Nudità iniziatica e confini di genere

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Verso la fine del XIX secolo, cresce l’interesse dell’antropologia nei confronti dei “riti di passaggio”: quell’insieme di processi codificati e regolarizzati che si pongono come fine ultimo il cambiamento e la modifica dello stato individuale, sociale o religioso di un membro di una comunità umana; attraverso i rituali istituzionalizzati l’individuo ha la possibilità di modificare se stesso, di essere momentaneamente “altro”, per poi essere reintegrato nella società da cui proviene in maniera totalmente differente, con un ruolo completamente diverso.
I riti di passaggio accompagnano il necessario rinnovamento della società e delle sue classi di età. Si verificano dunque parallelamente a cambiamenti di tipo fisiologico, naturale o sociale; in altri termini, essi sono funzionali anche alla scansione e alla separazione delle varie fasi che insieme caratterizzano la vita stessa della comunità e dell’essere umano: nascita, pubertà, matrimonio, morte.
Insieme a I riti di passaggio di Arnold Van Gennep1, a cui si deve la costituzione di un vero e proprio metodo d’indagine, un altro caposaldo, più recente, per gli studi relativi ai rituali iniziatici è sicuramente Il cacciatore nero di Pierre Vidal-Naquet2. Il titolo rimanda a una delle dimensioni “vissute” nel periodo di passaggio, dimensioni negative e contrarie alle regolari norme sociali, ma che l’iniziato deve sperimentare e superare per poter essere ammesso nella società civilizzata: la caccia notturna.
Nella cultura greca la caccia è un’attività aristocratica, propria delle élites dominanti fin dalle origini3 – scene di caccia sono frequenti già nella pittura vascolare micenea –, ma solitamente essa non viene intesa come l’attività guerriera predominante dei politai, le cui norme si rispecchiano invece nella collettiva guerra oplitica, guerra introdotta in Grecia a partire dall’VIII secolo a.C., ritualizzata e che abolisce le armi da lancio, in primis l’arco. Quest’ultimo, invece, è proprio una delle armi più adoperate nella caccia e non a caso è lo strumento iconograficamente più rappresentativo di Artemide, dea che per eccellenza presiede ai rituali iniziatici femminili – si pensi al santuario delle orse di Brauron in Attica – e figura che suscitò in modo particolare l’interesse di Vernant4.
Ne Il cacciatore nero si pone l’accento su un’assenza importante notata nelle Leggi di Platone5, dove si descrivono varie attività destinate all’educazione dei giovani: tra esse si esclude la caccia notturna, non conforme alla morale oplitica. È necessario infatti distinguere una caccia istituzionalizzata e adattata alle norme sociali tradizionali, cioè quella diurna, collettiva, realizzata a mani nude o con l’aiuto di quadrupedi – cavalli, cani –, e una caccia selvaggia, contraria alle regole oplitiche, quindi notturna, nera, ἀργῶν ἀνδρῶν, «propria degli uomini oziosi» e che fa uso di strumenti assolutamente rigettati dagli hoplitai, ovvero armi da lancio e trappole.
Questa prima importante distinzione si estende anche all’ambito bellico nella misura in cui si registra una profonda frattura tra guerra istituzionalizzata, ordinata, collettiva e guerra selvaggia, priva di regole, individuale6. Si viene in questo modo a delineare un quadro di simmetria inversa, su cui si innesta la codificazione dei riti iniziatici adolescenziali e nel quale un’altra dicotomia posta in primo piano è quella esistente tra la polis e il luogo marginale, di confine. L’ἐσχατιά è lo spazio selvaggio, una regione priva di campi coltivati e di conseguenza un ambiente non necessario e non funzionale alle esigenze dei politai. Questo è lo spazio del limen, del margine, la frontiera che il giovane deve superare durante il passaggio per uscire da se stesso, diventare momentaneamente Altro, sperimentare tutte le condizioni opposte a quelle considerate regolari nella società ordinata della polis.
L’importanza di questo spazio liminare all’interno dei riti iniziatici fu intuita già da Van Gennep, il quale formulò su questo presupposto la distinzione fra tre categorie a cui ascrisse rituali dotati di funzioni differenti: riti di separazione o preliminari scandiscono l’allontanamento da un ambiente, la separazione da uno stato originario di partenza; riti liminari, incentrati sul margine, la zona che serve a distinguere il prima e il dopo del cambiamento dell’iniziato; infine riti postliminari, di aggregazione ad un nuovo ambiente, che enfatizzano il mutamento del ruolo sociale dell’individuo.
È quindi nello stadio del margine che possono verificarsi comportamenti anomali, spesso drammatizzati e completamente estranei alle tradizionali regole sociali della polis “civilizzata”. Una di queste alterità emerge nell’ambito sessuale, da cui scaturiscono determinate circostanze che prevedono l’omosessualità – il cui valore iniziatico nella mitologia greca è stato indagato in maniera particolare da Bernard Sergent7 – e l’inversione sessuale, spesso associata al travestitismo. Quest’ultima dinamica si esplica solitamente attraverso cerimonie “carnevalesche” e drammatizzate, nelle quali si rende possibile l’espressione di tratti apparentemente eccentrici e il capovolgimento delle norme consuete, in realtà finalizzato al consolidamento della canonica organizzazione sociale della polis. Il travestitismo ha inoltre come sua controparte la nudità rituale che emerge spesso in contesti iniziatici, come ad esempio nella κρυπτεία spartana e probabilmente anche tra le orse di Brauron; tale nudità possiede evidentemente un valore simbolico dal momento che fa parte di quell’insieme di circostanze anomale che contraddistinguono lo spazio liminare.
La condizione di sauvagerie, in cui sono confinati i giovani esclusi dalla polis, si manifesta anche attraverso una terminologia pregna di valore iniziatico. Ἀγέλα, «gregge» è il peculiare sostantivo usato in contesto dorico per indicare i gruppi in cui i giovani adolescenti erano divisi e allenati e a cui aderivano probabilmente al compimento del diciassettesimo anno8. Il termine sembrerebbe in linea con l’ideologia dorica che considerava i fanciulli – non ancora uomini – al tempo stesso esseri selvaggi e preoplitici, avendo essi accesso a dinamiche sia anomale sia oplitiche: gli agelaoi potevano dedicarsi alla caccia notturna, al furto, ma al tempo stesso erano ammessi ai sissizi. Questa coesistenza di sauvagerie e cultura è messa in risalto nella battaglia rituale del Plataneto, in cui agelaoi di schieramenti diversi combattevano adoperando pratiche non ammesse nel codice oplitico, ad esempio il morso. Tale pratica rituale era preceduta da un sacrificio all’antico dio Enialio di due cani, animali domestici, e dal combattimento tra due cinghiali, animali selvatici9.
A Creta in opposizione alla ἀγέλα, il gregge degli adolescenti, si colloca l’ἑταιρεία, la compagnia degli uomini adulti. A Sparta un altro vocabolo diffuso è ἴλη10, termine che probabilmente indica delle sottodivisioni interne alla ἀγέλα, ma i due lemmi potrebbero essere stati impiegati come sinonimi11 per indicare il gruppo dei giovani esseri selvaggi, non ancora cittadini né avvezzi alla guerra oplitica12. Nonostante diverse siano le interpretazioni proposte per tali termini, è certamente indubbio che l’aggettivo ἄζωστοι e il verbo ἐκδύω nelle iscrizioni cretesi aderiscano ad un linguaggio semanticamente connesso alla nudità iniziatica, contraddistinta dall’assenza di equipaggiamento militare13.
Fin dall’età più antica l’uomo disarmato è assimilato a una vera e propria donna, in quanto particolarmente vulnerabile; un esempio di un simile parallelismo si riscontra già in Omero, il quale sembra adoperare l’aggettivo γυμνὸς come sinonimo di ἄζωστος e a tal proposito è emblematica una sezione del monologo pronunciato da Ettore nella scena iliadica in cui l’eroe troiano riflette sull’imminente scontro con Achille:

μή μιν ἐγὼ μὲν ἵκωμαι ἰών, ὃ δέ μ’ οὐκ ἐλεήσει
οὐδέ τί μ’ αἰδέσεται, κτενέει δέ με γυμνὸν ἐόντα
αὔτως ὥς τε γυναῖκα, ἐπεί κ’ ἀπὸ τεύχεα δύω.
οὐ μέν πως νῦν ἔστιν ἀπὸ δρυὸς οὐδ᾽ ἀπὸ πέτρης
τῷ ὀαριζέμεναι, ἅ τε παρθένος ἠΐθεός τε
παρθένος ἠΐθεός τ᾽ ὀαρίζετον ἀλλήλοιιν.
βέλτερον αὖτ᾽ ἔριδι ξυνελαυνέμεν ὅττι τάχιστα:
εἴδομεν ὁπποτέρῳ κεν Ὀλύμπιος εὖχος ὀρέξῃ14.

In questo caso si presenta in tmesi il verbo ἀποδύω, il cui significato è sostanzialmente il medesimo di ἐκδύω nonostante il mutamento della preposizione, mentre γυμνὸς compare qui come «nudo» nel senso di «disarmato»15 ed è per questo collegato a γυναῖκα16: l’uomo privo di armi è indifeso esattamente come una donna.
Da questo passo omerico si evince dunque un elemento chiaramente irregolare nel momento in cui Ettore assimila se stesso disarmato ad una donna, poiché l’eroe omerico privato della propria armatura sembra perdere anche la virilità che lo contraddistingue, diventando una donna17. In effetti nel poema iliadico questo non è l’unico luogo in cui Ettore sembra vicino al confine tra virilità e femminilità. Thomas van Nortwick ritiene che tale argomento debba essere letto sulla base degli avvenimenti del VI libro, nel quale Ettore ricercherebbe una propria autoaffermazione e autodeterminazione mediante la scelta del mondo virile, dominato dalla guerra, e il rifiuto di quello femminile18.
Ciò accade attraverso un’oggettivazione dell’interiorità dell’eroe, esplicata esteriormente per mezzo dei suoi cari: prima della battaglia contro gli Achei Ettore incontra Ecuba, Paride, Elena e Andromaca; quest’ultima a sua volta tenterebbe di entrare nella sfera maschile del marito, consigliandogli una strategia militare da attuare contro i nemici19, ma Ettore ristabilisce i confini di genere ricordando alla sposa il suo ruolo e invitandola a restare tra le mura domestiche, dal momento che πόλεμος δ᾽ ἄνδρεσσι μελήσει πᾶσι, «la guerra spetterà a tutti gli uomini»20.
Come è già stato ricordato, la separazione tra i due generi è fondamentale per i giovani uomini, i quali devono riuscire ad allontanarsi dal mondo femminile della madre per poter abbracciare quello maschile21, personificato dalla figura del padre22: in questo caso la sfera femminile è rappresentata non solo dalla madre Ecuba, ma anche dalla sposa Andromaca e dalla cognata Elena23. Dunque fin dal VI libro Ettore appare immerso in una fase tesa alla determinazione della propria identità, tanto che ancora nel XXII si mostra tentato dall’idea di violare i confini di genere, accarezzando la possibilità di abbandonare l’etica virile e omerica, spogliandosi delle armi e arrendendosi ad Achille; tuttavia tale violazione è solamente sfiorata per poi essere infine evitata: si tratterebbe dunque di un passaggio liminare finalizzato alla piena accettazione del proprio ruolo24.
L’aggettivo γυμνὸς compare anche nella scena della morte di Patroclo, nella seconda fase della sua disfatta:

ὃ μὲν αὖτις ἀνέδραμε, μίκτο δ’ ὁμίλῳ,
ἐκ χροὸς ἁρπάξας δόρυ μείλινον, οὐδ’ ὑπέμεινε
Πάτροκλον γυμνόν περ ἐόντ’ ἐν δηϊοτῆτι25.

In tale contesto l’eroe, dopo essere stato spogliato delle armi da Apollo, è colpito da Euforbo, il quale tuttavia non ha il coraggio di ucciderlo definitivamente, nonostante sia disarmato. Si è cercato di minimizzare l’aspetto più eclatante ed irregolare di questo lemma, tentando di ricollegare semanticamente l’aggettivo γυμνὸς presente in Omero, così come ἄζωστος, ad una nudità non completa e assoluta – sembrerebbe infatti che i guerrieri indossassero sempre una tunica al di sotto dell’armatura26 –, ma di tipo militare, contraddistinta esclusivamente dall’assenza di equipaggiamento militare e che comporterebbe dunque vulnerabilità agli attacchi dei nemici. Tale prospettiva appare tuttavia limitata da un eccessivo razionalismo, con cui si tende a regolarizzare e normalizzare un fenomeno – la condizione di completa nudità – percepito come anomalo: non si deve dimenticare che la nudità possiede una valenza in primo luogo atletica, ma anche intrinsecamente simbolica, proprio in virtù del suo essere estranea alle normali regole sociali della polis27.
A questo proposito è pertinente l’interpretazione di Olof August Danielsson, per il quale il vocabolo ἄζωστος potrebbe essere stato adoperato nel giuramento dei Dreri nello stesso significato di ἀχίτων, dunque non semplicemente con il valore di «disarmato», ma proprio di «privo di tunica»28; a sostegno di tale supposizione egli menziona Omero, notando come quest’ultimo sembri impiegare ζῶμα e ζῶστρον nel significato di tunica: forse dall’originaria accezione di «senza cinta»29, l’aggettivo potrebbe aver conosciuto un’evoluzione del proprio spettro semantico, giungendo ad indicare per estensione l’assenza della tunica stessa. Alla luce delle testimonianze festie e del lessico fortemente iniziatico adoperato nelle iscrizioni di Drero e Malla si va dunque a delineare un quadro basato su una doppia contrapposizione: fanciulla/ragazzo e nudo/armato30.


* Questo saggio è tratto da Ekdysia a Festo. Un rituale della Creta ellenistica, la tesi di laurea che l’autrice ha discusso in data 17-10-2019, presso la facoltà di Lettere classiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

  1. A. Van Gennep, Les rites de passage, Paris, Nourry, 1909, trad. it. I riti di passaggio, Torino, Bollati Boringhieri, 2012.

  2. P. Vidal-Naquet, Le chasseur noir. Formes de pensée et formes de société dans le monde grec, Paris, Maspero, 1981, trad. it. Il cacciatore nero. Forme di pensiero e forme di articolazione sociale nel mondo greco antico, Milano, Feltrinelli, 2006.

  3. Si riteneva che la caccia aiutasse la maturazione dei giovani e li preparasse alla guerra (Xen. Cyn. 12).

  4. J.-P. Vernant, Figures, idoles, masques, Paris, Julliard, 1990, trad. it. Figure, idoli, maschere, Milano, il Saggiatore, 2018, pp. 151-221.

  5. Plat. Leg. 824a: πεζῶν δὴ μόνον θήρευσίς τε καὶ ἄγρα λοιπὴ τοῖς παρ’ ἡμῖν ἀθληταῖς, ὧν ἡ μὲν τῶν εὑδόντων αὖ κατὰ μέρη, νυκτερεία κληθεῖσα, ἀργῶν ἀνδρῶν, οὐκ ἀξία ἐπαίνου, οὐδ’ ἧττον διαπαύματα πόνων ἔχουσα, ἄρκυσίν τε καὶ πάγαις ἀλλ’ οὐ φιλοπόνου ψυχῆς νίκῃ χειρουμένων τὴν ἄγριον τῶν θηρίων ῥώμην.

  6. La μονομαχία, «il duello», era la tipica tecnica guerriera d’età micenea, poi ripresa per motivi letterari nell’Iliade, ma sicuramente non più in uso nella Grecia di età arcaica e classica.

  7. B. Sergent, L’homosexualité dans la mythologie grecque, Paris, Payot, 1984, trad. it. L’omosessualità nella mitologia greca, Bari, Laterza, 1986. Il ruolo dell’omosessualità e della pederastia nella società greca e nelle sue istituzioni è il fulcro di uno studio condotto da Kenneth Dover, fondato sull’analisi di testimonianze letterarie in primis l’orazione Contro Timarco di Eschine – e vascolari (K.J. Dover, Greek Homosexuality, Cambridge, Harvard University Press, 1978, trad. it. L’omosessualità nell’antica Grecia, Torino, Einaudi, 1985).

  8. Hesych. s.v. ἀπάγελος· ὁ μηδέπω συναγελαζόμενος παῖς. ὁ μέχρι ἐτῶν ἑπτακαίδεκα.

  9. P. Vidal-Naquet, Il cacciatore nero, cit., p. 171.

  10. ἴλα in dorico.

  11. Plut. Licurgo XVI 7-13: ἐκάθευδον δὲ ὁμοῦ κατ’ ἴλην καὶ ἀγέλην ἐπὶ στιβάδων, ἃς αὑτοῖς συνεφόρουν, τοῦ παρὰ τὸν Εὐρώταν πεφυκότος καλάμου τὰ ἄκρα ταῖς χερσὶν ἄνευ σιδήρου κατακλάσαντες. Vd. anche Xen. De republica Lacedaemoniorum II 11: ὡς δὲ καὶ εἴ ποτε μηδεὶς τύχοι ἀνὴρ παρών, μηδ’ ὣς ἔρημοι οἱ παῖδες ἄρχοντος εἶεν, ἔθηκε τῆς ἴλης ἑκάστης τὸν τορώτατον τῶν εἰρένων ἄρχειν· ὥστε οὐδέποτε ἐκεῖ οἱ παῖδες ἔρημοι ἄρχοντός εἰσι. R.F. Willetts, Aristocratic Society in Ancient Crete, London, Routledge, 1955, p. 15: «A number of such communities was united to form an ile, and this was under the command of a particularly capable eiren».

  12. In particolare l’espressione κατ’ ἴλας sembra essere impiegata per indicare una schiera sparsa e divisa da intervalli, in antitesi a ἐπὶ φάλαγγος, la falange oplitica, ordinata e serrata; vd. E. Lammert, RE IX/1, s.v. Ἴλαι’.

  13. R.F. Willetts, Aristocratic Society in Ancient Crete, cit., p. 120: «It seems likely that at this ceremony, the members of the ἀγέλα, having now reached the final stage of their initiation into manhood, laid aside their boyhood garments before assuming the warrior’s costumes which each had received as a gift after his period of seclusion».

  14. Hom. Il. XXII 123-130.

  15. N. Richardson, The Iliad: a Commentary, vol. VI, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, p. 119: «γυμνόν must mean unarmed».

  16. Nonostante la somiglianza tra i due termini, non bisogna tuttavia presupporre arditamente una radice etimologica comune: γυνὴ deriva certamente dall’indoeuropeo *gwen, mentre più difficile sembra l’origine di γυμνός. Chantraine, Beekes e Beek ricollegano il termine γυμνός alla base indoeuropea *nogw-no-, forse la forma iniziale fu *νυγνός trasformatosi poi in *μυγνός e infine in γυμνός, vd. P. Chantraine, Dictionnaire etymologique de la langue grecque. Histoire des mots, vol. I, Paris, Klincksieck, 1968, pp. 241-243 e R.S.P. Beekes, L. van Beek, Etymological Dictionary of Greek, Boston, Brill, 2010, pp. 291-292.

  17. Van Nortwick pone in rilievo il verbo ὀαρίζω, «fare discorsi da donna», da ὄαρ, «moglie» e suggerisce che anche questo verbo possa riferirsi alla condizione per cui Ettore appare sull’orlo del limite tra virilità e femminilità; vd. T. Van Nortwick, Like a Woman: Hector and the Boundaries of Masculinity, in «Arethusa», xxxiv, 2, 2001, pp. 221-222.

  18. Ibidem.

  19. Hom. II. VI 407-439.

  20. Hom. Il. VI 486-493.

  21. Questa fase di passaggio basato sulla polarità maschile-femminile e padre-madre non è un tratto esclusivo della cultura greca, bensì si riscontra in rituali drammatizzati di diverse società primitive: vd. il rito di circoncisione della tribù australiana Murngin in J. Campbell, The Hero with a Thousand Faces, Novato, The New World Library, 2008, trad. it. L’eroe dai mille volti, Torino, Lindau, 2010, pp. 19, 166, 187 e i riti di separazione descritti da A. Van Gennep, I riti di passaggio, cit., pp. 43-56.

  22. T. Van Nortwick, Like a Woman: Hector and the Boundaries of Masculinity, cit., p. 223: «For Hector, as for all males in the world of ancient heroic poetry, identity follows from separation. The masculine hero has two imperatives: move away from the nurturing embrace of the mother and come to terms with the hard wisdom embodied somehow in the father». Si ricordi anche l’esempio di Telemaco: «to reach maturity, Telemachus must leave Ithaca and his mother to go in search of his father».

  23. Le tre donne incontrate da Ettore in città tenterebbero in diversi modi di allontanare l’eroe dalla guerra che si prepara al di fuori delle mura: Ecuba offrendogli del vino, rifiutato dal figlio che desidera essere lucido per lo scontro; Elena invitandolo a riposare, ma anche in questo caso l’eroe declina per dirigersi in fretta verso la propria famiglia in vista della battaglia; infine Andromaca stessa tenta di trattenere lo sposo attraverso il legame che lo vincola alla propria famiglia.

  24. Ciò è evidente nel finale del monologo, in cui Ettore accetta il proprio destino, vd. Hom. Il. XXII 129-130: βέλτερον αὖτ᾽ ἔριδι ξυνελαυνέμεν ὅττι τάχιστα: | εἴδομεν ὁπποτέρῳ κεν Ὀλύμπιος εὖχος ὀρέξῃ.

  25. Hom. Il. XVI 813-815.

  26. R. Janko, The Iliad: a Commentary, vol. IV, Cambridge, Cambridge University Press, 1992, p. 415: «Patroklos is in a tunic, not naked. Thus Hektor says Akhilleus would kill him γυμνὸς ‘like a woman, once I take off my armour’- men always carried arms. Warriors wore tunics under their corslets».

  27. Basti ricordare il ruolo centrale assegnato alla nudità in una festività fondamentale come le Gimnopedie a Sparta.

  28. Vd. O.A. Danielsson, Epigraphica, Uppsala, Uppsala Universitets Årsskrift, 1890, p. 12: «Sed cogitari etiam hoc potest, ἀζώστοις s. ἀστόλοις illis una cum cingulo aliam quoque iustae vestis partem defuisse. Quoniam autem tunicae plerumque, non pallio vel amictui superinduebatur, consentaneum foret hoc loco non palii sed tunicae defectum significari, ut ἄζωστος idem valeret quod ἀχίτων. […] Apud Homerum ζῶμα et ζῶστρον de tunica usurpari videntur».

  29. Ateneo dice che in Omero l’aggettivo ἄζωστος è adoperato per indicare coloro che hanno una tunica priva di cintura, vd. Athen. 523d: καὶ γὰρ ἰδίως παρ᾽ αὐτοῖς ἐπεχωρίασεν φορεῖν ἀνθινοὺς χιτῶνας, οὓς ἐζώννυντο μίτραις πολυτελέσιν, καὶ ἐκαλοῦντο διὰ τοῦτο ὑπὸ τῶν περιοίκων μιτροχίτωνες, ἐπεὶ Ὅμηρος τοὺς ἀζώστους ἀμιτροχίτωνας καλεῖ. Vd. Hom. Il. XVI 419.

  30. P. Vidal-Naquet, Il cacciatore nero, cit., p. 140.


In the space of what Van Gennep calls liminal rites, abnormal behavior can occur, often dramatized and completely foreign to the traditional social rules of the “civilized” polis. One of these othernesses emerges in the sexual sphere, from which certain circumstances arise involving homosexuality-whose initiatory value in Greek mythology has been particularly investigated by Bernard Sergent-and sexual inversion, often associated with transvestism. The latter dynamic is usually expressed through “carnivalesque” and dramatized ceremonies, in which the expression of apparently eccentric traits and the overturning of customary norms is made possible, actually aimed at consolidating the canonical social organization of the polis. Transvestism also has as its counterpart the ritual nudity that often emerges in initiatory contexts, as for example in the Spartan κρυπτεία and probably also among the bears of Brauron; such nudity evidently possesses symbolic value since it is part of the set of anomalous circumstances that distinguish liminal space.