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L’accademia ferma gli orologi: romanzo accademico e romanzo del lavoro

DOI

Introduzione

Come avvenuto per la letteratura working class1, anche per quel che concerne il romanzo accademico l’opera di canonizzazione in un sottogenere della narrativa italiana con proprie caratteristiche, figure e ambientazioni è emersa solo di recente2, contestualmente all’avvento, rispetto a un lungo periodo che aveva visto singoli autori tentare di adattare gli stilemi propri del più noto campus novel3 al contesto universitario italiano, di una generazione di scrittrici e scrittori più sensibili alla dimensione economica e propriamente lavorativa della vita dell’intellettuale specializzato.
Se in studi precedenti si è perciò dimostrato come, pur attingendo o adattandosi anche ad altri generi e offrendo una miriade di rappresentazioni di altrettanti fatti sociali, diversi racconti, romanzi, fumetti e film di produzione italiana contemporanea costituiscano un ormai ampio corpus di narrazioni intorno all’università, si vogliono ora approfondire i punti di contatto tra il romanzo accademico e la narrativa sul lavoro, non tanto e non solo confrontando i due sottogeneri, ma semmai analizzando una selezione di opere alla luce di strumenti propri dello studio sociologico sul lavoro di ricerca e, al contempo, registrando l’attitudine di autrici e autori nei confronti del lavoro e della sua rappresentazione.

1. Le regole del campo accademico

In Homo academicus, oltre a elaborare, come di consueto, una cassetta degli attrezzi utile a chiunque voglia approfondire lo studio del campo universitario, Bourdieu prosegue il lavoro iniziato insieme a Passeron nel ricostruire figure, contesti e retoriche da cui trarre altrettante categorie utili all’individuazione di archetipi e topos della rappresentazione letteraria degli intellettuali specializzati.
Per il sociologo, nell’inquadrare il funzionamento del potere all’interno del campo accademico, e come esso «riproduce nella sua struttura il campo del potere che, agendo in termini di selezione e inculcamento, contribuisce a riprodurre la sua stessa struttura», bisogna innanzitutto operare una prima distinzione tra gli intellettuali specializzati nei saperi scientifici, che più facilmente e di frequente accedono ad altre forme di capitale, e quelli invece esperti nelle discipline umanistiche, per il quali «la notorietà intellettuale rappresenta il solo tipo di capitale e di profitto» spendibile in altri campi, e il cui «potere accademico […] è fondato principalmente sul controllo degli strumenti di riproduzione del corpo docente»4 quali le commissioni interne all’ateneo e quelle dei concorsi o la curatela delle tesi di laurea oltre che, stavolta internamente ai singoli Dipartimenti o Facoltà, su un principio di anzianità che quasi sempre coincide con un avanzamento nella gerarchia universitaria.
Da tale organizzazione delle strutture interne, deriva conseguentemente il potere, da parte dei detentori di un maggiore capitale simbolico, di agire concretamente «sulle speranze […] fondate tanto sulla disposizione a giocare e sull’investimento nel gioco, quanto sulla incertezza oggettiva del gioco» e «sulle probabilità oggettive […] attraverso la delimitazione dell’universo dei concorrenti possibili»5, selezionati fra i loro delfini – assistants, ricercatrici, dottorandi «in cerca di maestri di pensiero e di vita» trovano in docenti prestigiosi l’immagine «dell’intellettuale che si vorrebbe essere»6 così che «i “patroni” […] ben dotati del senso del gioco necessario a piazzare i loro clienti, assicurare loro una carriera e assicurarsi così la trasmissione del potere, devono trovare l’optimum tra il desiderio di tenere in pugno il più a lungo possibile i loro “pupilli” […] e la necessità di “sostenerli” sufficientemente per non deluderli, per legarli a sé»7.
Il tempo, nel senso di «attesa come desiderio interessato di ciò che verrà, che modifica stabilmente – per tutto il tempo di durata dell’attesa – la condotta di colui che conta su ciò che è auspicato» e come «arte di far attendere, nel doppio senso di suscitare, incoraggiare o mantenere la speranza, attraverso promesse o attraverso l’abilità a non deludere, negare o scoraggiare le aspettative e, allo stesso tempo, tramite la capacità di frenare e di contenere l’impazienza»8 diventa così strumento fondamentale dell’affermazione del potere del docente strutturato all’interno del campo accademico, nonché unico capitale simbolico a disposizione del delfino, da sacrificare sostituendosi al suo mentore nella «partecipazione a riti, cerimonie, riunioni, rappresentazioni»9 proprie del lavoro universitario; vale la pena specificare come tale uso gerarchico del tempo venga esercitato tanto dai docenti più legati alla gestione politica dell’istituzione quanto da quelli che occupano la posizione di «eretici consacrati»10, maggiormente dediti allo studio e riconosciuti più fuori che dentro l’accademia.
Secondo studi più recenti11, il tempo, inteso in questo caso non come disposizione all’attesa ma in quanto celerità «nel configurarsi in qualità di forza lavoro»12 capace di produrre una mole sempre maggiore di pubblicazioni e rendicontazione delle attività a fronte di risorse sempre più ristrette, è diventato, come anche in altri campi, uno dei criteri di selezione fondamentali dell’università neoliberista, al punto da impedire in realtà il regolare svolgersi del lavoro di ricerca: «il suo mansionario riportava espressamente che il sessanta per cento del suo tempo avrebbe dovuto essere dedicato alla ricerca, ma non si capiva in quale giorno di ventiquattro ore tutto questo sarebbe stato possibile»13.
A margine va tenuto conto, nell’analisi tanto del campo accademico quanto della sua messa in scena letteraria, che il ruolo di classe, razza e genere, di origine continua ad essere rilevante nell’istituzione universitaria intesa come il «nuovo campo in cui si verificano processi di acculturazione ai valori e alle conoscenze della classe dominante, con il possibile ingresso nell’élite»: laddove gli studenti delle classi agiate interiorizzano già nel campo familiare «norme di comportamento e competenze che ne favoriranno l’inserimento scolastico, […] gli studenti delle classi meno abbienti presentano maggiori difficoltà» perché tenuti ad «assimilare valori e norme di comportamento in linea con quelli della classe dominante»14.

2. Romanzo accademico e romanzo del lavoro

Dopo aver selezionato temi e strumenti d’analisi d’ispirazione sociologica – rivalità interne al campo, rapporto tra mentore e allievo, tempo come capitale, rapporti di oppressione –, vale ora la pena individuare le due modalità narrative – talvolta coincidenti – proprie del romanzo working class più ricorrenti nelle narrazioni d’ambientazione universitaria: da un lato quelle che pongono al centro un arco di vita del personaggio in quanto working class hero, dall’altro le opere in cui la narrazione si concentra invece sulla descrizione di azioni, convenzioni, difficoltà e distrazioni proprie dell’accademia in quanto contesto lavorativo.
Un esempio del primo caso, che vede un protagonista proveniente da un contesto di subordinazione sociale tentare – e, di solito, fallire – in un tentativo di avanzamento di classe, è costituito da La cospirazione delle colombe di Vincenzo Latronico, in cui il protagonista Donka Berati sembra inizialmente riuscire a inserirsi fra gli economisti milanesi salvo poi doversi scontrare tanto con la generale precarizzazione del lavoro universitario quanto con la sua condizione di migrante; non dissimili sono, come si vedrà più avanti, le ragioni dell’esclusione di Lenù da ogni possibilità di proseguire nella carriera accademica in Storia del nuovo cognome15, o ancora le cause delle peripezie del ricercatore di giurisprudenza protagonista del film Il tuttofare16 di Valerio Attanasio, già autore della sceneggiatura di Smetto quando voglio17 e più di recente della serie L’effetto Dorothy18, incentrato invece su un team di ricercatori della fantomatica facoltà di Psicologia di Volterra.
L’attenzione al lavoro dell’intellettuale specializzato predomina invece in opere quali La scomparsa di Majorana19 di Leonardo Sciascia – uno dei padri nobili del genere –, nell’anti-giallo di Laura Benedetti Secondo piano20, in cui la partecipazione a concorsi, la selezione di commissioni, la scrittura di articoli, l’organizzazione di convegni, l’analisi di dati, diventano temi o espedienti narrativi, o ancora nel poliziesco I delitti di via Medina-Sidonia di Santo Piazzese, in cui la narrazione del mestiere di ricercatore in biologia si fa inaspettatamente tutt’uno con i metodi d’indagine del detective improvvisato Lorenzo La Marca:

Al dipartimento c’è l’uso di archiviare nella segreteria generale del settimo piano una copia dei protocolli sperimentali dei gruppi di ricerca. È una procedura anomala, negli ambienti accademici; da noi l’ha imposta Fifì, […] strenuo sostenitore della massima accessibilità ai risultati delle ricerche finanziate con i soldi pubblici. Fino a qualche anno fa l’archivio era esclusivamente cartaceo. Con l’avvento del computer si è passati ai floppy disk. Anche i vecchi protocolli sono stati progressivamente trascritti su dischetti, risalendo fino a quelli di una ventina d’anni fa. […] Comunque, dubitavo che ci fosse un nesso tra il contenuto di quei dischetti e il suicidio, se di suicidio si trattava21.

Un caso a sé è poi costituito da Scuola di nudo di Walter Siti, «Confessiones vero-finte di un docente di Letteratura italiana dell’Università di Pisa, in cui questi svela lo scandalo di un’istituzione ormai interamente corrotta e inutile, per […] dedicarsi finalmente, anima e corpo, alla sua passione: i culturisti e il loro corpo lucido e “perfetto”»22, e nel ricostruire la versione finzionale della propria carriera, evita volutamente qualsiasi narrazione di classe, poi reintegrata nel saggio Pagare o non pagare:

Il piacere di pagare era il piacere di sentirsi uguali, era il diritto di prendere cose grandi; e se questo significava, inconsciamente, tradire la classe di provenienza, mascherarsi da ciò che non si era, rinunciare una volta per tutte a ogni cambiamento radicale che potesse mettere a rischio le nuovissime conquiste, be’ tanto peggio per l’inconscio23.

Anche se destinato a tornare sul tema costantemente e da diverse angolature – come ragione d’alienazione, strategia di fuga, merce –, «Siti in fondo denigra il lavoro»24 e, anche per questo, non include particolari riferimenti a una prospettiva working class nel suo romanzo, limitandosi piuttosto a segnalare anche nella finzione il rigetto per la passata, ipocrita adesione al marxismo e per i «libretti einaudiani»25 da lui pubblicati.

3. Le rivalità interne

Se la rivalità tra i due rami dell’accademia è argomento poco trattato nel romanzo accademico, e può semmai trovare un riflesso nel differente approccio alla critica dell’istituzione dal momento che la dimensione di analisi del sistema di potere è più sfumata quando non assente in autori legati alle discipline scientifiche, ben più ampia è, già da Il giocatore invisibile di Giuseppe Pontiggia26, la rappresentazione della competizione tra pari, che si tratti di ‘baroni’ in lotta per l’acquisizione di prestigio o di delfini in cerca di attenzioni dai primi o di un più generico senso di affermazione sugli altri.
La conquista di un protettore è tema centrale in Scuola di nudo, in cui viene messa in scena una competizione edipica tra il Walter Siti finzionale e il Cane per le attenzioni e le raccomandazioni del Padre in merito all’assegnazione di una cattedra. Similmente viene riproposta nella descrizione che Remo Ceserani fa dei rapporti tra accademici in Viaggio in Italia del dottor Dapertutto27, ma è in Etica dell’acquario di Ilaria Gaspari che, lasciate sullo sfondo le triangolazioni amorose che ne sostengono la trama noir, l’accademia in quanto luogo agonistico trova una rappresentazione più accurata:

Le parole mormorate in biblioteca […] costruivano piccoli castelli di paure, che inghiottivano le matricole fresche di liceo e spesso non le liberavano più […] favorendo l’iperspecializzazione, l’erudizione, il fanatismo di distinguersi dagli altri per originalità di scelta nell’argomento di studio, e per esattezza, profondità e acribia nella scientificità con cui l’argomento veniva affrontato, domato e posseduto. Per questo […] nella Scuola fioriva quella particolare, contagiosa paura, che si nutriva del colpevole sollievo per i fallimenti altrui28.

La rivalità in campo erotico torna invece ad alternarsi a quella accademica ne La cospirazione delle colombe, anche quando la carriera universitaria continua solo per uno dei protagonisti:

Quando Alfredo tornò a casa trovò la luce accesa nella stanza di Donka. Entrò senza bussare e gli chiese cosa faceva. Donka rispose senza voltarsi. “Scrivo l’articolo per Corradini. Scusa, devo consegnare alle nove, sono impiccato. Ci vediamo dopo? Ma sei tornato ora?”[…], Donka si domandò se la strada che aveva scelto fosse quella giusta. Si chiese quanto a lungo avrebbe potuto ritenersi soddisfatto dal primato piccolo dell’accademia, dal potere risibile che esercitava sulle matricole, e quando avrebbe potuto ostentare come conquista quello che Alfredo esibiva per diritto di nascita. Si chiese con quante donne avesse scopato Alfredo quella notte, e prima di rimettersi al computer, solo un istante, si chiese se avrebbe fatto a cambio29.

Pur approfondendo ampiamente la dimensione del desiderio in altre parti de La fine dell’altro mondo, Filippo D’Angelo la separa invece del tutto dalla tensione tra dottorandi allievi del medesimo maestro che costituisce la causa principale della quest intrapresa dal protagonista Ludovico, timoroso di finire scavalcato nella ricerca del finale di un’opera incompiuta di Cyrano de Bergerac dal rivale Gabrielli, pronto «a bruciare senza difficoltà le tappe di una carriera proibitiva»30 e, quindi, più affidabili agli occhi del professor Bagnasco.
Più rara è però, in narrazioni che pure approfondiscono non poco i complessi motivi sociali e personali che animano rapporti e rivalità interne e anche rispetto a molta produzione anglofona, la messa in scena di un disequilibrio di potere e possibilità dovuto a istanze di genere: anche ne La ricreazione è finita di Dario Ferrari, in cui non manca attenzione alle dinamiche di oppressione proprie del lavoro accademico, l’argomento viene aggirato ponendo il protagonista Marcello in una condizione di oggettiva subordinazione – per avanzamento di carriera, ruolo familiare o classe – rispetto ai personaggi femminili con cui si trova a interagire.
Il tema trova spazio invece ne L’amica geniale, quando la protagonista Lenù si trova a individuare fra i motivi della propria esclusione dal campo accademico nelle differenze tra il proprio contesto di provenienza – meridionale, proletario e culturalmente arretrato – e quello borghese-intellettuale del fidanzato Pietro Airota:

Vedevo che Pietro era trattato come se avesse già una cattedra, io come una normale studentessa brillante. Spesso rinunciavo a parlare col docente per rabbia, per superbia, per timore di dover prendere atto di una mia costituzionale inferiorità. Devo far meglio di Pietro, pensavo, sa moltissime cose più di me ma è grigio, non ha fantasia […]. Quando tornavo dal professore ero ascoltata, sì, ero lodata, ma senza gravità, come se il mio affannarmi fosse solo un gioco ben giocato. Capii presto che Pietro Airota aveva un futuro e io no31.

Anche se Elena si troverà a concludere positivamente il suo arco da eroina working class, la sua condizione sociale di appartenenza si rivela motivo fondamentale nella mancata prosecuzione della carriera universitaria e, quindi, dello spostamento sul futuro marito come personaggio attorno a cui ruotano ulteriori riferimenti al mondo universitario nella saga.
Va rilevato come, sia essa connotata in senso erotico o meno, il raggiungimento della vittoria o quantomeno della parità nella competizione col rivale coincida con un riconoscimento da parte del docente, come avviene anche nel racconto Una bustima di lime tra i libri32 di Carola Susani, la cui narratrice in prima persona continua a ricercare le attenzioni del vecchio professore del marito, morto di ictus poco prima del passaggio ad associato, anche quando la sua carriera è ormai ben strutturata nel settore delle vendite porta a porta.

4. Protetti e patroni

La messa in scena letteraria del rapporto tra il mentore e il suo allievo non si limita comunque alle occasioni in cui esso viene descritto come oggetto di competizione con un rivale: vinta o ignorata la stessa, non di rado trova spazio il racconto di relazioni di potere più dirette sul piano personale e lavorativo. Prima di esaminare le narrazioni più evidentemente legate alle necessità di rappresentare la condizione di precarietà lavorativa come non conciliata o apertamente dolorosa e ingiusta, vale la pena soffermarsi su quelle che invece almeno in parte presentano rapporti meno conflittuali con l’istituzione e i suoi emissari.
In Apocalisse da camera di Andrea Piva, ad esempio, il rapporto che intercorre tra il cultore della materia Ugo Cenci e il suo ordinario di riferimento Frappelle è di aperta e reciproca complicità, tanto che il docente si dichiara pronto a coprire gli atteggiamenti abusanti del protetto fintanto che questa non comporta rischi per la sua posizione:

Quando Ugo aveva capito di cosa gli stava parlando, si era aspettato chissà quale insopportabile ramazina sulla rettitudine del perfetto assistente universitario, e poi una puntuale trattazione della figura del reato di concussione dalle origini ai giorni nostri nonché, per finire, il sacrosanto invito a non mettere mai più piede nel rispettabilissimo istituto di Filosofia del diritto dell’università di Giurisprudenza di Bari. E invece quello lo aveva messo solo sull’avviso, aveva fatto il comprensivo, l’uomo di mondo, il vecchio amico33.

A differenza di altri protagonisti precari delle opere oggetto di questo studio, Ugo non occupa del resto in alcun modo una posizione ereticale o critica, dimostrando di provare più risentimento verso i colleghi con cui condivide le ambizioni che non verso i suoi superiori o il sistema competitivo in sé, e riversando le sue reazioni più conflittuali e predatorie su studentesse ed ex fidanzate; allo stesso modo, in Tokyo love34 il protagonista, dottorando a Perugia, «non interpreta la sua condizione in senso vittimistico; la considera semplicemente una regola del gioco, una tappa necessaria»35.
Altrettanto desiderosi, pur se meno consapevoli, di una scalata ai privilegi del mestiere sono i dottorandi senza borsa e aspiranti avvocati che nel racconto Le ciliegie della ferrovia di Mario Desiati arrivano a dichiarare un plateale «Siamo noi che dovremmo pagare per stare qui»36 al netto di una condizione da «schiavi, che con la scusa dell’apprendistato vengono sottopagati o addirittura non vengono pagati»37 esplicitata dal narratore esterno.
Pur mancando fin dall’inizio del romanzo dell’ambizione che caratterizza gli altri personaggi del romanzo, anche il Marcello di Ferrari, manifesta una forte fascinazione nei confronti dell’italianista Sacrosanti:

Non appena Sacrosanti ha iniziato a parlare mi sono risvegliato, e in un attimo mi sono ricordato perché nonostante tutto – nonostante la totale assenza di riconoscimento sociale, nonostante la totale inservibilità di un laureato in Lettere nel capitalismo neoliberista […] – ho scelto, e forse sceglierei di nuovo, di studiare letteratura. In quarantadue minuti il professor Sacrosanti mi ha ricordato chi sono e perché faccio quello che faccio e mi ha rammentato che nel mondo esiste un incanto che la gente normale nemmeno si sogna, anche se a volte occorrono anni di studio per arrivare a intravederlo38.

Il dottorando concede così al suo tutor i meriti di un rinnovato innamoramento per la letteratura e del suo, per quanto precario, scopo di vita, individuando in lui, prima di arrivare a descrivere il suo tutor come un barone fra i più meschini, un maestro «di pensiero e di vita»39 a cui affidarsi.

5. L’accademia ferma gli orologi?

A prescindere da «sfumature» e «gradi di umanità»40 con cui i docenti ordinari vengono rappresentati, quindi, la condizione del delfino rimane quella di un subordinato le cui azioni risultano sempre gerarchicamente eterodirette e la cui esistenza nel campo accademico dipende del tutto dalla sopravvivenza, nella carriera come nella vita, del suo ‘patrono’: come in Susani, anche in Latronico il sopraggiungere di un malore fulminante è utilizzato come espediente per raccontare la momentanea caduta del protagonista, privo adesso di protezioni che possano validare il suo capitale culturale.
Se peraltro in Una bustina di lime tra i libri, l’accademia incarnata dall’ordinario e dalla moglie dimostra, quando accusata dalla voce narrante di essere una delle possibili cause della morte del marito, una pur paternalistica volontà di compensare il torto compiuto, ne La cospirazione l’intervento delle istituzioni, incarnate dal vicedirettore di facoltà, arriva solo per confermare la definitiva espulsione dal campo di Donka: sopraggiunta la morte per infarto del professor Corradini, al protagonista non resta che confrontarsi direttamente con una struttura accademica che però non lo riconosce, non avendolo mai integrato né in senso lavorativo né in senso sociale: il suo rapporto di parentela simbolica con il professore e le persone a lui vicine viene cancellato dal vicedirettore nel momento in cui non gli concede né di contribuire ufficialmente all’elegia del suo tutor, né di proseguire il corso di cui fino a quel momento ha curato in prima persona le lezioni, prontamente affidato a un’altra ricercatrice nell’ottica della ripartizione del potere del defunto; l’economista in erba si trova così a dover definitivamente prendere atto che il tempo investito è stato, come aveva più volte subodorato, sprecato, e coerentemente la narrazione abbandona le atmosfere da campus novel per approfondire gli aspetti della trama legati al mondo finanziario.
L’intera trama de La ricreazione è finita è invece scandita proprio dai tempi di preparazione e realizzazione delle varie fasi della carriera e del lavoro dei suoi personaggi: convegni, pubblicazioni e soggiorni obbligati all’estero condizionano la vita dei ricercatori del romanzo, ora come vie d’uscita dai risvolti indesiderati di una pur ristretta vita privata, ora come doveri allettanti «come contare i chicchi di riso che stanno dentro un barattolo»41.
Più che su quanto concerne la carriera del protagonista, che finendo quasi per caso a fare il dottorato occupa una posizione da delfino-eretico, per evidenziare la dimensione di attesa e dipendenza materiale dal mentore descritta da Bourdieu, l’attenzione si concentra sull’amico e ricercatore precario Carlo:

Dice che comunque Sacrosanti per lui si è prodigato in mille modi, negli ultimi dieci anni abbondanti. Per esempio quest’anno gli ha fatto un contratto per tenere due corsi nel primo semestre e altri due nel secondo. […] «Sono corsi da trecento studenti, Istituzioni di questo, Introduzione alla critica di quell’altro, in cui hai solo matricole e poi devi fare settimane di esami a una masnada di decerebrati. Però amen: con quattro corsi l’anno, anche se sei a contratto, ti ci mantieni. Magari non ti danno un mutuo e non puoi fare figli; però vabbè, per quello vedremo più avanti». Anche perché ormai, mi spiega, quest’anno è andata così, ma per l’anno prossimo l’onnipotente Sacrosanti ha fatto carte false per bandire un altro concorso da ricercatore, e stavolta non ci sono conti da regolare né nessuno da compiacere, quindi il posto sarà suo42.

Pur essendone «evidentemente schiacciato», Carlo ha del tutto «introiettato la logica di un sistema tossico»43 che lo porterà, dopo l’ennesima esclusione da un concorso che credeva ‘suo’, al suicidio che costituisce, oltre che un rivendicato «contributo al dibattito e alla tematizzazione»44 di uno fra gli esiti più drammatici delle dinamiche fin qui analizzate: se per Siti un’accademia che ferma gli orologi45 poteva costituire un rifugio sicuro dal mondo esterno, per Ferrari in realtà il lavoro universitario ruba tempo alla vita46, compromettendo la possibilità di inserirsi in altri contesti.
Pur senza arrivare ai tragici risvolti de La ricreazione, anche Cecilia Ghidotti ne Il pieno di felicità torna più volte sul legame tra la sua posizione nel campo e il controllo del suo tempo da parte del patrono:

Massimo, il mio responsabile, era quello che si dice un giovane professore in ascesa; e si era reso subito conto che, nelle mattine in cui non dovevo trovarmi dietro la scrivania, io dormivo fino a tardi. Così aveva preso a telefonarmi a orari che per lui erano quelli dell’aperitivo, mentre per me erano l’alba. Rispondevo al quinto o sesto squillo, forse anche dopo. […]
Massimo telefona ancora. Questa volta devo rispondere. Prima le scuse per non avergli risposto, ero in un paesino e il cellulare funzionava malissimo; […] Ribadisco, sulla difensiva, che il dottorato numero due è la mia occupazione principale, anche se sono già pronta a dargli ragione e a riconoscere che ciò in cui mi sono impegnata non vale quello che avrei dovuto fare e nemmeno quello che forse sta per propormi. Massimo fa un sospiro e, con piglio conclusivo, dice: «Senti, io non so cosa vuoi fare quando quest’altro dottorato finisce, con la Brexit e tutto il resto. Ora ti mando una mail col link a un bando, guardatelo per bene. Sarebbe il caso che tu partecipassi»47.

A ulteriore conferma di quanto affermato finora, l’uso del tempo come unità di misura del potere interno al campo e della conferma della gerarchia delle posizioni torna anche nella messa in scena della prospettiva opposta sul tema: ne La vita nascosta, Raffaele Donnarumma racconta il dilemma morale di un docente associato alle prese con le prime responsabilità burocratiche e politiche concrete e, quindi, con la scoperta di poter esercitare un’agentività su se stesso e sugli altri.
Se da precario il protagonista del romanzo non aveva esitato a partecipare a esperienze di militanza dal basso, con lezioni in piazza e un atteggiamento antagonistico nei confronti del sistema universitario, una volta integrato nel campo accademico deve rendersi conto che «è facile far la morale quando si è ancora fuori dei giochi e non si è esercitato neppure un minimo potere» tanto da affermare che «le anime belle creano più danni dei cosiddetti baroni»48: le istanze morali, se non moraliste, che pure vorrebbe continuare a incarnare, vanno riviste alla luce di doveri di servizio, in particolar modo la partecipazione alle commissioni di selezione e riproduzione del corpo accademico; introdotto ai lettori con una posizione da eretico consacrato, partecipe delle regole del campo ma attento a non forzarle per ragioni personali, R. si trova a vivere un vero conflitto morale, interiore quanto inerente alle regole del campo, quando ha occasione di avvantaggiare un suo amante nella selezione per una borsa di dottorato.
Se è vero che sul piano personale a frenare il narratore-autore dal compiere un abuso di potere è soprattutto un impulso morale, è l’evidenza di star utilizzando il suo tempo per svolgere mansioni e rispettare tempistiche proprie di un ruolo subordinato a risultare determinante nella conclusione della relazione e del romanzo, a conferma della centralità del fattore rilevato da Bourdieu nell’economia dei rapporti interni al campo:

L’avrei costretto a smetterla di fare il bambino e l’avrei messo di forza al pc per concludere la domanda. Invece, l’indignazione mi agitava rinchiudendomi tra le stanze, […] e quando, la mattina dopo, trovai davvero nella posta elettronica quello che serviva, accompagnato da un semplice «È tutto qui», senza neppure un grazie, […] fui preso da un accesso di esasperazione e di rabbia, mi veniva da gridare […]. La domanda dovrà pervenire entro le ore 17.00 […]. Quando rientrai in casa erano passate le sette49.

Laddove le prospettive da ‘delfino’ ponevano come assodato il sacrificio di dover supplire il proprio maestro in riti e scadenze accademiche, lo sbilanciamento contrario risulta impossibile, e di conseguenza risulta opposta la rappresentazione del lavoro di ricerca in sé.
Se il tempo dedicato allo studio appare un privilegio raro e conquistato a fatica tanto per gli integrati quanto nelle narrazioni dei delfini, diverso è il ruolo che questo occupa nell’economia della narrazione: mentre per il protagonista di Donnarumma lo studio e le responsabilità accademiche possono ancora costituire una distrazione dalle questioni personali, per il Donka di Latronico il ritorno alla ricerca arriva «a soli tre mesi dalla scadenza del suo contratto»50, a minacciare la fine della sua permanenza nel campo; inoltre ne Il segreto di Majorana, graphic novel in cui si coniuga l’inchiesta romanzata di Sciascia al romanzo del dispatrio51, Silvia Rocchi e Francesca Riccioni raccontano «la stanza degli esperimenti» come un «rifugio dal tempo e dallo spazio fisico, dalle persone e dalle emozioni»52 destinato a sgretolarsi al confronto con la realtà.

6. Lo studio come lavoro

Se si escludono gli irriverenti allievi del professor Lamis53 e la corte appassionata che si raduna attorno ai corsi dell’economista Caffè per come Ermanno Rea lo dipinge ne L’ultima lezione54, ancora una volta «in un continuo rimando (di gusto postmoderno) con il modello»55 sciasciano, non si può non constatare, oltre alla mancanza di trasfigurazioni narrative del personale non docente, a cui solo Santo Piazzese dà maggior peso nell’economia complessiva del romanzo, anche quella delle relazioni fra docenti e studenti; vale però la pena rilevare come nella produzione narrativa recente sia possibile registrare più di un testo sullo studente in quanto lavoratore.
Rispetto alla narrativa breve sul primo impatto col mondo del lavoro56, alla dimensione politicizzata del film Ora mai più57 o a quella di eterna giovinezza che si può ritrovare in Fino a qui tutto bene58, simili per ambientazione e nell’ambizione di costruire un college movie pisano, l’esordiente Maurizio Amendola, che inizialmente aveva pensato il suo Il laureando nella forma di sceneggiatura cinematografica, si concentra sulla ripetitività di gesti e luoghi universitari nel tentativo, non sempre riuscito, di esprimere non più una paura per la fine dell’università in quanto fine della giovinezza, ma semmai il dolore e l’alienazione di uno studente «fuoricorso nel piano di studi, durato ormai più del ciclo unico previsto di cinque anni»59:

Livio non racconta ad Eleonora di quella volta da solo, seduto a uno dei lunghi tavoli della biblioteca di Storia e Filosofia. Livio fermo, stordito, che fissa i tavoli, conta le etichette con cui sono catalogati gli archivi, osserva chi resta sempre seduto chino su letture, su libri vissuti, su libri nuovi, su fotocopie. Guarda chi è di spalle, chi è di fronte. Chi si regge la testa, chi tiene la schiena dritta e gli occhi sullo schermo60.

Non meno interessante, anche se non situata all’interno di un romanzo accademico, è la rappresentazione dell’università diffusa nella prima parte de La verità su tutto di Vanni Santoni. L’autore porta la protagonista Cleopatra a capovolgere il paternalismo dei moniti della celebre scena de La meglio gioventù61, in cui un vecchio professore invitava il giovane allievo interpretato da Luigi Lo Cascio a fuggire o ribellarsi: tornata fra i banchi universitari perché consapevole di avere ancora molto da imparare, dopo aver aggiornato il lettore minuziosamente il lavoro su temi e metodi della sua ricerca, la futura leader religiosa decide di usare quanto appreso per mettere in imbarazzo il professor Morelli, di cui pure ammette di sentirsi allieva, a ribadire che la rivoluzione, personale o politica che sia, si fa anche contro i maestri:

Lo segai con una citazione che avevo letto solo due ore prima, e per fortuna suonò la campanella che indicava l’arrivo delle 19:00 e dell’impresa di pulizie, dato che il clima nella stanza era diventato pesante. Uscii con l’adrenalina ancora in circolo, salvo poi rammaricarmi mentre camminavo verso casa. Avevo usato nozioni appena apprese come una mazza, contro qualcuno da cui comunque avevo imparato qualcosa – per tacere della spigliatezza con cui parlavo di cose come la “tassonomia delle esperienze mistiche”, di cui tutto ciò che sapevo l’avevo sentito proprio lì dentro. Altro male? Forse, eppure era stato in qualche modo liberatorio62.

Ancora più in linea con gli altri testi oggetto di questo studio nel raccontare lo studente come lavoratore appare infine un racconto di Silvia Gola in cui le forme del romanzo accademico si prestano a narrare «l’ipertrofia del desiderio»63 che intercorre tra due iscritti al secondo anno impegnati a districarsi fra le possibili difficoltà dello studio in quanto lavoro, che qua assume la forma di un compito da svolgersi in coppia assegnato dal professore di Paleontologia.
Nel raccontare il crescente desiderio tra i protagonisti, introdotti al lettore non tanto attraverso l’aspetto o «una manciata di dati anagrafici, sparpagliati nei primi minuti di conoscenza» quanto semmai nella posizione all’interno del corso di studi e dell’università, disseziona tanto il tumultuoso flusso di fantasie che intercorre tra i due quanto i vari passaggi della ricerca da svolgere – l’assegnazione del lavoro da parte del docente, la divisione dei compiti, le ipotesi di ampliamento delle fonti, i momenti di effettiva applicazione – fino all’inevitabile prevalere della concretezza dell’attrazione sull’astrattezza del paper dei «molluschi del cretaceo»:

Nella solitudine duale in cui sono invischiati fino al collo, […] lui prorompe in una risata nervosa che scuote il letto singolo dove sono stesi: una goccia di sperma è arrivata sopra gli appunti di lei del pomeriggio di studio […]. Tanto per fare un gesto qualsiasi, lei si protende a prendere un fazzoletto, lo strofina sui fogli per ripulirli e lo butta in terra.
Per disertare il gioco dell’intimità, sarebbero quasi disposti a riprendere in mano la ricerca per il professore: si guardano occhieggiando i fogli senza che nessuno però si prenda la responsabilità di far capire all’altro che vuole porre termine all’esperimento64.

Nel finale si registrano le due diverse reazioni dei personaggi dinanzi allo straniante ritrovamento di un cadavere: se il ragazzo si unisce ai curiosi avvicinandosi al corpo, l’evento riporta la protagonista femminile ai doveri di studentessa, alla routine lavorativa e ai possibili sviluppi, non meno alienanti di quelli legati allo studio, di una relazione col ragazzo appena conosciuto.

Conclusioni

Come osservato, le narrazioni di ambientazione accademica prodotte in Italia dagli anni Sessanta a oggi hanno sovente riservato un particolare interesse alle gerarchie e all’organizzazione del lavoro all’interno dell’istituzione universitaria, tanto da prestarsi facilmente a letture che tengano in considerazione le accurate analisi di derivazione bourdesiana.
In prima istanza è possibile constatare come la varietà di situazioni raccontate e di lavoratori dell’università ritratti consente ad autori e autrici di evitare la caduta in dualismi e stereotipi propri dell’immaginario che concerne il contesto accademico: baroni e delfini si relazionano perlopiù in un clima di complicità e accettazione dei criteri di selezione e permanenza nel campo, in cui il docente strutturato è, prima che antagonista dei protagonisti-precari, arbitro di una violenta «lotta di tutti contro tutti»65 che non vede mai, volendo ricorrere al suggestivo concetto della teoria dei giochi66 che dà il titolo al romanzo di Latronico, le colombe coalizzarsi contro i falchi.
Tra l’altro, mentre la rivalità tra pari viene trasposta in letteratura nella forma di una competizione diretta ed esplicita, le messe in scena del conflitto mentore/allievo tendono più spesso a una risoluzione indiretta, con la morte per cause più o meno naturali di uno dei due e anche quando, come in Ferrari, lo scontro sembra pronto a concretizzarsi, nel finale si realizza comunque attraverso una lettera minatoria; sono peraltro diversi i casi in cui la possibilità di un confronto aperto è disinnescata da un rapporto di reciproca complicità, a rimarcare come a provocare una gestione dannosa dell’università sia, più che la condotta malevola di baroni stereotipati, l’organizzazione del lavoro accademico in sé.
Non a caso, anche se si registra un’influenza della letteratura del lavoro anche in trame intorno alla vita di studenti e studentesse, la rappresentazione dello studio in quanto parte del lavoro universitario emerge come secondaria se messa a confronto agli aspetti burocratici, organizzativi e produttivi descritti come ostacoli non solo alla ricerca vera e propria ma persino all’autodeterminazione del soggetto.
Il tempo necessario a svolgere tutte le attività diventa infatti l’unico capitale simbolico di chi si trova in una posizione subordinata nel campo, come riscontrato per i personaggi che seguono un arco da working class hero i quali, anche quando dimostrano di possedere requisiti o compensazioni tali da superare le prove di accesso e a stabilire una relazione conciliata col patrono, si trovano a dover soddisfare un criterio di celerità produttiva che, scontrandosi con l’idea di merito proposta nel corso del periodo di formazione, non può che produrre «un grado di frustrazione altissimo»67 che si rivela estremamente dannoso quando non letale per alcuni dei personaggi incontrati.


  1. In merito al dibattito sulla letteratura del lavoro in Italia si rimanda a T. Toracca, E. Zinato (a cura di), Letteratura e lavoro, «Allegoria», 82, 2020; A. Prunetti, Non è un pranzo di gala. Indagine sulla letteratura working class, Roma, Minimum fax, 2022.
  2. Pur mancando ancora una ricognizione critica esaustiva sul genere, tra i contributi sul tema si segnalano A. Scuderi, L’ombra del filologo. Romanzo europeo e crisi della cultura umanistica, Firenze, Le Monnier, 2009 e A. Castagnino, A morte il professore! Il triste destino dell’accademico nel romanzo contemporaneo, in «Contemporanea», 12, 2014, pp. 77-90 e A. Ceteroni, Insegnanti e ricercatori al tempo del precariato, in «L’ospite ingrato», 11, 2018, pp. 129-146; ci si permette inoltre di rimandare a L. Magro, Il romanzo accademico. Appunti per uno studio sul campus novel italiano, in V. Mele, F. Mengali, F. Padovani, A. Tortolini (a cura di), L’accademia e il fuori. Il problema dell’intellettuale specializzato in Italia, Napoli, Orthotes, 2023, pp. 159-189.
  3. Per una definizione del genere anglofono si consiglia B. Seligardi, Finzioni accademiche. Modi e forme del romanzo universitario, Firenze, Cesati, 2019.
  4. P. Bourdieu, Homo academicus [1984], trad. it. di A. Di Feo, Napoli, Dedalo, 2013, pp. 131-32.
  5. Ivi, p. 152.
  6. P. Bourdieu, J. Passeron, I delfini. Gli studenti e la cultura [1964], trad. it. di V. Baldacci, Rimini, Guaraldi, 2006, p. 83.
  7. P. Bourdieu, Homo academicus, cit., p. 153.
  8. Ivi, p. 150.
  9. Ivi, p. 161.
  10. Ivi, p. 172.
  11. Oltre che ai testi citati direttamente, si rimanda a J. Crary, 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno, trad. it. di M. Vigiak, Torino, Einaudi, 2015 e J. Wajcman, La tirannia del tempo. L’accelerazione della vita nel capitalismo digitale, trad. it. di D. Restani, Roma, Treccani, 2020.
  12. L. Barbanera, Il darwinismo temporale nell’università italiana. Il “gene” della velocità come possibile selettore per la carriera accademica, in L’accademia e il fuori, cit., p. 119.
  13. S. Jaffe, Il lavoro non ti ama, trad. it. di R. Fischetti, Roma, Minimum fax, 2022, p. 368.
  14. R. Leardi, “Quale eccellenza tra queste macerie?”. La retorica meritocratica tra diritto allo studio universitario e disuguaglianze sociali, in L’accademia e il fuori, cit., p. 143.
  15. E. Ferrante, Storia del nuovo cognome, Roma, E/O, 2012.
  16. V. Attanasio, Il tuttofare, Italia, 2019.
  17. S. Sibilia, Smetto quando voglio, Italia, 2014.
  18. V. Attanasio, L’effetto Dorothy, Italia, 2024.
  19. L. Sciascia, La scomparsa di Majorana, Torino, Einaudi, 1975.
  20. L. Benedetti, Secondo piano, Pisa, Pacini, 2017.
  21. S. Piazzese, I delitti di via Medina-Sidonia, Palermo, Sellerio, 1996, p. 152.
  22. N. Moll, Rappresentare il nuovo: Walter Siti e il lavoro, in C. Baghetti, A. Ceteroni, G. Iandoli, R. Summa (a cura di), Il lavoro raccontato, Firenze, Cesati, 2020, pp. 166.
  23. W. Siti, Pagare o non pagare, Milano, Nottetempo, 2018, p. 167.
  24. N. Moll, op. cit., p. 165.
  25. W. Siti, Scuola di nudo (1994), Torino, Einaudi, 2009, p. 4.
  26. G. Pontiggia, Il giocatore invisibile, Milano, Mondadori, 1978.
  27. R. Ceserani, Viaggio in Italia del dottor Dapertutto. Attraverso vizi e virtù degli intellettuali, Bologna, Il Mulino, 1996.
  28. I. Gaspari, Etica dell’acquario, Roma, Voland, 2015, p. 85.
  29. V. Latronico, La cospirazione delle colombe, Milano, Bompiani, 2011, p. 45.
  30. F. D’Angelo, La fine dell’altro mondo, Roma, Minimum fax, 2012, p. 31.
  31. E. Ferrante, op. cit., p. 430.
  32. C. Susani, Una bustina di lime tra i libri, in M. Desiati, T. Tarquini (a cura di), Laboriosi oroscopi. Diciotto racconti sul lavoro, la precarietà e la disoccupazione, Roma, Ediesse, 2006, pp. 23-31.
  33. A. Piva, Apocalisse da camera, Torino, Einaudi, 2006, pp. 13-14.
  34. M. Apolloni, Tokyo Love, in J. Arpetti, P. Nanni (a cura di), Lavoricidi italiani, Torino, Miraggi, 2012, pp. 19-29.
  35. R. Deiana, L’università senza vita: studenti-lavoratori e dottorandi nei racconti italiani tra anni Novanta e anni Dieci, in «Ticontre», 15, 2021, p. 12.
  36. M. Desiati, Le ciliegie della ferrovia, in Laboriosi oroscopi, cit., p. 73.
  37. Ivi, p. 74.
  38. D. Ferrari, La ricreazione è finita, Palermo, Sellerio, 2023, p. 185.
  39. P. Bourdieu, J. Passeron, I delfini. Gli studenti e la cultura, cit., p. 83.
  40. C. Baghetti, La voce afona del padrone. Fenomenologia delle figure dominanti nella narrativa breve italiana del XXI secolo, in «Ticontre», 15, 2021, p. 41.
  41. D. Ferrari, op. cit., p. 126.
  42. Ivi, p. 93.
  43. Ivi, p. 92.
  44. L. Magro, Narrare l’accademia. Una conversazione sul campus novel con Dario Ferrari, autore di «La ricreazione è finita», in «Il Tascabile», 29 maggio 2023, URL <https://www.iltascabile.com/societa/campus-novel>, consultato il 6 aprile 2024.
  45. W. Siti, Scuola di nudo, cit., p. 6.
  46. D. Ferrari, op. cit., p. 14.
  47. C. Ghidotti, Il pieno di felicità, Roma, Minimum fax, 2019, e-book.
  48. R. Donnarumma, La vita nascosta, Roma, Il ramo e le foglie, 2023, p. 289.
  49. Ivi, pp. 316-318.
  50. V. Latronico, op. cit., p. 74.
  51. Tra gli autori che hanno approfondito il tema dell’isolamento all’estero nella sua versione accademica vale la pena segnalare quantomeno P.M. Pasinetti, Il ponte dell’accademia, Milano, Bompiani, 1968 e L. Meneghello, Il dispatrio, Milano, Rizzoli, 1993.
  52. F. Riccioni, S. Rocchi, Il segreto di Majorana, Milano, Rizzoli, 2015, p. 4.
  53. L. Pirandello, L’eresia catara, in Novelle per un anno (1925), Torino, Newton Compton, 2011, pp. 676-684.
  54. E. Rea, L’ultima lezione. Solitudine di Federico Caffè scomparso e mai più ritrovato, Torino, Einaudi, 1992.
  55. C. Baghetti, Alle origini della non-fiction italiana. L’ultima lezione di Ermanno Rea, in C. Baghetti, D. Comberiati (a cura di), Contro la finzione. Percorsi della non-fiction nella letteratura italiana contemporanea, Verona, Ombre corte, 2019, p. 45.
  56. Per un’analisi approfondita del periodo post-laurea nella narrativa breve recente, si rimanda al già citato articolo di Deiana.
  57. L. Pellegrini, Ora o mai più, Italia, 2003.
  58. R. Johnson, Fino a qui tutto bene, Italia, 2014.
  59. M. Amendola, Il laureando, Guidonia, 66th And 2nd, 2023, p. 11.
  60. Ivi, p. 31.
  61. M.T. Giordana, La meglio gioventù, Italia, 2003.
  62. V. Santoni, La verità su tutto, Milano, Mondadori, 2022, p. 88.
  63. N. Moll, op. cit., p. 165.
  64. S. Gola, Quella carne, quei corpi, in «Medium», 30 marzo 2023, URL <https://pippicalzecorte.medium.com/quella-carne-quei-corpi-19a44fa6aa>, consultato il 6 aprile 2024.
  65. P. Bourdieu, Homo academicus, cit., p. 149.
  66. J.M. Smith, G.R. Price, The Logic of Animal Conflict, in «Nature», 246, 1973, pp. 15-18.
  67. G. Fontana, Il problema della semplificazione, in M. Desiati, S. Iucci (a cura di), Il lavoro e i giorni. Venti racconti su giovani, la precarietà, la disoccupazione, Roma, Ediesse, 2006, pp. 85-90.

From the second half of 1970s to the end of 2000s, the romanzo accademico, the Italian version of the traditionally Anglophone campus novel, has usually portrayed mainly established professors, but recently a new generation of authors emerged, portraying the lives of doctoral students and precarious researchers. This change in perspective, accompanied by a sharpening of criticism directed at the institution, coincided with the hybridization of the romanzo accademico with various literary genres: from the industrial novel La cospirazione delle colombe (2011) by Vincenzo Latronico to coming-of-age novels such as La fine dell’altro mondo (2012) by Filippo D’Angelo or Elena Ferrante’s Storia del nuovo cognome (2012), and even the graphic novel Il segreto di Majorana (2015) by Francesca Riccioni and Silvia Rocchi. Moreover, recent attempts such as Il pieno di felicità (2019) by Cecilia Ghidotti, Raffaele Donnarumma’s La vita nascosta (2022), and Dario Ferrari’s La ricreazione è finita (2023) have been made to define the genre more precisely, contributing to its development as a subgenre of working class literature. The aim of this paper is to analyze some works from the last fifteen years in order to trace on one hand the portrayal of the dynamics that animate the academic field according to the studies of Bourdieu and Passeron – criteria for access, time management, mentor-student relationships, internal rivalries, etc. –, on the other hand the depiction of research activity as work.