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Fenomenologia dell’«espressionismo irripetibile». Metalinguismo e pluristilismo in Gadda

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Secondo il parere di Segre, quello dell’ingegnere è stato un «espressionismo irripetibile» che satura e percorre tutte le vie del romanzo espressionistico e polifonico in Italia1. Per comprenderne a pieno l’irreplicabilità risulta indispensabile indagarne anzitutto i presupposti metaletterari che giustificano e rendono intellegibili le peculiarità della sua scrittura: il rapporto stringente tra estetica, gnoseologia ed etica da una parte e lo storicismo dello scrittore milanese dall’altra. In seconda istanza, centrale è l’indagine che ha per oggetto i fili rossi che lo percorrono (mescolandosi e impasticciandosi) quali la tendenza alla deformazione, l’immedicabile malinconia che si sublima nel lirismo, la vena satirico-umoristica e, in ultima istanza, il linguaggio materico-maccheronico. Essi disambiguano la penna gaddiana emancipandola dal realismo e dal naturalismo e piuttosto ne determinano la matrice barocca, con quanto di problematico tale etichetta critica implichi2. È dunque necessario ricordare la centralità del pluristilismo la cui ratio è da rintracciare negli slittamenti di punti di vista e del plurilinguismo di cui è cifra distintiva l’interazione fra lingua e dialetto oltre quelle fra lingua letteraria, lingua d’uso e varietà tecnico-specialistiche. In ultimo, ma non per importanza, è possibile analizzare l’evoluzione dell’espressionismo nell’intera opera di Gadda e rintracciarne i numi tutelari.
Come sottolinea Contini, per lo scrittore milanese la realtà si determina a partire dalla rielaborazione, intrinsecamente connessa con l’azione, che il giudizio morale (configurandosi talvolta come protesta) compie degli eventi fenomenici3: dunque inscindibile è per Gadda il rapporto che lega l’etica all’estetica; la riflessione sul bene e l’analisi del male si attuano attraverso la scrittura. Infatti «la ricerca da parte dell’Ingegnere di una lingua, appunto, “estrema” perché tesa alla verità, da rappresentare e da narrare»4 affonda le sue radici nell’idea secondo la quale il linguaggio è l’unica via d’accesso e di conoscenza del mondo, in virtù del fatto che esso si pone come strumento di mediazione fra soggetto (che compie il processo di conoscenza) e oggetto (da decodificare e sottrarre all’oblìo)5. Proprio per questo motivo lo scrittore muove guerra al vaniloquio, alla parlata falsa6. Per Carlo Emilio è necessario tentare «il disvelamento dei fenomeni attraverso la loro dicibilità»7 e sono innegabili e non trascurabili le responsabilità che in merito hanno coloro che deformano il linguaggio, che falsificano, appunto, la realtà attraverso mistificazioni linguistiche8.
Sarebbe però un errore confondere l’inganno estetico (ed etico) con la deformazione espressionistica più propriamente gaddiana. Essa, infatti, è prima di tutto «termine tecnico della sua riflessione atto ad indicare la modificazione che ogni sistema di relazioni subisce nel suo flusso eracliteo dell’esistere»9 e solo in seconda istanza strumento estetico. Di conseguenza alla deformazione ontologica è speculare e consequenziale, per ragioni appunto gnoseologiche ed etiche, quella linguistica10 il cui baricentro risiede nei referenti piuttosto che nei significati e nei significanti, nella solida e più concreta realtà dell’oggetto11.
D’altro canto nell’indagine relativa alle ragioni del bene e del male, nella ricerca della verità, il signifié e il signifiant dimostrano la loro inadeguatezza poiché a legarli è l’arbitrarietà del segno soggetta a mutazioni storiche, politiche e culturali12. Gadda stesso aveva infatti sostenuto che «non è immanente ai millenni, il vocabolo: non è querce, è una muffa: è un prurito dei millenni»13 sottolineando l’incapacità dell’espressione linguistica di cristallizzare, una volta e per tutte, il mistero della verità – sebbene essa sia il principale, se non l’unico, mezzo contaminato attraverso il quale è possibile condurre l’indagine estetica, gnoseologica ed etica. Le parole «sono un collutorio comune di che più o meno bravamente ci gargarizziamo, risputandone ognuno in bocca all’altro e finalmente tutti in un guazzo»14: per questo è necessario porre il cuore pulsante del linguaggio nelle cose, nella loro concretezza e durezza ontologica utilizzando nella maniera più pertinente un repertorio linguistico più ampio possibile: linguaggi tecnici, linguaggi specialistici, aulicismi, latinismi, forestierismi, neologismi, varietà vernacolari, forme ibride. Il mimetismo e il pluristilismo dello scrittore milanese, infatti, non sono ascrivibili ad un naturalismo linguistico tout-court15 né sono una forma bislacca di (neo)realismo.
Egli, infatti, si definisce «un romantico preso a calci dal destino e dunque dalla realtà»16 che, dietro gli oggetti e negli oggetti, foss’anche «una scarica di mitra», cerca un barlume, un riflesso di verità (considerata l’impossibilità di penetrarla fino in fondo), con una tensione tragico-titanica volta a decodificare (e talvolta solo ad intuire) le dinamiche degli eventi e dei fatti17. Come sottolinea Giuliani

del realismo di Gadda, se realismo è la rappresentazione di un mondo o il pensiero di una verità possibile, non c’importa molto: è tutt’al più bozzetto o scena mimata, non una corrente che trascina la narrazione. È un realismo minutamente frammentario che viene subito travolto da una realtà più potente: l’amara irrisione che aggredisce la lingua stessa18.

Realistiche sono le descrizioni degli interni delle case borghesi all’interno dell’Adalgisa19, ma espressionistica è la funzione per cui quelle descrizioni avvengono, aderente al reale sono le forme ibride dell’italiano-milanesizzato e del milanese italianizzato nei dialoghi ma espressionista è la sua chiave di lettura: i disegni milanesi sono «referto ironico e grottesco, mosso dalla dolorosa nostalgia di un tempo passato, di una Milano disparsa che lo scrittore non ritrova più, non riconosce più come luogo dell’anima»20 e non fotografia asettica. Emblema di tale fenomeno è la presenza di nomi parlanti21 individuati da Paola Italia nella produzione milanese di Gadda: la parodia, inconciliabile con una concezione realistica e naturalistica della scrittura, è insita nel linguaggio e in quei neologismi intellegibili esclusivamente o almeno principalmente ad un pubblico meneghino – i primi, veri interlocutori e fruitori ideali dell’opera.
Semmai, più che di realismo, è possibile parlare di barocco, se con tale termine si intende «l’iperbole ibrida della vita» come è stato messo in evidenza da Raimondi22. È nei Promessi sposi, infatti, che Gadda individua il barocco lombardo caratterizzato da «tenui tocchi e una grave tristezza»23. Esso, però, acquista ulteriore risonanza nella misura in cui permette la restituzione di una sintesi sinestetica (in grado di mescidare elementi visivi, acustici e tipografici su un retroterra spirituale e morale)24 capace di permettere, attraverso l’esperienza visiva, la cognizione della complessità: in tale nodo nevralgico convergono la tensione barocca con le istanze sperimentali delle avanguardie di primo Novecento25. Tale definizione della penna gaddiana fu dallo scrittore milanese ridimensionata26. Più che codice stilistico esso è piuttosto un’etica conoscitiva che si fonda sulla deformazione27 da una parte e la testimonianza storica dall’altra. Come sottolinea Patrizi, infatti, il barocco è la conditio sine qua non della creatività, in virtù di un’esperienza letteraria che sia anzitutto visiva e venga concepita, da Gadda, come «cognizione della complessità»28.
Ultimo presupposto metaletterario su cui risulta indispensabile porre l’attenzione è il sostrato profondamente storicista29 che permea la riflessione metalinguistica dello scrittore. Nelle scelte stilistiche compiute, Gadda, sensibile alla lezione dei teorici della Stilcritik30 e alla nozione di istituto linguistico di Ascoli, si imbatte nell’idea secondo cui

un soggetto che si esprime attraverso una peculiare costruzione testuale […] costruisce la propria identità in un duplice gesto fondativo: accettare il confronto con la tradizione come riconoscimento di una propria origine; incanalare la propria spinta creativa nelle modalità linguistiche di quella funzione del linguaggio che il canonico schema jakobsoniano indica, appunto, come funzione “espressiva”31.

La scrittura, dunque, diviene anzitutto il luogo immateriale entro il quale si stratificano e si sedimentano tutte le memorie, tutta la storia, tutto il flusso antropologico e culturale32 del popolo cui si appartiene (con le sue tradizioni letterarie e culturali), del proprio corpo sociale d’origine. La collettività, nel suo farsi storico, ha forgiato e attualizzato, generazione dopo generazione33, i singoli segmenti linguistici di cui un testo può essere intessuto. Proprio per questo motivo «la parola convocata sotto penna non è vergine mai»34: lo spessore della stessa coincide con la memoria che essa conserva dei propri utilizzi e della stratificazione storico-culturale dei suoi significati. Nel confronto-scontro con la storia, con un passato tutt’altro che venerabile e un futuro detestando, sospeso fra il non ancora e il mai più, Gadda ri-costruisce la propria identità attraverso la creazione di una mitologia personale entro la quale il proprio ruolo è quello di outsider continuamente esposto ad oltraggi35 d’ogni genere. Basti come esempio, in questa sede, un passaggio fondamentale del saggio Come lavoro:

Ho dovuto costruire la mia personalità, se persona è, con gli sciàveri d’una tradizione genetica non pura venuti via dalla querce e dal pino, germanico o gallica: nel duro carcere d’un educatoio borromeiano-tridentino, dove gli antidoti laicali resultarono, a volte, non meno tossici della disciplina catechistica36.

In queste righe è evidente quanto egli definisca se stesso in una prospettiva storica ben precisa ricostruendo la sua discendenza etnico-genetica e le abitudini pedagogiche proprie del contesto socio-economico-culturale cui apparteneva la sua famiglia. Altrove, e a più riprese, si definirà, come già messo in evidenza, «un romantico preso a calci dal destino».
Quella di Gadda è dunque la ricerca di una lingua flessibile e fertile, capace di restituire il nocciolo duro dell’esistenza37, realizzandosi, proprio per questo, come il canale attraverso il quale possa essere attuata l’unica forma di reale conoscenza ovvero quella delle concause, quella che realizza «l’imperativo etico di abbracciare la realtà dei fenomeni nel suo più vasto e complicato ingranamento»38.
Davanti ad una realtà complessa e ingarbugliata, deformata e deformante, diversi sono gli atteggiamenti dello scrittore milanese e, di riflesso, diverse sono le modalità stilistiche attraverso cui la sua posizione nei confronti del reale si incarna. Seguendo la riflessione presente ne Le droghe di Marsiglia è possibile metterne in luce almeno tre: quella malinconica, quella satirica e quella materico-maccheronica39.
Per quanto concerne la linea malinconica, Giuliani chiarisce che «malinconia è ogni letteratura dell’io soccombente per partito preso cioè per deliberata poetica a una storia bugiarda»40. Ben altra cosa dalla retorica dei buoni sentimenti41, dolciastra ed ipocrita, lacrimosa ed eticamente scorretta (poiché racchiusa in stilemi e forme convenzionali che abdicano nei confronti di qualunque spinta euristica), la «nobile malinconia»42, nel suo stile e nelle sue figure, è nota distintiva dell’opera e della personalità di Gadda. Le «anime sbagliate», più di ogni altro espediente, ne sono incarnazione esemplare (Elsa, Liliana e il molisano detective del Pasticciaccio, don Ciccio Ingravallo). È però necessario ricordare quanto essa si configuri anzitutto come reazione all’oltraggio che permea la vita tutta43: davanti alle svariate manifestazioni della morte («ogni oltraggio è morte», riporta Giuliani)44 una delle risposte di Gadda è quella propensione lirica cui il narratore, investendo il reale con la sua travolgente libido narrandi, si abbandona.
Ulteriore reazione, è quella satirica di «accanimento contro l’idiozia dominante»45. Per satira gaddiana Giuliani intende la rivolta, indignata e caustica, davanti allo sciabordare della stupidità, alle storture dis-etiche che abitano il reale. Tale tensione presuppone, come nel caso della tensione malinconica, una certa inconscia fiducia nell’onnipotenza del narrare e un’implicita (nonché intimamente conflittuale) superiorità del narratore: se là, il linguaggio e l’artista si ripiegano su tinte lirico-sublimi, sorretti dalla capacità straordinaria della voce narrante di percepire le vibrazioni più impercettibili di un sistema complesso (il reale) cui si abbandonano senza resistenza, qui, invece, il movimento centrifugo della rancura investe il guazzabuglio del reale, reagisce violentemente alla sua caotica inesplorabilità, alle sue disgustose manifestazioni fenomeniche, sempre in virtù di una posizione, quella del narratore-autore, superiore rispetto al sistema informe e grottesco46. Come lo stesso Gadda sosteneva, «in ambienza bugiarda, in circostanza corrotta, lo spirito dello scrittore è preso da un’angoscia, da un’unica: col suo segno, duro segno, reagire alla scioccaggine»47: è la vocazione etica a determinare l’utilizzo degli strumenti stilistici satirici quali la «brutale deformazione»48 e lo spasmo parodico49, cioè

lo straniamento dell’oggetto, la cui insensatezza è esaltata da qualunque risorsa espressiva, e in primis da aulicismi e arcaismi che, nel loro esorbitare e nella loro altezza, denunciano la miseria della cosa. Passiamo così da un umorismo che si vorrebbe più controllato, e che tradisce l’impazienza, alla furia dell’invettiva e dell’insulto, sempre sorretta però da un risentimento etico e razionale50.

È necessario quindi mettere a punto la definizione di Giuliani circa la satira: essa, infatti, è «il tentativo di trascendere la propria finitezza e di parlare in nome di un’etica superindividuale riesce solo in parte»51 poiché, nel suo processo di corrosione e distruzione delle sovrastrutture ingannatrici, delle storture etiche che abitano la comunità dei viventi, il suo termine ultimo non può che coinvolgere il medesimo narratore nel processo di polverizzazione52.
Consapevole della fallibilità e della tensione mistificatoria del linguaggio53, Gadda spinge perciò la sua ricerca stilistica e la sua reazione al di là della malinconia e dello scatto satirico-umorale giungendo alla maccheronea. È necessario sottolineare quanto il carattere di questo termine è di fatto metaforico: lo scrittore milanese, infatti, concepisce la maccheronea come una modalità espressiva deformante, basata sul modello cinquecentesco, costitutiva della sua penna e della sua anima piuttosto che un esercizio stilistico che si fonda sulla mescidazione dei metri classici (soprattutto l’esametro) con il lessico dialettale54. Attraverso di essa è possibile anzitutto compiere una catabasi nel groviglio brulicante dei viventi55, oltre che trovare un rimedio contro gli attacchi della malinconia56, e riuscire a rappresentare, in una mimesi grottesca, il mondo fenomenico, concedendo, inoltre, la possibilità di esprimere l’autoironia57 o «la perifrastica allegrezza del narrante».
Il contatto con la realtà, tanto più sofferto e desiderato per un outsider, viene garantito attraverso la modalità maccheronica poiché «il popolo, al ragionar che fa nelle su’ piazze e ne’ broli e nelle bettole, secerne continuamente la su’ maccheronea, come un perpetuo sudore»: attraverso la prossimità con il reale che assicura, «polverizza e dissolve nel nulla ogni abuso che d’ogni modo e forma e del ragionare e del dire venga fatto per entro le parole della frode». È in questa peculiarità che lo scrittore rintraccia «una funzione etica e gnoseologica: la maccheronea costituisce limite, e siepe, e rete, che recinge ed assiepa e delimita l’imbecillità del concetto, e con lei quella di chi ridice»58. Dunque, essa contribuisce anche al ridimensionamento e allo sgretolamento dell’io59 poiché, in opposizione all’abbandono lirico della malinconia, il linguaggio corrosivo della maccheronea investe, distruggendo, anche il soggetto e i protagonisti della narrazione60.
Non meno importante è la funzione ludica di tale modalità che libera dalla malinconia permettendo non solo l’appartenenza, sebbene deformata e deformante, ai contesti sociali cui è applicata ma anche la sopracitata allegrezza61. Per tirare le somme è possibile utilizzare le parole di Giuliani in merito: Gadda ravvisa nel dire maccheronico «una vivacità nella disperazione, la quale si confessa mentre si trucca, e tanto più ferocemente si diverte quanto più si accanisce grottescamente a fingersi realistica»62.
Il plurilinguismo e il pluristilismo, peculiarità dell’espressionismo tutto e strumenti stilistici impiegati in maniera irreplicabile dallo scrittore milanese, sono il frutto e la concretizzazione di quel groviglio di presupposti metaletterari e metalinguistici da una parte e, dall’altra, della confluenza di differenti modalità espressive che percorrono e innervano le riflessioni e l’opera omnia di Gadda. Come sottolineato da Segre, il plurilinguismo che si fonda sull’«interferenza fra registri di diversa storia e storicità […] in particolare tra quelli della lingua letteraria e della lingua d’uso con l’intervento straniante dei linguaggi speciali» viene dall’ingegnere ulteriormente arricchito attraverso l’inserimento della variabile dialettale63.
Più complesso è il discorso del pluristilismo: è Gadda stesso, nei suoi Cahiér d’études (1924)64, a esprimere le sue riflessioni stilistiche65. Come riportato da Segre, lo scrittore milanese, consapevole del circuito comunicativo (che nell’autore trova il suo punto di partenza fino a concludersi nel lettore che compartecipa al processo di significazione attualizzando e realizzando, tramite il suo atto interpretativo, plasticamente la narrazione)66, ha davanti la possibilità di narrare attraverso tre modalità: attraverso il «gioco ab interiore», il «gioco ab exteriore» e il «gioco indiretto dell’autore». La narrazione dall’interno richiede allo scrittore o di istituire un narratore-personaggio oppure di aderire, quanto più possibile, alla psicologia, alle deformazioni e ai limiti dei personaggi. Laddove la narrazione avvenga dall’esterno, due sono i possibili approcci richiesti allo scrittore: mantenere inalterata la propria emotività rimanendo impassibile sul modello verista oppure essere parte attiva sul modello manzoniano. La terza via, se così è possibile definire «il gioco indiretto dell’autore», determina quel «lirismo che nasce quando l’autore inserisce sé nell’universale umano»67.
Le scelte stilistiche di Gadda però non sono né rigide né monolitiche: di fatto, i giochi si intrecciano e l’utilizzo di uno stile piuttosto che di un altro dipende dai continui slittamenti dei punti di vista. Infatti ogni personaggio diviene nell’opera gaddiana portatore di prospettiva e sistema contraddistinto da precise coordinate socio-culturali68: ciascuno entra in scena descrivendo le vicende, gli altri personaggi e se stesso attraverso i propri schemi mentali, i propri usi linguistici, lo stile più congeniale. In breve: attraverso il proprio modo di stare al mondo.
Per quanto concerne l’evoluzione, specie linguistica, dell’espressionismo gaddiano, Contini69 individua principalmente tre fasi, ciascuna legata ad uno specifico soggiorno dello scrittore. La prima fase, quella milanese, contraddistinta da una ibridazione fra la riflessione linguistica e il macaronico dialettale, ha il suo punto di partenza nel «vernacolo dell’ambiente natio» fino ad arrivare all’utilizzo del linguaggio dei campestri «calibani gutturaloidi». Di questa fase sono emblemi l’Adalgisa e parte delle Novelle dal Ducato in fiamme. La seconda, coincidente con la sosta fiorentina, è caratterizzata un impasto linguistico intriso di linguistici umori antichi (quali Leonardo, Machiavelli, Cellini) ed è ben rappresentata dal Primo libro delle favole ed Eros e Priapo. In ultimo, durante il soggiorno romano, la fase della miscela romanesca-meridionale di cui è capolavoro Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.
La critica è concorde70 nel rintracciare nell’esperienza dei macaronici padani, Folengo primo fra tutti, nei dialettali Maggi e Porta, nella scapigliatura lombardo-piemontese, ma anche in Rabelais, Joyce71 e Quevedo72 le figure di riferimento sotto la cui egida è andato via via conformandosi l’espressionismo pluristilistico e plurilinguistico di Gadda. Dalla traduzione o dalla lettura appassionata e critica dei sopracitati scrittori, campioni di deformazione e sperimentazione linguistica, Carlo Emilio ha trovato degli antecedenti preziosi nella concretizzazione delle proprie riflessioni metaletterarie e metalinguistiche.
Non trascurabile, però, ed anzi cruciale, per quanto apparentemente distante dall’espressionismo, è la venerazione e l’amore nutrito nei confronti di Manzoni: è nello scrittore dei Promessi sposi che egli ha individuato il maestro del metodo di analisi che permette di comprendere le ragioni del male, l’intricato guazzabuglio del cuore umano. La lezione principale del Manzoni, indagatore dell’umana natura e immane creatore di immortali espressioni idiomatiche, è quella di fornire un metodo di indagine del reale dal sapore spiccatamente euristico73. Attraverso una doppia operazione di mondanizzazione della morale e di simultanea dilatazione sociopolitica del pessimismo manzoniano74, Gadda ha fatto suo il nesso stringente fra la storia e la letteratura da una parte e il profondo impulso etico dall’altro, attratto dal «rigore tormentoso», dall’«angoscia del guazzabuglio» e dalle «zone cupe del silenzio» che contraddistinguono in parte il primo romanzo storico italiano75. Come sottolinea Giuliani Gadda riscrive le grandi figure del panorama narrativo e poetico italiano (Manzoni e D’Annunzio) attraverso lo sperimentalismo linguistico di Folengo e Carlo Porta, con il fine di mettere a punto un’orchestrazione sinfonica maccheronica monumentale intessuta di melodie differenti76. Ma non è soltanto su un fronte linguistico che la tradizione, proprio in virtù dell’ottica storicistica, ha valore e centralità nell’espressionismo irripetibile:

la lingua rappresentativa, insormontabile per il naturalista furente e scespiriano che è Gadda, non risarcisce l’astrazione con l’iper-espressività. Quella scrittura che quanto più si gonfia, s’arrotola, s’inerpica su se stessa, e tanto più si scancella, liquida nel tragico-buffonesco una tradizione di cui è vittima consapevole. È la tradizione italo-manzoniana77.

Il rapporto complesso dell’ingegnere con la figura del Manzoni e con la tradizione, oltre che i presupposti metaletterari e metalinguistici, è il fulcro del suo espressionismo poiché davanti all’inattualità della forma romanzo tradizionale e all’inadeguatezza della lingua rappresentativa nasce una ricerca stilistica ed estetica che lo spinge nella direzione di uno stile espressionistico malinconico, satirico e maccheronico, barocco, pluristilistico, plurilinguistico e polifonico. E indubbiamente irripetibile. Come sottolinea Segre,

Gadda può ancora legarsi al grande romanzo ottocentesco narrando una totalità che s’inscrive contemporaneamente nel non ancora e nel mai più. L’equilibrio inverosimile di Gadda individuo storico tra un passato non venerabile e un futuro detestato, tra le occasioni perdute di un dover essere e un voler essere ferito, è rappresentato splendidamente dal suo espressionismo, che va dunque considerato irripetibile78.


  1. Cfr. C. Segre, Intrecci di voci, Torino, Einaudi, 1991, p. 44.
  2. «Barocco è il mondo e il G. ne ha percepito e ritratto la baroccagine» (C. E. Gadda, L’editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore, in Id., La cognizione del dolore, a cura di E. Manzotti, Torino, Einaudi, 1987, p. 759).
  3. G. Contini, Quarant’anni d’amicizia. Scritti su Carlo Emilio Gadda (1934-1988), Torino, Einaudi, 1989, p. 71.
  4. G. Patrizi, Gadda, Roma, Salerno Editrice, 2014, p. 181.
  5. Ivi, p. 176.
  6. È possibile trovare la definizione della parlata falsa in C. E. Gadda, Meditazione breve circa il dire e il fare, in Id., I viaggi, la morte, a cura di L. Orlando, C. Martignoni, D. Isella, Milano, Garzanti, 2008, pp. 445-446.
  7. Ivi, p. 94.
  8. Si veda Id., Come lavoro, in I viaggi, la morte, cit., p. 432.
  9. G. Contini, Quarant’anni d’amicizia. Scritti su Carlo Emilio Gadda (1934-1988), cit., p. 62.
  10. Ibidem.
  11. Ivi, p. 63.
  12. C. E. Gadda, Come lavoro, cit., p. 437. Nello specifico: «Le frasi nostre, le nostre parole, sono dei momenti-pause (dei pianerottoli di sosta) d’una fluenza (o d’una ascensione) conoscitiva-espressiva. Durano quel che durano: un decennio, un cinquantennio, due secoli, otto secoli. Mutano di significato col costume, col variare delle lune, con il lento o con il rapido consumarsi del tempo: e mutano talora di valore, di peso. La loro storia, che è la pazza istoria degli uomini, ci illustra i significati di ognuna: quattro, o dodici, o ventitré: le sfumature, le minime variazioni di valore: in altri termini il loro differenziale semàntico».
  13. Ibidem.
  14. Ivi, p. 436.
  15. G. Contini, Quarant’anni d’amicizia. Scritti su Carlo Emilio Gadda (1934-1988), cit., p. 71.
  16. C. E. Gadda, Un’opinione sul neorealismo, in I viaggi, la morte, cit., p. 629.
  17. Scrive, infatti, Gadda a tal proposito, descrivendo tale posizione: «una tensione tragica, una consecuzione operante, un mistero, forse le ragioni o le irragioni del fatto». Ivi, p. 630.
  18. A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, Milano, Adelphi, 1977, p. 273.
  19. Per esempio la descrizione della casa dei De’ Marpioni in C. E. Gadda, L’Adalgisa. Disegni milanesi, Milano, Adelphi, 2012, pp. 87-89.
  20. P. Italia, Glossario di Carlo Emilio Gadda ‘milanese’. Da «La meccanica» a «L’Adalgisa», Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1998, p. CVI.
  21. Ivi, pp. CVII-CIIX. Anche Donnarumma, nella sua lettura modernista dell’autore milanese, si concentra su tale aspetto. Cfr. R. Donnaruma, Gadda modernista, Pisa, ETS, pp. 97-99.
  22. Vedi E. Raimondi, Barocco moderno: Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, Milano, Mondadori, 2003, p. 145.
  23. Cfr. C. E. Gadda, Apologia manzoniana, in Id., Divagazioni e garbuglio, Milano, Adelphi, 2019, pp. 15-24.
  24. G. Patrizi, Gadda, cit., p. 75.
  25. E. Raimondi, Barocco moderno: Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, cit., p. 146. Sulla mescolanza fra elementi tradizionali (sia essa la vena barocca o la lezione manzoniana) e le istanze più moderne (dal retrogusto futurista) si veda anche R. Donnarumma, Gadda modernista, cit., pp. 9-11.
  26. C. E. Gadda, Come lavoro, cit., p. 436.
  27. Lo scrittore ha individuato anche nella modalità espressiva della maccheronea i germi del barocco. Si veda in merito C. E. Gadda, Fatto personale…o quasi, in I viaggi, la morte, cit., p. 495: «la bozza macaronica, dunque, la tumescenza barocca. La gromma fescennina».
  28. G. Patrizi, Gadda, cit., p. 75.
  29. La definizione è ivi, p. 90. Egli, inoltre, ha sottolineato affinità e divergenze fra lo storicismo che percorre le riflessioni dello scrittore milanese e quello che permea il pensiero crociano italiano. Si veda in merito ivi, pp. 90-92.
  30. Non solo Patrizi, ma anche Segre sottolinea la prossimità fra le riflessioni di Gadda e la stilistica di Spitzer, Terracini, Devoto e Contini non dimenticando la componente psicanalitica dello scrittore milanese. Cfr. C. Segre, Intrecci di voci, cit., p. 28.
  31. G. Patrizi, Gadda, cit., p. 104.
  32. L’espressione, nello specifico, è: «momento di raccolta e di stratificazione dei ricordi e della consapevolezza storica e antropologica». Ivi, p. 105.
  33. Dietro queste riflessioni è possibile notare, in controluce, le letture darwiniane di Gadda. Il concetto di ciclo biologico ed evoluzione della specie teso al raggiungimento dell’optimum di una data specie viene dallo scrittore applicato anche alla storia culturale e letteraria. Si veda in merito il passo dell’Adalgisa in cui viene descritta l’evoluzione dei girini presenti nella pozzanghera in cui si è gettato il povero Carlo in C. E. Gadda, L’Adalgisa. Disegni milanesi, cit., p. 275.
  34. C. E. Gadda, Come lavoro, cit., p. 436.
  35. Cfr. A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, pp. 276-277.
  36. C. E. Gadda, Come lavoro, cit., p. 438.
  37. G. Patrizi, Gadda, cit., p. 178.
  38. Ivi, p. 92.
  39. È bene ricordare quanto Gadda stesso, in Fatto personale…o quasi, cit., p. 498, affermi riflettendo sul suo stile: «Tenui sfumature, sottili vincoli o precipitati trapassi, dalla satira alla maccheronea. Dalla malinconia alla maccheronea». Inoltre cfr. A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, cit., pp. 273-274.
  40. Ivi, p. 273.
  41. Peculiarità del sentimentalismo ipocrita e di facciata è, secondo l’autore, «la luce falsa della commozione d’obbligo» che genera una commozione posticcia e artefatta. In C. E. Gadda, Come lavoro, cit., p. 434.
  42. R. Cesarani, Malinconia, in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», <http://www.gadda.ed.ac.uk/pages/resources/walks/pge/malinconcesera.php>, consultato il 14 novembre 2023.
  43. A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, cit., p. 277.
  44. L’espressione «ogni oltraggio è morte» è presente in C. E. Gadda, La cognizione del dolore, cit., p. 79. Sulla centralità del lessema oltraggio indugia Manzotti ponendo in relazione la tensione autodistruttiva di Gonzalo e il processo di disgregazione della materia verso l’informe e l’a-logico. Cfr. ivi, pp. 79-80. Si veda anche A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, cit., p. 277.
  45. Ibidem.
  46. Giuliani, nello specifico, definisce lo stile della satira come «la fiducia cieca dell’io rappresentatore nella propria fissità centrica, è pretesa di chi giudica senza giudicarsi» Ivi, p. 273.
  47. C. E. Gadda, Come lavoro, cit., p. 435.
  48. C. E. Gadda, Romanzi e racconti I, a cura di R. Rodondi, G. Lucchini, E. Manzotti, Milano, Garzanti, 1988, p. 119.
  49. C. E. Gadda, Come lavoro, cit., p. 437.
  50. R. Donnarumma, Satira, in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», <https://www.gadda.ed.ac.uk/pages/resources/walks/pge/satiradonnaru.php>, consultato il 14 novembre 2023.
  51. Ibidem.
  52. Preziose sono le riflessioni di Patrizi in merito alla «disintegrazione dell’io» nell’opera gaddiana. Cfr. G. Patrizi, Gadda, cit., p. 87. Ma anche ivi, pp. 105, 107, 175, 183. Cfr. Anche R. Donnarumma, Satira, cit., <https://www.gadda.ed.ac.uk/pages/resources/walks/pge/satiradonnaru.php>.
  53. A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, cit., p. 274.
  54. Della deformazione insita nella maccheronea lo scrittore milanese è piuttosto consapevole. Si veda C. E. Gadda, Fatto personale…o quasi, cit., p. 495: «quel tanto di macaronico cioè di deformante il simbolo idiomatico, o deforme con esso, di che la mia scrittura s’intride: e con lei la mia anima». Inoltre, cfr. I. Paccagnella, Latino macaronico, in «Enciclopedia dell’italiano», <http://www.treccani.it/enciclopedia/latino-macaronico_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/>, consultato il 14 novembre 2023.
  55. Ivi, p. 498.
  56. Per quanto concerne «morsi della malinconia» cfr. A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, cit., p. 273.
  57. Circa l’autoironia lo stesso Gadda ne parla in C. E. Gadda, Come lavoro, cit., p. 438.
  58. Id., Fatto personale…o quasi, cit., p. 496.
  59. Sul tema della «disgregazione dell’io» si veda G. Patrizi, Gadda, cit., pp. 105, 107, 175, 183.
  60. Ivi, p. 87.
  61. Cfr. C. E. Gadda, Fatto personale…o quasi, cit., p. 496: «Le più volte è gioco; gioco definitore o disgiuntore: è burla utile, qualche volta: ma anche inutile, sciocca, tediosa».
  62. A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, cit., p. 273.
  63. Cfr. C. Segre, Intrecci di voci, cit., p. 28.
  64. Si veda C. E. Gadda, Racconto italiano di ignoto del Novecento. Cahiér d’études, in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», <https://www.gadda.ed.ac.uk/pages/resources/fiction/riincaos.php>, consultato il 14 novembre 2023.
  65. In merito al «gioco ab interiore» e al «gioco ab exteriore» cfr. G. Patrizi, Gadda, cit., pp. 81-82 ma anche R. Rinaldi, Gadda, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 17. Si è espresso in merito anche C. Segre, Intrecci di voci, cit., p. 29. Interessante, inoltre, è l’intervento di G. Baldi, Gadda narratologo: la teoria del punto di vista nel Racconto italiano, in «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», <https://www.gadda.ed.ac.uk/pages/journal/supp9decennial/articles/baldiriin09.php>, consultato il 14 novembre 2023.
  66. Cfr. C. Segre, Intrecci di voci, cit., p. 29.
  67. Ibidem.
  68. Ivi, p. 34.
  69. Cfr. G. Contini, Quarant’anni d’amicizia. Scritti su Carlo Emilio Gadda (1934-1988), cit., p. 62.
  70. Si veda ivi, p. 61, C. Segre, Intrecci di voci, cit., p. 27 e G. Patrizi, Gadda, cit., p. 229.
  71. Per quanto concerne il rapporto fra Gadda e Joyce si veda G. Frasca, Note e approfondimenti, in Id., Un quanto di erotia. Gadda con Freud e Schrödinger, Napoli, Edizioni d’if, 2011, pp. 191-193, ma anche L. Di Martino, Gadda-Joyce, «The Edinburgh Journal of Gadda Studies», <https://www.gadda.ed.ac.uk/pages/resources/walks/pge/joycedimarti.php>, consultato il 14 novembre 2023.
  72. Circa la traduzione espressionistica dell’opera di Quevedo da parte dell’ingegnere si veda G. Contini, Gadda traduttore espressionista, in Id., Quarant’anni d’amicizia. Scritti su Carlo Emilio Gadda (1934-1988), cit., pp. 55-59.
  73. G. Patrizi, Gadda, cit., p. 72.
  74. Si veda: «Se per Manzoni il garbuglio del cuore umano va ricondotto ai disegni misteriosi della provvidenza, per l’agnostico Gadda, occorre collocarlo, il garbuglio, in una prospettiva tendenzialmente razionale, spiegarlo – o anche non spiegarlo, ma collocarlo – all’interno di una esperienza della società e della storia, esperienza riconoscibile e collettiva» (ivi, pp. 80-81).
  75. Cfr. ivi, pp. 72-74.
  76. A. Giuliani, Le droghe di Marsiglia, cit., p. 274.
  77. Ivi, p. 277.
  78. C. Segre, Intrecci di voci, cit., p. 44.

According to Cesare Segre and Gianfranco Contini, Carlo Emilio Gadda’s novels can be included in the category of expressionism. To measure the accuracy of this position, it was necessary to measure the metalinguistic aspects of Gadda’s writing, and, with the analysis of the essays from I viaggi, la morte (1950), to recognize the background of the «espressionismo irripetibile» in the triangulation between ethics, aesthetics and epistemology. Furthermore, with the support of Alfredo Giuliani’s studies, it is possible to identify the three most important components of Gadda’s pluristilism: satire, melancholy, and macaronea. In conclusion, Carlo Emilio Gadda’s expressionism is read as the author’s reaction to the crisis of the nineteenth-century novel.