavoro negli anni successivi. Nel 1937 le viene affidato un incarico di grande rilievo, sul quale tornerà più volte nel corso della sua carriera: la traduzione della Recherche di Marcel Proust per la collana Narratori stranieri tradotti. Natalia riuscirà a completare soltanto una parte della traduzione de La strada di Swann, interrotta a causa delle vicende storiche e personali che coinvolgono l’autrice fra gli anni Trenta e Quaranta (prima la guerra e poi la morte del marito Leone).
Nel capitolo 2 inizia il racconto dell’esperienza editoriale in Einaudi, segnata dal passaggio dalla sede di Roma a quella di Torino nel 1945. Emerge l’immagine di una redattrice dal piglio forte e determinato – esemplificata dalla ricorrenza di giudizi secchi condensati in formule come «Natalia legge e boccia» (p. 52) – in aperta contraddizione con il racconto della donna insicura e ripiegata che l’autrice ha fatto di sé nei propri scritti autobiografici (come ne La pigrizia, 1969).
Lo stile editoriale di Ginzburg – ricostruito nel capitolo 4 attraverso l’esame delle lettere editoriali – risulta impostato su criteri qualitativi semplici e ricorrenti, parole che si ritrovano nei suoi giudizi e pareri fin dagli anni Quaranta e che andranno a formare un vero e proprio lessico editoriale. Fra questi, la dicotomia ‘bello/brutto’ («capisco solo il linguaggio del bello e del brutto», scriverà a Fortini nel 1980, p. 9) e l’opposizione ‘vero/falso’, che assume i tratti di una vera e propria «ossessione per la verità» (p. 15), per la rappresentazione ‘vera’ nei testi di poesia e narrativa che erano sottoposti alla sua attenzione. Ginzburg, infatti, invitava gli autori di cui leggeva i testi a inventare il meno possibile e ad aderire il più possibile alla realtà della vita stessa, specialmente in aspetti come la caratterizzazione politico-sociale e linguistica dei loro personaggi. La ricerca della verità – che a tratti assume il carattere di un vero e proprio “dovere” – motiva e giustifica «l’assoluta sincerità» a cui allude il titolo del libro, ovvero l’atteggiamento diretto e a tratti severo con cui Ginzburg leggeva, valutava e spesso rifiutava i testi degli autori. La postura rigida assunta da Ginzburg è probabilmente la conseguenza di un forte desiderio di autoaffermazione all’interno di un contesto tradizionalmente riservato agli uomini. Da qui la decisione non solo di parlare di sé utilizzando i maschili “romanziere”, “traduttore” o “collaboratore”, ma anche di optare per uno stile editoriale asciutto e spoglio che le evitasse il rischio di una scrittura «attaccaticcia e sentimentale» (p. 16), tipicamente femminile. D’altra parte, la lettura dei testi e il contatto diretto con gli autori favoriscono anche un’intensa riflessione sulla scrittura personale, secondo la «capacità di scrittura di generare altra scrittura» (p. 53).
Esemplificativi in tal senso sono il confronto che Ginzburg apre con Silvio Micheli sul proprio modo di scrivere (al cui carteggio è dedicato il capitolo 3) e il dialogo intrattenuto con autrici come Elsa Morante e Renata Viganò, fra le prime autrici ad essere inserite nelle collane einaudiane dei Coralli e dei Supercoralli, di cui Ginzburg fu consulente a partire dal 1949 (e di cui si ricostruiscono la nascita e lo sviluppo nel capitolo 5). Il ripensamento del catalogo einaudiano e la sperimentazione di nuove collezioni portano l’autrice ad assumere ruoli di maggiore responsabilità all’interno della redazione, al punto che Pavese dirà che in Einaudi «della narrativa si occupa solo Natalia» (pp. 89-90). All’inizio del 1949 Ginzburg è la principale referente sulla narrativa italiana e francese e condivide il proprio lavoro prevalentemente con Bruno Fonzi a Torino e con Vittorini a Milano.
Al carteggio con Vittorini è dedicato il capitolo 6, dal quale emerge un’immagine di Ginzburg fortemente impegnata nella progettazione di nuove collane editoriali e nella ridefinizione di quelle già esistenti. Dalle discussioni fra i due autori nascerà la collana Gettoni, di cui entreranno a far parte alcuni libri scoperti e seguiti proprio da Natalia. Da questo punto di vista, la lettura dei carteggi con gli autori coinvolti nella collana (capitolo 7) fa emergere un maggior coinvolgimento di Ginzburg rispetto a quanto testimoniato dai documenti ufficiali di Einaudi, un lavoro che «rischia di rimanere sommerso dal peso del nome di Vittorini come responsabile di collana, su cui si sono concentrati gli studi» (p. 114).
Fra il 1946 e il 1951 Einaudi decide di pubblicare in versione integrale tutti i volumi della Recherche e affida la coordinazione della traduzione proprio a Natalia Ginzburg. Con lei si confronteranno, nel corso degli anni, tutti i traduttori, sia su questioni pratiche (dalla consegna dei volumi ai pagamenti) sia sui criteri stilistici da adottare. I capitoli 8 e 9, che chiudono il libro, recuperano il filo del discorso idealmente iniziato con il capitolo 1 e sono dedicati alla metodologia traduttiva messa a punto da Ginzburg in quegli anni, osservata attraverso i carteggi con i traduttori della Recherche. La linea stilistica a cui i traduttori sono tenuti ad attenersi è quella di una «fedeltà più scrupolosa al testo» (p. 147) che però lasci comunque un margine di interpretazione poetica. Natalia monitora e dirige questo lavoro, assicurandosi che vi sia continuità tra i significati lessicali adottati da ciascun traduttore, in modo tale da garantire uniformità di tono all’intera traduzione. Questo controllo scrupoloso del lavoro compiuto sui testi viene percepito dai collaboratori, specialmente da Dal Fabbro, come un tentativo di accentramento di potere da parte di Natalia. In realtà ad animare la discussione fu piuttosto il rischio che Ginzburg usurpasse un ruolo di direzione che il contesto lavorativo dell’epoca riservava agli uomini, un “rischio di usurpazione” che probabilmente è alla base anche del giudizio negativo che Debenedetti dà della traduzione de La strada di Swann, della quale criticava il tono eccessivamente “casalingo” e quindi “femminile”. Come osserva Bassi, «il testo di Proust è allora anche un luogo metaforico dove si modificano i confini di un atto, quello di interpretare, rielaborare e rendere attraverso la traduzione il testo narrativo, sentito come prerogativa maschile» (p. 143). Lo screditamento stilistico si configura come un tentativo di ristabilire un controllo maschile non tanto sul mestiere di traduttore quanto sul testo stesso, come se la traduttrice fosse «‘invisibile’ e ‘fantasma’, in ogni caso priva sia di una personalità stilistica […] sia di un ‘potere’ editoriale» (p. 144).
Il libro di Bassi mette in luce il ruolo di pioniera che Natalia Ginzburg ha assunto all’interno del panorama editoriale italiano dell’epoca, un contesto in cui i ruoli di spicco e decisionali erano quasi sempre occupati dagli uomini. Negli anni in cui Ginzburg lavora in Einaudi, le donne iniziano, a poco a poco, a svolgere mansioni di crescente rilievo all’interno delle case editrici: oltre ai casi più noti – come Inge Feltrinelli o Elvira Sellerio – ricordiamo la figura di Anita Klinz, che lavorò a lungo come illustratrice per Mondadori e il Saggiatore e che molti considerano la prima art director italiana. I lavori come quello di Giulia Bassi hanno il pregio di portare alla luce l’influenza silenziosa ma significativa del lavoro delle donne nell’industria culturale del nostro paese, le cui storie spesso vengono oscurate da quelle dei loro colleghi uomini più noti e influenti. E se, stando ai dati, le donne costituiscono oggi un vero e proprio “esercito” massiccio di lettrici, libraie, redattrici e traduttrici, ai piani alti delle case editrici e delle organizzazioni letterarie gli uomini occupano ancora i posti di maggiore rilievo. La strada da percorrere affinché le donne possano godere di una piena parità in ambito lavorativo è ancora lunga, ma le storie come quella di Natalia Ginzburg redattrice in Einaudi, permettendoci di osservare il passato sotto una luce diversa, costituiscono degli ottimi precedenti per guardare con speranza al futuro.

Camilla Russo
Università di Napoli Federico II