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Mitologia di Auerbach

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Ad oggi, parlare di Erich Auerbach e delle sue opere senza trascinarsi dietro il peso della sua fama, è un’impresa a dir poco irrealistica. In molti tra i maggiori esponenti della critica letteraria italiana e straniera, sono concordi nell’attribuirgli un ruolo centrale nella storia della critica del Novecento. In occasione delle ricorrenze dalla pubblicazione di Mimesis1 o dalla morte dell’autore, le celebrazioni «sono avvenute in tutto il mondo occidentale, dalla Germania alla Francia agli Stati Uniti»2. Mimesis ha raggiunto indubbiamente un successo di grande portata, che travalica le barriere di tempo e spazio, e molti dei suoi concetti sono ancora il fulcro di numerose discussioni e dibattiti.
Alcuni elementi biografici hanno certamente contribuito a rendere la figura di Auerbach un emblema per gli anni del dopoguerra: berlinese di nascita ma di origini ebraiche, durante il suo esilio a Istanbul ha composto una grande narrazione sintetica del percorso della letteratura occidentale nel corso della catastrofe nazista. La portata allegorica della sua opera, oltre ovviamente alla sua non replicabilità, suscitò ammirazione3, finendo in un certo senso per mettere in ombra il contenuto intrinseco della stessa. Come si vedrà successivamente, Auerbach ha impostato la struttura di Mimesis in modo tale che nulla sia dato per scontato: non usa la sua autorità per accaparrarsi la fiducia cieca del lettore, ma lo accompagna durante tutto il tragitto, in un’«esperienza di riconoscimento» attraverso un mondo familiare di cui lui è «cicerone»4. Mondo, però, dal quale è lo stesso Auerbach ad essere escluso durante la sua condizione di esule. L’allontanamento dalla Germania e il suo soggiorno a Istanbul lo rendono straniero sia per il mondo occidentale che per il mondo orientale. Ma è questa condizione a permettere la creazione di Mimesis. Avendo perso i suoi punti di riferimento, Auerbach fece di sé stesso la propria stella polare. La presenza autoriale è talmente radicata tra le pagine di Mimesis che leggendo si ha l’impressione «that we are witnessing the virtuoso at work»5. Impressione che persino Auerbach si preoccupa di coltivare, rimarcando spesso la sua situazione in Turchia. Come egli stesso scrive nella Conclusione di Mimesis:

fu un lavoro scritto durante la guerra, a Costantinopoli. Colà non esistono biblioteche ben fornite per studi europeistici, le relazioni internazionali erano interrotte, sicché dovetti rinunciare a quasi tutti i periodici, alla maggior parte delle nuove ricerche, e talvolta perfino a un’edizione critica fidata dei testi. […] Si connette alla mancanza di periodici e di letteratura specializzata anche il fatto che il libro non porti note; all’infuori dei testi faccio pochissime citazioni, e queste poche si lasciano facilmente inserire nell’esposizione6.

La sua posizione nella storia della critica perderebbe di valore se non si considerasse questo aspetto? La sua condizione da esule ha fatto sì che l’opera assumesse un’aura mitologica: Auerbach vorrebbe sorreggere le colonne della cultura europea come il titano Atlante. Pochi altri libri, nel corso della storia della critica, hanno avuto una vitalità e una longevità paragonabile a quella di Mimesis. È forse, come afferma Guido Mazzoni, «l’unica grande filosofia […] che sia sopravvissuta allo scetticismo della nostra epoca»7, nonostante la situazione storica e intellettuale sia ormai diversa. È ormai trascorso più di mezzo secolo dall’uscita del testo, ma lo studio di Auerbach non ha avuto bisogno degli ultimi quarant’anni per raggiungere il suo status di classico. Lo ha fatto quasi subito8. Il suo contemporaneo Ernst Robert Curtius, durante un viaggio negli Stati Uniti, si lamentò che «non si sentiva nient’altro che Mimesis»9. In verità, ciò che veramente segnò la fortuna dell’opera non fu tanto la sua data di pubblicazione, ovvero il 1946, ma il 1953, anno in cui venne tradotta per la prima volta in inglese da Princeton University Press. Come afferma Riccardo Castellana, questo è l’anno «a partire dal quale una svolta irreversibile si è compiuta nella ricezione di Mimesis», perché «da quel momento in poi il pubblico originario del libro cominciò rapidamente ad allargarsi […] identificandosi sempre meno nella ristretta élite dei romanisti tedeschi a cui inizialmente era o sembrava essere destinato»10. E una tale diffusione fu permessa proprio dall’approccio storico-filologico che Auerbach utilizza per strutturare la sua opera: mentre si apriva una fase di schemi rigidi, egli forniva un’analisi stilistica più flessibile, ma allo stesso tempo sintetica. Come Auerbach stesso afferma, adducendo un confronto con il collega Spitzer, «egli tende […] a cogliere esattamente le forme individuali. A me invece interessa qualche cosa di universale»11.
Questa tendenza alla sintesi è associata, di contro, al metodo dei campioni testuali che Auerbach adotta sistematicamente. L’apparente contraddizione deriva dalla duplice formazione dell’autore, dal tentativo di conciliare la componente storiografica e filologica su cui si era formato. Per quel che concerne la sua idea di storia, è lo stesso Auerbach ad offrirne una sintesi nei suoi scritti teorici:

La maggior parte di voi studia alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e si dedica quindi alla storia: storia sia dei mutamenti nel mondo politico ed economico, sia dell’arte, della lingua o della letteratura. Alla base di tale studio sta necessariamente una convinzione: che non vi siano soltanto degli eventi […], ma una storia […]; che, dunque, nell’ambito delle azioni e delle sofferenze degli uomini i fenomeni non siano isolati, senza un nesso reciproco (e quindi la loro totalità soltanto un ammassarsi di tempo), ma che i molti e svariati eventi della vita dell’uomo nel tempo terrestre formino un tutto, un unico decorso o un insieme dotato di senso, nel quale ogni singolo avvenimento è variamente radicato e può trovare una sua interpretazione12.

Secondo Auerbach, dunque, la tendenza a questo sguardo d’insieme, a questa sintesi, è insita nella natura umana, è specchio di una necessità di ricostruire uno schema dotato di senso. Non bisogna dimenticare, però, che Auerbach era un filologo, e che da tale disciplina aveva ereditato l’interesse per lo studio e l’analisi del particolare, della minima parte. A partire da essa, poi, lo sguardo si sposta inglobando una visuale sempre più ampia: lo studio della singolarità non deve restare fine a sé stesso, ma deve fungere da chiave di accesso alla totalità:

A volte capita che si scopra un singolo fenomeno d’avvio il quale, a sua volta, fa scattare il riconoscimento e la formulazione del problema generale […]. Importante è convincersi che un obiettivo generale di carattere sintetico o un problema generale non bastano. Piuttosto, è indispensabile individuare un fenomeno parziale, il più possibile circoscritto, concreto, descrivibile con strumenti tecnico-filologici, da cui i problemi si sviluppino e in base al quale diventi possibile dar forma all’obiettivo13.

La sintesi di questo conflitto è racchiusa nella struttura di Mimesis, tra le cui pagine si percepisce questa tensione continua tra particolare e universale. L’andamento dell’opera è quasi sinusoidale, in un alternarsi di elementi analizzati al microscopio e ampissime prospettive aeree. E questi «fenomeni parziali»14, in Mimesis giungono dai testi analizzati, dei quali Auerbach riporta lunghe citazioni all’interno dei capitoli che compongono l’opera. E, di contro, la comprensione di un testo può dirsi veramente compiuta solo quando si è in grado di coglierne il contenuto universale in esso racchiuso15. Come afferma lo stesso Auerbach:

Lo spunto non deve essere una categoria da noi trasferita sull’oggetto, nella quale esso deve essere classificato, ma deve essere una caratteristica storica interna, in esso osservata, che una volta messa in rilievo e spiegata chiarisce l’oggetto stesso nella sua peculiarità e altri oggetti in rapporto con quello16.

Questa teoria, detta appunto dello spunto, è esposta chiaramente nei due scritti Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo e Filologia della letteratura mondiale:

Solo con l’individuare un fenomeno ben definito nel suo insieme, di facile orientamento e centrale come punto di partenza […] l’esecuzione del piano diventa possibile. […] Esso è dovuto al principio di metodo, che suona così: per attuare un grande progetto sintetico occorre trovare, in primo luogo, un punto di partenza, un appiglio che permetta di afferrare l’oggetto. Il punto di partenza deve isolare une sfera di fenomeni ben definita e ben distinta; e l’interpretazione di questi fenomeni deve avere una tale forza di irradiazione da ordinare e coinvolgere nell’interpretazione un settore assai più esteso di quello di partenza. […] Mi sembra però utile rilevare […] l’importanza del metodo come dell’unico mezzo che, al giorno d’oggi, ci permette di rappresentare, sinteticamente e suggestivamente, i processi importanti della storia interna su un vasto sfondo17.

Auerbach parte da una citazione per illuminare un vasto panorama letterario, assumendo via via dei testi come exempla emblematici di quel particolare periodo storico. Lo schema di affinità e opposizioni si sviluppa non solo all’interno dei singoli capitoli, ma anche tra gli uni e gli altri. Nelle venti parti che compongono Mimesis, Auerbach mette a confronto testi separati sia da un’oggettiva distanza temporale che di contesto, e dei quali riporta una lunga citazione. Senza queste citazioni, l’intero sviluppo del capitolo perderebbe di senso. Attraverso l’analisi del brano e dell’individuazione dello spunto, si ricava la componente principale dell’opera presa in esame, che viene successivamente elevata a modello. Ad essa, nella maggior parte dei casi, viene affiancata un’altra opera che instaura con la prima un rapporto di somiglianza o divergenza. Come afferma Guido Mazzoni:

gli basta confrontare ciò che è possibile nei diversi periodi storici e osservare le differenze. Il gesto critico decisivo in questo senso è il paragone. Il tipo di sguardo che Auerbach rivolge alle opere rimanda a un termine di confronto anche quando il confronto non è esplicito18.

Nel suo complesso, la struttura di Mimesis presenta un’organizzazione alquanto peculiare: la spiegazione del metodo di analisi in essa utilizzato viene affidata, come si è visto, ad altre opere, e la materia trattata viene dichiarata esplicitamente soltanto alla fine del testo. Nella Conclusione, Auerbach afferma infatti che l’argomento dello studio è «l’interpretazione della realtà per mezzo della rappresentazione letteraria o “imitazione”»19, mentre il testo comincia invece in medias res. Subito ci si trova immersi nel mondo auerbachiano, tra la Bibbia e Omero, senza avere una reale istruzione direttiva né un’introduzione che ne dichiari gli scopi20.
Com’è noto, nella traduzione italiana, il titolo originale, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur («Mimesis. La realtà rappresentata nella letteratura occidentale»), è stato erroneamente tradotto in Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, «con scarsa preoccupazione per la lettera e pensando piuttosto al dibattito italiano sul realismo degli anni Cinquanta»21, come sostiene Riccardo Castellana. Una scelta che adduce una scorretta interpretazione del senso intrinseco del testo. Sull’utilizzo del termine realismo si sono espressi molti studiosi e critici, tra cui Francesco Orlando, che nel caso di Mimesis ne individua ben ventuno diverse accezioni22. Auerbach, infatti, non dà mai una definizione univoca del termine, ma lascia che questo assuma diverse sfumature a seconda del capitolo nel quale è utilizzato. Durante l’attuale formazione scolastica, spesso si apprende che il termine realismo risulta associato al concetto di realtà oggettiva, a ciò che nel mondo c’è di effettivo e univoco. Ma le prime divergenze sorsero già nell’Ottocento, tra chi, come Gustave Courbet, sosteneva che per realismo si intendesse la capacità di «rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca, secondo il mio modo di vedere»23, e chi, come Edmond Durandy, che invece lo definiva come «riproduzione esatta, completa e sincera dell’ambiente sociale del mondo contemporaneo»24 attraverso l’eclissi dell’autore. Certo è che Auerbach non utilizza questo termine nel senso in cui noi oggi abbiamo imparato a intenderlo; non è una categoria generale, ma un codice, come afferma Francesco Orlando. È un insieme variabile di rapporti tra l’oggetto preso in esame e le modalità attraverso cui esso viene rappresentato nella realtà del tempo, attraverso la selezione di quelle forme capaci di valorizzarlo25. Come Auerbach scrive negli Epilegomena a Mimesis:

Potendo, non avrei addirittura usato espressioni generali, bensì suggerito l’idea al lettore mediante la pura e semplice rappresentazione di una serie di particolari. Ma non era possibile. Allora presi alcune espressioni molto correnti come realismo e […] ne introdussi altre due meno usate: separazione degli stili, mescolanza degli stili. Che tutti, ma specialmente quelli molto correnti, dicano tutto e nulla, lo sapevo benissimo; solo dal contesto, e cioè dal contesto relativo, dovevano trarre il loro significato. […] Una volta credevo che si potessero inventare parole e nessi capaci di rendere […] quanto vi è di generale in ciò che è storicamente spirituale […]. Ma ciò conduce soltanto a nuovi equivoci […]. Il loro valore (il valore di concetti come Classicismo, Rinascimento, Manierismo, Realismo, Simbolismo ecc. […]) consiste dunque nella capacità di evocare nel lettore o nell’ascoltatore una serie di rappresentazioni che l’aiutino a capire ciò che si vuol dire nel contesto desiderato26.

Il concetto di realismo è pertanto uno strumento che consente al lettore di orientarsi all’interno dell’opera. Una volta stabilito che la materia di Mimesis è «l’interpretazione della realtà per mezzo della rappresentazione letteraria»27, è opportuno chiedersi cosa intenda Auerbach con il termine realtà. Per lui è il divenire storico, ciò che noi definiamo presente, che però deve necessariamente essere messo in relazione con ciò che ci sarà dopo:

Lo studio della realtà del mondo praticato con metodi scientifici riempie e domina la nostra vita […]. All’interno della realtà del mondo, la storia è ciò che ci tocca più direttamente, ci coinvolge più profondamente e ci porta più insistentemente alla coscienza di noi stessi, perché costituisce l’unico oggetto di studio in cui gli uomini si presentano davanti a noi nella loro interezza: e per oggetto della storia […] non si intende solo il passato, bensì il procedere degli eventi in generale, inclusivo quindi di ciò che, volta per volta, è presente. La storia degli ultimi millenni […] è la storia dell’umanità giunta a un’espressione propria. […] Ciò che siamo, lo siamo diventati nella nostra storia; solo in essa possiamo rimanere noi stessi e svilupparci28.

La concezione del realismo letterario proposta da Auerbach è dunque un tentativo di comprensione dell’umano: realismo è realtà, la realtà è storia, e storia è individuo. E per quanto egli si sforzi all’interno dei vari capitoli di realizzare uno studio che restituisca obiettivamente lo sfondo storico-sociale, il fine da lui raggiunto non ha a che fare propriamente con questo: come ha scritto Landauer, «he shifts from reality defined at the sensory level to reality defined by sociological structure to reality defined as an emotional state»29.
Il viaggio di Auerbach attraverso la letteratura occidentale comincia dall’antichità classica e si snoda tra Medioevo e Rinascimento sino al XIX secolo, trattato nello specifico nel capitolo diciotto: All’hotel de la Mole. È nell’Ottocento di Stendhal, Balzac e Flaubert che, secondo Auerbach, si realizza il processo che culmina con la formulazione del realismo moderno, caratterizzato da due specificità fondamentali: la capacità di rappresentare problematicamente la realtà quotidiana e di calare questa rappresentazione in un ben definito contesto storico. Questo secondo elemento, in particolare, è reso possibile dagli eventi storici che avevano sconvolto la Francia durante la Rivoluzione. «Si fa largo l’idea che il mondo sia soggetto a forze storiche impersonali […] e che i suoi attori siano […] le grandi masse e non solo le oligarchie nobiliari»30, sottolinea Riccardo Castellana. A Balzac e Stendhal Auerbach riconosce il merito di aver rappresentato questa svolta epocale, ma con Flaubert il paradigma della rappresentazione oggettiva raggiunge il suo culmine. Attraverso una cieca fiducia nel linguaggio e nella sua capacità di rivelare «anche la realtà dei fatti»31, Flaubert si astiene dall’emettere qualunque tipo di giudizio, limitandosi a rappresentare in modo impersonale la quotidianità di Emma. Madame Bovary «è la rappresentazione di un’intera vita umana senza uscita, e il nostro brano ne è un frammento, che però contiene in sé già tutta la storia»32.
La ricerca di Auerbach sembrerebbe essere giunta a una conclusione, a un punto di arrivo. Invece procede, e questa fase emblematica, individuata come traguardo di un processo di lunga durata, sembra già esaurirsi alla fine del XIX secolo. Col XX secolo, Auerbach passa infatti ad analizzare un realismo più psicologico che privilegia l’introspezione individuale piuttosto che il suo rapporto con la società. Con il brano tratto da Gita al faro di Virginia Woolf ci troviamo immersi in una realtà caotica in cui l’unico elemento che garantisce unità alla scena è la protagonista, la signora Ramsay. Si perdono i punti di riferimento della realtà esterna che scorre rapidamente e l’autore passa in secondo piano. A realizzarsi è la mimesi della coscienza. Ciò avviene perché, col tempo, si sviluppa l’idea che «la rappresentazione seria del quotidiano sia solo un aspetto dell’evoluzione del realismo letterario»33 e che «gli attuali paradigmi filosofico-scientifici, combinati con quelli storici, spingono a considerare il realismo innanzitutto come un codice di accostamento fra soggettività individuale-interiore e mondo esterno, in continua interazione»34. L’azione che si svolge nel brano analizzato da Auerbach è tutta interpretata e narrata dal punto di vista della signora Ramsay, che si relaziona continuamente con elementi esterni che le suscitano emozioni e ricordi. Noi conosciamo solo quello che la signora Ramsay vede e apprende; è solo una piccola porzione di realtà. Come scrive Auerbach:

Questo spostamento del centro di gravità esprime quasi uno spostamento di fiducia: si attribuisce meno importanza alle grandi svolte esteriori e ai colpi del destino […]; si ha fiducia invece che un qualunque fatto della vita scelto casualmente contenga in ogni momento e possa rappresentare la somma dei destini […]. Chi rappresenta dal principio alla fine lo svolgimento completo della vita umana […] arbitrariamente taglia e isola; ad ogni momento la vita è già incominciata da un pezzo e ad ogni momento continua il suo corso; e ai personaggi capitano molte più cose di quante egli potrà mai raccontare. Ma quanto succede a poche persone nel giro di pochi minuti, ore o tutt’al più giorni, può forse essere descritto con una certa completezza35.

Si giunge così a una fase storica in cui il realismo come rappresentazione seria del quotidiano «arriva al suo culmine e progressivamente tramonta o si trasforma, giungendo alle sue forme parcellizzate o interiorizzate […]»36. In Mimesis, Auerbach studia e confronta testi al fine di interpretarne somiglianze o divergenze, ma senza mai contrapporre un modello positivo ad uno negativo. Per i classicisti francesi, la realtà si rivelava solo attraverso schemi ordinati: la mescolanza degli stili era per loro impraticabile perché non considerata idonea allo scopo37, ma non per questo il loro regime rappresentativo è da considerare meno evoluto. Non si tratta di descrivere uno scontro di lunga durata fra realismo e non-realismo, ma di restituire un’immagine delle modalità attraverso cui nelle varie epoche la letteratura ha rappresentato la realtà.
Se Mimesis è un’opera che travalica le barriere di spazio e tempo, è anche vero che questa fu scritta in una situazione storica ben determinata. Auerbach non perde occasione di ricordarcelo, rimarcando sia la particolare circostanza di conflitto durante la quale l’opera fu scritta, sia la sua personale condizione di esule: «[…] si aggiunga che il lavoro fu scritto durante la guerra, a Costantinopoli»38, luogo in cui Auerbach fu confinato e dal quale poteva solo osservare da lontano il suo Occidente. Quella dell’ideologia implicita nel concetto geografico espresso nel sottotitolo di Mimesis, è forse una questione da attenzionare. Infatti, il termine Occidente rimanda irrimediabilmente a un bagaglio culturale per secoli identificato come privilegiato, basato su un paradigma di imposizione e di esportazione del proprio sapere piuttosto che su quello di mediazione39. Nel secondo dopoguerra, il consolidamento istituzionale della stessa disciplina della comparatistica, come afferma Emily Apter, «assigned Europe the lion’s share of critical attention and shortchanged non-Western literatures»40. Per la studiosa, il tono con cui Auerbach sottolinea la propria condizione di disagio è esageratamente malinconico, a maggior ragione se si pensa che anche altri erano confinati a Istanbul. Leo Spitzer dovette fare i conti con la stessa condizione da esule ma, come afferma la Apter, la affrontò con uno spirito totalmente diverso. Egli fondò una vivace scuola filologica a Istanbul e fu su suo invito che Auerbach entrò a far parte del dipartimento nel 1936, nel quale si respirava un’atmosfera familiare41. La situazione era, dunque, ben diversa dall’isolamento restituitoci nella postfazione di Mimesis: «Auerbach’s jaundiced depiction of his loneliness in the wilderness really appears to be a distorted picture of what it was like to live and work in Istanbul»42. È stato Spitzer a raccontare prima di Auerbach la storia dell’umanista esiliato. Ovviamente anche la sua scuola fu «an island of Eurocentric insularity»43, ma egli era chiaramente più disposto ad un’apertura nei confronti della cultura turca rispetto al suo collega. Auerbach reagì chiudendosi nella sua bolla, «concerned to maintain exclusive boundaries around European civilization, keeping it “from being engulfed in another, more comprehensive unity”»44. Certamente la condizione di Auerbach come esiliato dall’Occidente non era esclusiva, ma nel profondo egli si sentiva esiliato persino dall’Oriente. Non aveva un luogo da poter chiamare casa.
Non bisogna però cadere nell’errore di banalizzare il tema dell’esilio come unico elemento chiave per la comprensione di Mimesis. «È possibilissimo che il libro debba la sua esistenza proprio alla mancanza d’una grande biblioteca specializzata; se avessi potuto far ricerche, informandomi su tutto quello che è stato scritto intorno a tanti argomenti, forse non mi sarei più indotto a scriverlo»45, scrive Auerbach nelle ultime righe di Mimesis. Ma il suo attaccamento alla cultura europea è di tipo affettivo, quasi come se all’ombra dell’esilio «sorga l’esigenza di pensare, di dire la cosa Europa»46. È il tentativo di salvare ciò che c’è di salvabile di una cultura umanistica distrutta sia dal nazionalismo che dalla futura globalizzazione. Questa tensione di forze disgregatrici è percepita anche da altri contemporanei di Auerbach, come ad esempio Maria Zambrano, che ne L’agonia dell’Europa scrive: «L’Europa non è morta, l’Europa non può morire del tutto […], l’Europa è forse l’unica cosa – nella Storia – che non può morire del tutto, l’unica che può resuscitare»47. E forse l’utopia che Auerbach cerca di compiere in Mimesis è proprio questa: far resuscitare un sovrano che sta per cedere il suo trono ad altre culture, all’altro, che nella cultura europea è spesso rappresentato dal “terribile turco”48; ma l’opera di Auerbach, più che restituire uno scontro fra Occidente e Oriente, è una battaglia dell’Occidente con sé stesso. Come sostiene David Damrosch:

Scrivendo il suo grande libro a Istanbul, Auerbach reagisce al suo esilio e rifiuta di sottomettersi ad esso. Ma si sbagliava sulla natura di questo esilio: il suo problema non era quello di essere tagliato fuori dalla vita terrena […]. L’esilio di Auerbach è inverso: […] egli vive in esilio dal passato, dai mondi dei suoi amati testi, che non possono […] fornire un rifugio olimpico dalla duplice tirannide del tempo e delle pressioni politiche49.


  1. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946), trad. it. di A. Romagnoli e H. Hinterhäuser, Torino, Einaudi, 2000.
  2. A. Casadei, Per Auerbach, contro Auerbach, in «Le parole e le cose», 25 luglio 2014, <https://www.leparoleelecose.it/?p=15739>, url consultato il 5 agosto 2023.
  3. Cfr. E. Auerbach, Filologia della letteratura mondiale (1952), trad. it. di R. Engelmann, Ferrara, Book, 2006, p. 11.
  4. C. Landauer, Mimesis and Erich Auerbach’s Self-Mythologizing, in «German Studies Review», XI/1, 1988, p. 89.
  5. Ivi, p. 88.
  6. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit., vol. II, p. 343.
  7. G. Mazzoni, Il paradosso di Auerbach, in Letteratura mondiale e metodo, a cura di G. Mazzoni, Milano, Nottetempo, 2022, p. 44.
  8. Cfr. C. Landauer, Mimesis and Erich Auerbach’s Self-Mythologizing, cit., p. 83.
  9. Ibidem.
  10. R. Castellana, La teoria letteraria di Erich Auerbach, Roma, Artemide, 2013, pp. 10-11.
  11. E. Auerbach, Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 25-26.
  12. Id., Vico e Herder, in Letteratura mondiale e metodo, cit., p. 20.
  13. Id., Filologia della letteratura mondiale, cit., p. 65.
  14. Ibidem.
  15. Cfr. G. Tinè, Erich Auerbach. Una teoria della letteratura, cit., p. 45.
  16. E. Auerbach, Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo, cit., pp. 25-26.
  17. Ivi, pp. 61-63.
  18. G. Mazzoni, Il paradosso di Auerbach, cit., pp. 32-33.
  19. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit., vol. II, p. 339.
  20. Cfr. R. Castellana, La teoria letteraria di Erich Auerbach, cit., p. 27.
  21. Ivi, p. 23.
  22. Cfr. F. Orlando, Codici letterari e referenti di realtà in Auerbach, in La rappresentazione della realtà. Studi su Erich Auerbach, a cura di R. Castellana, Roma, Artemide, 2009, pp. 17-62.
  23. Cit. in L. Rodler, Realismo, naturalismo e positivismo, in Storia della civiltà europea (2014), a cura di U. Eco, ora in «Treccani», <https://www.treccani.it/enciclopedia/naturalismo-e-positivismo-realismo_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/>, url consultato il 5 agosto 2023.
  24. Ibidem.
  25. Cfr. R. Castellana, La teoria letteraria di Erich Auerbach, cit., p. 174.
  26. E. Auerbach, Epilegomena zu Mimesis, in «Romanische Forschungen», 65, 1953, p. 16.
  27. Id., Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit., vol. II, p. 339.
  28. E. Auerbach, Filologia della letteratura mondiale, cit., pp. 37-41.
  29. C. Landauer, Mimesis and Erich Auerbach’s Self-Mythologizing, cit., p. 85.
  30. R. Castellana, La teoria letteraria di Erich Auerbach, cit., p. 76.
  31. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit., vol. II, p. 260.
  32. Ivi, p. 263.
  33. A. Casadei, Per Auerbach, contro Auerbach, cit., <https://www.leparoleelecose.it/?p=15739>.
  34. Ibidem.
  35. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit., vol. II, pp. 332-333.
  36. Cfr. A. Casadei, Per Auerbach, contro Auerbach, cit., <https://www.leparoleelecose.it/?p=15739>.
  37. Cfr. F. R. Ankersmit, Why Realism? Auerbach on the Representation of Reality, in «Poetics Today», XX/1, 1999, p. 55.
  38. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit., vol. II, p. 343.
  39. Cfr. R. Luperini, Tramonto e resistenza della critica, Macerata, Quodlibet, 2013, p. 15.
  40. E. Apter, Global Translatio: The “Invention” of Comparative Literature, Istanbul, 1933, in «Critical Inquiry», XXIX/2, 2003, p. 253.
  41. Cfr. ivi, p. 261.
  42. Ibidem.
  43. Ivi, p. 266.
  44. Ivi, p. 267.
  45. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit., vol. II, p. 343.
  46. P. Bagni, Tra Europa e utopia: rileggendo Mimesis, in «Francofonia», 45, 2003, p. 16.
  47. M. Zambrano, L’agonia dell’Europa, Marsilio, Venezia, 1999, p. 48.
  48. Cfr. A. R. Mufti, Auerbach in Istanbul: Edward Said, Secular Criticism, and the Question of Minority Culture, in «Critical Inquiry», XXV/1, 1998, p. 102.
  49. D. Damrosch, Auerbach in Exile, in «Comparative Literature», XLVII/2, 1995, p. 115.

Mimesis is a work that transcends the barriers of time and space. Wrote in a delicate historical moment, the book is imbued with the author’s lived experience. But the question that has recently come out is: if Auerbach had written it elsewhere, would Mimesis have been as successful? In a work that proposes a parable of the modifications in Western literature from ancient to modern, Auerbach seems to remain hooked on a teleological image of European civilization, a civilization that is now handing over the keys of its kingdom to posterity.