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Dall’Esorcista a Stranger Things: rielaborazioni dell’orrore nel contemporaneo

DOI

Il discorso sui generi cinematografici, da sempre molto prolifico, ha conosciuto negli ultimi anni una rinnovata vitalità e un cospicuo interesse. La questione, naturalmente, è intessuta di svariati nodi problematici, come quello relativo all’inevitabile commistione di stilemi provenienti da vari generi. Scopo di questa trattazione sarà, in particolare, quello di analizzare, attraverso un caso di studio mirato, le modalità con cui i prodotti audiovisivi contemporanei rielaborano e ricodificano, sia sul piano della grammatica filmica che su quello contenutistico, una delle tessere lessicali cardine dell’horror, tra i generi più fiorenti degli ultimi anni, ovvero il rapporto con il materno.
L’opera selezionata per l’indagine è Stranger Things, narrazione seriale frutto della mente dei fratelli Matt e Ross Duffer. La serie ha ottenuto fin dai suoi albori un notevole successo di pubblico e ciò grazie alla sapiente miscela di vari elementi tra cui l’attenta ricostruzione dell’atmosfera tipica degli horror anni ’80, l’arguta ripresa dei loro stilemi caratteristici, ma soprattutto i numerosi rimandi a veri e propri cult del genere. Questa qualità specifica di Stranger Things, in verità, ricade nella più generale tendenza della serialità horror a giocare con gli adattamenti. Belau e Jackson l’hanno ben descritta nella loro Introduzione al testo da loro curato, Horror Television in the Age of Consumption. Bingin on fear: «The seriality of television horror is also intimately linked with the way the shows adapt, revise, and remake horror narratives that both precede them and are being created simultaneously»1. Stranger Things in particolare:

references both earlier horror narratives, particularly those of Stephen King and Steven Spielberg, and the economic and political climate of the 1980s, which bears a strong resemblance to what we are facing in twenty-first-century America. In this way, our relationship to history is, in a sense, also serially remade2.

Tutto ciò fa di Stranger Things il prodotto audiovisivo ideale da cui prendere le mosse per portare avanti il nostro discorso, dato il suo costante dialogo con alcuni capolavori dell’horror. A tal proposito si intende isolare, nello stratificato tessuto di rimandi intertestuali che avvolge la serie, una specifica sequenza dell’opera, per comprenderne i legami seminali con l’ipotesto di riferimento, l’Esorcista di William Friedkin (1973), e le modalità con cui i fratelli Duffer hanno assorbito e riscritto la grammatica visiva e semantica di questo cult del genere.
Una premessa è essenziale al fine di rendere fruibile il nostro discorso e riguarda la peculiare natura della dimensione alternativa con cui i protagonisti della serie interagiscono e che soprannominano Sotto-Sopra. La discussione sull’argomento potrebbe essere ulteriormente approfondita, ma in questa sede ci si limiterà a sottolineare che il Sotto-Sopra può essere definito perturbante nel senso freudiano del termine in quanto perfetta replica del mondo reale che, però, al contempo, presenta anche connotati ambigui e sconosciuti. Perturbante, per Freud, è anche il corpo della madre e Barbara Creed estende il concetto anche all’utero materno3. Questa associazione suggerisce, in una sorta di effetto domino, un’ulteriore ibridazione: quella tra il Sotto-Sopra e la morfologia uterina. Si potrebbero avanzare vari argomenti a sostegno di questa ipotesi, tra i quali, ad esempio, la sequenza in cui uno dei protagonisti, Will Byers, che è stato rapito e portato nel Sotto-Sopra, riesce ad aprirsi una sorta di varco nel muro di casa: quando Joyce, la madre, strappa la carta da parati, sotto di essa trova una sottile membrana pulsante, la quale appare essere un isomorfo della sacca placentare. La connotazione uterina del Sotto-Sopra, dunque, pare manifestarsi sia ad un livello meramente strutturale e visivo, sia, più in profondità, su un piano simbolico.

The Duffer Brothers, Chapter 4: The Body, ep. 4 st. 1 di Stranger Things, Netflix, 2016.

The Duffer Brothers, Chapter 4: The Body, ep. 4 st. 1 di Stranger Things, Netflix, 2016.

I motivi per cui proprio Will Byers viene designato come vittima prediletta da incapsulare nella dimensione intra-uterina del Sotto-Sopra saranno analizzati di seguito. Una necessaria osservazione preliminare riguarda la storia familiare di Will, che mostra segni di disfunzionalità: i suoi genitori sono separati e il ragazzino vive con la madre e il fratello maggiore ad Hawkins, mentre il padre abita in città. La madre e il padre di Will sono caratterialmente incompatibili, ragion per cui hanno deciso di troncare il loro matrimonio. Tuttavia i litigi tra i due continuano a causa delle assenze ripetute del padre, che così facendo non instaura un rapporto con il figlio: questo causa una mancata assimilazione, da parte di Will, dell’autorità simbolica paterna. L’assenza del padre, e del sistema di regole che egli porta con sé, induce Will a protendersi verso la madre, con cui vive una profonda intimità, un vero e proprio attaccamento simbiotico. Le difficoltà economiche, però, costringono anche Joyce, la madre di Will, a prolungate assenze dovute al lavoro e alle esigenze economiche dettate dalla vita familiare. Questo fa sì che Will si trovi a vivere una rottura forzata, che produce in lui una ferita. Questa frattura interiore è ciò che rende Will la preda perfetta per il Sotto-Sopra: il suo desiderio di non perdere questa simbiosi e di rimanere fuso con la madre viene captato dal Demogorgone, il mostro che abita quella perturbante dimensione uterina. Quest’ultimo, in un certo senso, soddisfa il suo desiderio di ritornare all’utero materno. Quando Joyce e Hopper, lo sceriffo, penetrano nel Sotto-Sopra, in effetti, ritrovano Will in una condizione emblematica: collegato, tramite una sorta di cordone ombelicale, al malvagio spazio-utero in cui è stato incorporato. Ciò è suggerito anche da Kocabal, che afferma: «this […] scene fantasy of Will also shows that his unwillingness about the separation from his mother which troubles him»4.

The Duffer Brothers, Chapter Eight: The Upside-Down, ep. 8 st. 1 di Stranger Things, Netflix, 2016.

Kocabal descrive l’atteggiamento che contraddistingue Will prendendo in prestito da Greven l’associazione tra film horror e quella condizione che la psicanalisi definisce narcisismo primario. Queste sono le parole usate da Kocabal:

This situation of Will might be what David Greven (2011) describes as primary narcissism (141). Greven says the horror film «expresses a powerful desire to return to the mother and to origins, to a state of total oneness with the world (the mother’s body indistinguishable from the child’s body) that psychoanalytic theory calls primary narcissism». (141). Greven (2011) explains the situation of primary narcissism through the myth of Demeter and Persephone. […] And Greven says there is a male version of the “Persephone complex” (142) in horror films. According to that, “the male still desires the mother and wants to stay with her, which has implications for the male’s sexuality, since psychoanalysis, as does the horror film, types these males as queer” (Greven, 2011, 142). I believe, Stranger Things, we can see the Persephone complex that Greven talks about through Will and Joyce5.

In definitiva, il narcisismo primario non è altro che il desiderio di fondersi con la madre. A quest’ultimo contribuisce ampiamente anche l’atteggiamento della madre stessa. Joyce, infatti, pur dovendo creare, per necessità, una distanza fisica quotidiana rispetto al figlio, contribuisce a rinsaldare il rapporto diadico e ad alimentare il desiderio uterino di Will, perché lo subissa di attenzioni e cerca sempre di proteggere la sua sensibilità e le sue debolezze. In questo modo assume i connotati della madre castrante, colei che «threatens to incorporate the child both psychically and physically»6, neutralizzando di fatto tutti i suoi desideri e sforzi di separarsi dalla madre.
Joyce, così facendo, annulla l’identità del figlio e rende difficoltoso il suo processo di individuazione, perché, come spiega sempre Creed:

By refusing to relinquish her hold on her child, she prevents it from taking up its proper place in relation to the symbolic. Partly consumed by the desire to remain locked in a blissful relationship with the mother and partly terrified of separation, the child finds it easy to succumb to the comforting pleasure of the dyadic relationship7.

La madre castrante, dunque, avvolge il bambino nelle spire del suo affettuoso abbraccio mortifero. Un abbraccio che genera la morte di ogni tentativo di indipendenza messo in atto dal figlio e che alimenta ancor di più il suo desiderio diadico. Tutto ciò rende Will vulnerabile ed esposto ai pericoli del Sotto-sopra. Il fatto che questa dimensione abbia dei connotati uterini influenza il rapporto che Will intreccia con essa, il quale assume sfumature altrettanto ambigue: pur lottando per liberarsi e per fuggirne, Will vi rimane inevitabilmente ancorato, anche quando la abbandona fisicamente. Il suo rapporto con questa dimensione uterina è una replica, in scala ampliata, del suo rapporto con la madre: ogni suo desiderio o tentativo di fuga da quel luogo viene soffocato. Emblematico è il fatto che Will non ne esca autonomamente, ma che abbia, ancora una volta, bisogno di sua madre per farlo. Nella puntata finale della prima stagione Joyce strappa il cordone ombelicale che lo annoda a quell’utero surrogato e lo riporta nella dimensione reale, quella in cui Will non è dipendente dal nutrimento malefico di quel luogo, ma da quello asfissiante delle attenzioni di sua madre. In un certo senso è come se Joyce replicasse il parto, impendendo a Will un’auto-rinascita.
Le attenzioni di Joyce proseguono anche nelle stagioni successive, impedendo all’identità di Will di emergere ed esponendolo ai nuovi pericoli che derivano dal Sotto-sopra. Will, infatti, continua ad essere visceralmente legato alla dimensione-utero e rimane così la preda prediletta delle entità mostruose che la abitano. Queste ultime sembrano ora dipendere da un terrificante mostro-ombra, che i ragazzi soprannominano Mindflayer, un’entità malevola dalle sembianze di un aracnide. Caratteristica peculiare del mostro è quella di controllare le menti altrui allo scopo di servirsene per giungere al dominio della dimensione reale. Nel corso della seconda stagione il mostro conserva una sorta di aura fantasmatica e si manifesta, attraverso delle visioni, solo a Will, il quale, inizialmente, essendo profondamente spaventato, scappa alla sua vista. Il ragazzino mostra agli adulti e ai suoi amici quale sia la forma del Mindflayer usando il suo mezzo di comunicazione prediletto: il disegno. Il mostro, però, continua ad essere invisibile agli occhi degli abitanti di Hawkins e rimane relegato nel Sotto-Sopra, da dove tesse e intreccia i fili del suo terribile piano di dominio. Durante una normale mattinata scolastica Will ha una nuova visione di ciò che sta accadendo nel Sotto-Sopra ma, forte del consiglio datogli da Bob, il nuovo compagno di sua madre, decide di affrontare il mostro guardandolo negli occhi: questo gesto è per lui fatale, il Mindflayer prende possesso del suo corpo e ottiene così uno strumento concreto attraverso cui agire nel mondo reale. Da questo momento in poi, e fino alla fine della stagione, Will sarà controllato dal mostro del Sotto-sopra, riannodando, di fatto, il suo legame con la dimensione-utero. Questa nuova vicissitudine, che vede ancora una volta Will come fulcro attorno a cui ruotano le entità del Sotto-Sopra e come mezzo di cui la dimensione-utero si serve per i propri scopi, sembra riconfermare la fusione diadica di Will con la madre, con la quale ha un legame di dipendenza. Will non si separa dal Sotto-Sopra e, anzi, viene da esso posseduto e dominato perché fatica a staccarsi dalla madre.
Questa idea sembrerebbe essere confortata anche da quello che, come hanno confermato gli stessi registi di Stranger Things8, è l’ipotesto di riferimento per questa particolare linea narrativa: L’Esorcista, film di William Friedkin del 1973. Protagonista della pellicola di Friedkin è Regan, una dodicenne che vive con la madre Chris, attrice di successo. Le due risiedono stabilmente in California, ma, essendo Chris impegnata con le riprese di un film, alloggiano momentaneamente a Washington, che diventa teatro delle terribili vicende che coinvolgono la ragazzina. Il padre di Regan, da cui la madre si è separata, vive a Roma, lontano dalla figlia, che, pur non dimostrandolo, patisce questa assenza. La madre, come conseguenza di ciò, ha instaurato un rapporto simbiotico con Regan, negandole in questo modo l’ingresso nel mondo del simbolico. Ciò è stato argutamente notato da Sarah Anderson, che scrive: «Chris and Regan’s relationship is loving, it exists as such at the expense of the Law of the Father»9. Regan, dunque, è stata privata della legge paterna. Proseguendo nella sua analisi Sarah Arnold nota ancora:

In films such as The Haunting, Psycho, Carrie and, to a degree, The Exorcist, the mother’s problematic influence is coupled with, and perhaps enabled by, the lack of a paternal figure. The films play upon the fear […] of never achieving a selfhood independent from the mother. Indeed, regardless of her absence or diminished status in the varying films, the mother has a specific role: that of a pathological effect in the child. This ‘maternal effect’, often the mother’s denial of the child’s maturity, has as its consequence the horrific event10.

Il legame viscerale e simbiotico che compatta le due in una possente monade rappresenta, quindi, un ostacolo per la maturazione di Regan, si configura come ciò che Arnold definisce «a threat to individuation»11, una minaccia alla strutturazione dell’identità individuale della ragazza. Regan è letteralmente fagocitata dal rapporto con la madre e, dato che la legge paterna le è stata resa inaccessibile, continua a desiderare questa simbiosi. Conseguenza di una tale fusione tra l’identità filiale e l’identità materna è la genesi dell’orrido, di ciò che provoca la spaventosa possessione di Regan.
Sull’argomento si è soffermata anche Barbara Creed, i cui studi seminali hanno gettato le basi per le successive interpretazioni dell’Esorcista che proseguono lungo la stessa direttrice. Innanzitutto Creed traccia alcune importanti osservazioni preliminari, al termine delle quali giunge alla conclusione che il mostruoso, l’orrorifico, nascono dal fallimento dell’ordine simbolico12; anche la possessione demoniaca secondo Creed condivide la stessa genesi:

The possessed female subject is one who refuses to take up her proper place in the symbolic order. Her protest is represented as a return to the pre-Oedipal, to the period of the semiotic chora. The normal state of affairs, however, is reversed; the dyadic relationship is distinguished not by the marking out of the child’s ‘clean and proper body’ but by a return of the unclean, untrained, unsymbolized body. Abjection is constructed as a rebellion of filthy, lustful, carnal, female flesh13.

La possessione demoniaca, per Creed, assume i contorni di un ritorno al periodo semiotico ossia, in altri termini, di un ritorno alla simbiosi con il materno. Si tratta di un tentativo di essere nuovamente in-corporati, nel senso letterale di ri-assorbiti e fagocitati, nella relazione diadica fusionale con la propria origine. E, infatti, più avanti Creed, proseguendo nella sua analisi del legame simbiotico tra Regan e Chris, scrive: «One reason for Regan’s possession/rebellion appears to be her desire to remain locked in a close dyadic relationship with the mother»14. Regan, in sostanza, viene posseduta perché desidera rimanere ancorata al materno, desidera conservare il nodo, il cordone ombelicale che la tiene perpetuamente unita al fulcro primigenio: la madre.
Friedkin, sul piano narrativo, giustifica la possessione di Regan con un espediente: la ragazzina, annoiata dalle lunghe ore di solitudine, ha trovato una tavoletta Ouija e giocandoci ha evocato un demone, Pazuzu. In realtà, anche questa scelta narrativa cela, in qualche modo, l’idea della dipendenza dalla figura materna: se Regan avesse avuto la madre vicino, probabilmente non si sarebbe trastullata con quel pericoloso divertimento. La ragazza, infatti, soffre per le assenze prolungate della madre dovute al lavoro e, per questo, cerca nuovi svaghi per ingannare il tempo. Questa soluzione diegetica rende evidente il fatto che sia sul piano concettuale che sul piano narrativo sia sempre, in ogni caso, il rapporto simbiotico con la madre a determinare la possessione demoniaca. Il fatto che Regan desideri rimanere fusa con la madre risulta evidente anche dalla gelosia che la ragazza manifesta nei confronti di quello che crede essere il nuovo compagno della madre. Gelosia malcelata all’inizio del film, quando, da ragazzina ancora equilibrata quale è, cerca, pur malvolentieri, di coinvolgerlo nelle dinamiche familiari; e che, invece, esplode violentemente nella sezione centrale dell’opera, quella incentrata sulla possessione di Regan: in questa occasione Regan arriva addirittura ad uccidere Burke. Come scrive ancora Creed:

Regan expresses jealous feelings towards Burke, whom she thinks her mother wants to marry; later, when possessed by the devil, Regan murders Burke. She hurls him through the upstairs window and down the long flight of steps. He is found at the bottom with his head turned backwards on his neck – he has been literally forced to ‘look the other way’15.

Per Creed questa non è altro che un’ulteriore conferma della sua ipotesi: la possessione di Regan è espressione del suo desiderio di rimanere fusa con la madre. Questa interpretazione che Creed dà dei fenomeni paranormali che interessano la piccola Regan potrebbe essere traslata anche sulle vicende che riguardano Will in Stranger Things, ispirate proprio a quelle di Regan. In questo modo si confermerebbe e conforterebbe l’ipotesi avanzata sopra: ossia che Will, esattamente come Regan, viene posseduto perché desidera mantenere intatto lo stretto contatto primigenio con il materno.
È interessante, a questo punto, approfondire l’indagine dei legami visivi e concettuali tra L’Esorcista e Stranger Things, perché ciò consente di comprendere a pieno il processo di rielaborazione tematica, concettuale e visiva degli stilemi classici dell’horror attuato dai fratelli Duffer. Innanzitutto, numerose sono le analogie tra Will e Regan: quest’ultima, come Will, è nel pieno dell’età puberale, infatti ha 12 anni, mentre Will, quando viene posseduto, ne ha 13; un’altra analogia tra i due riguarda la situazione familiare: anche Regan vive in una famiglia disfunzionale. Il padre e la madre sono separati, proprio come i genitori di Will, e Regan, esattamente come Will, vive con la madre mentre il padre non solo è fisicamente distante da lei, dal momento che abita a Roma, ma è anche una figura assente, proprio come il papà di Will. Ancora, sia i genitori di Will che quelli di Regan litigano furiosamente al telefono perché il padre non è presente nella vita del rispettivo figlio. In queste occasioni tanto Chris quanto Joyce esprimono ostilità nei confronti della figura paterna, sulla quale riversano insulti e sentimenti rabbiosi. Sull’importanza di questo atteggiamento della madre, che non fa altro che soffocare ulteriormente tutti i tentativi di affermazione della legge paterna, si è soffermata Sarah Arnold: «[Chris] show[s] an open disregard for the Law of the Father, the paternal signifier. […] She speaks dismissively and aggressively about Regan’s father»16. Questo disprezzo materno nei confronti dell’autorità paterna costituisce un terreno fertile per i semi da cui germoglia il rapporto simbiotico con il materno e, di conseguenza, per l’orrido, che, incontrando condizioni così favorevoli, dà i suoi frutti in maniera più rapida e florida. Ciò viene messo in evidenza anche da Barbara Creed, che scrive: «What better ground for the forces of evil to take root than the household of a family in which the father is absent and where the mother continually utters profanities, particularly in relation to her husband?»17. Alcune analogie sono ravvisabili anche per quanto riguarda le due figure materne: sia Chris che Joyce sono un vero e proprio cardine per le loro rispettive famiglie, il perno su cui poggia l’intera architettura familiare e il punto di riferimento per ogni momento di smarrimento dei loro figli; entrambe, però, essendo anche l’unica fonte di sussistenza, sono costrette ad assenze prolungate da casa ma, nonostante ciò, hanno instaurato un rapporto simbiotico con la propria prole. Tutto ciò porta a pensare che esista, già a questo livello puramente strutturale, un legame sotterraneo tra i due film, che diventa esplicito nel momento in cui entrambi i ragazzini vengono posseduti.
Le somiglianze, infatti, diventano manifeste nel momento della possessione: in entrambi i casi i ragazzi compiono gesti su cui non hanno alcun controllo e che, anzi, sono contrari a quella che sarebbe la loro volontà, se solo potessero esprimerla compiutamente; si pensi a Regan che, durante un ricevimento organizzato dalla madre nel salotto di casa sua, scende in camicia da notte e, mentre dice rivolta ad un astronauta che «morirà lassù»18, urina sul tappeto; oppure si pensi a Will che, indotto dal Mindflayer, spinge un gruppo di soldati, che lavorano al servizio del laboratorio di Hawkins, in una trappola, ingannandoli e facendo loro credere che si tratti di un luogo che il mostro vorrebbe tenere loro nascosto. Ancora, sia al demone che possiede Will in Stranger Things che a Pazuzu, che possiede Regan nell’Esorcista, piace particolarmente il freddo. Questo aspetto in L’Esorcista è solo suggerito in alcune sequenze, come quella in cui padre Merrin e padre Karran entrano nella camera di Regan: i due ecclesiastici percepiscono un brivido gelido e prendono subito a tremare; inoltre, quando respirano davanti alle loro bocche si formano piccole nuvolette di condensa. In Stranger Things, invece, è lo stesso mostro-ombra ad esprimere, per bocca di Will, il suo amore per il freddo. Joyce inizialmente lo accontenta, tenendo costantemente le finestre spalancate, ma così facendo continua a favorire la permanenza del demone nel corpo di Will. Ciò potrebbe apparire come una sorta di mise en abyme, di rappresentazione in scala ridotta e metaforizzazione, del meccanismo attraverso cui la madre continua a tenere ancorato a sé il figlio. Soddisfacendo la richiesta del demone, Joyce perpetua la permanenza di esso nel corpo di Will, ma, come si è detto, il demone che possiede Will, come quello che possiede Regan, non è altro che un’icastica figurazione del desiderio di Will di restare unito alla madre. Di conseguenza, quello che Joyce sta facendo è continuare ad alimentare il suo legame diadico e simbiotico con il figlio.
Ancora, sia Will che Regan, mentre sono posseduti, uccidono il compagno della propria madre allo scopo di eliminare ogni ostacolo residuo alla loro completa fusione con la propria origine. Dell’assassinio di Burke si è già detto sopra; per quanto riguarda Bob, il compagno di Joyce, egli viene ucciso da uno dei mostri soprannominati dai ragazzi demo-cani. Questi ultimi sono semplicemente una porzione di quella che gli scienziati del laboratorio definiscono una mente a sciame, ossia una mente collettiva, unica e coesa, governata dal Mindflayer. Durante la sua possessione anche Will viene assorbito nella mente a sciame e diventa un suo ingranaggio, una sorta di corrispettivo umano di una molecola chimica che, insieme agli altri mostri-molecola, va a dare forma ad un enorme agglomerato organico con funzione di cervello. Will, naturalmente, in questo modo assorbe anche i desideri e le volontà della mente del mostro-ombra e, viceversa, il mostro-ombra assimila i suoi sentimenti più profondi. Va da sé che, pur non compiendo fisicamente l’omicidio, è pur sempre Will, prolungamento ed estensione mentale del Mindflayer, a volerlo e, come tramite del Mindflayer, ad imporlo. Gli omicidi di Burke e Bob, dunque, rappresentano un’ulteriore conferma della tesi sopra avanzata: la possessione demoniaca si verifica per rispondere all’esigenza di rimanere ancorati alla madre. Tuttavia, anche nei confronti di quest’ultima i due ragazzini convogliano la propria violenza, finendo per ferirla o, addirittura, per attentare alla sua stessa vita. In questo modo essi sembrano assumere un atteggiamento ambivalente nei confronti della figura con cui cercano di riunificarsi. Creed analizza in questi termini la scena dell’Esorcista in cui l’esplosione violenta di Regan travolge la madre:

Regan’s possession now takes a new form as she tries to force a sexual encounter with her mother. Chris hears noises coming from her daughter’s room; she rushes inside to see objects and bedroom furniture whizzing through the air. Regan, her face covered in blood, is stabbing her genitals with a cross, screaming in a deep voice, ‘Let Jesus fuck you!’ Chris tries to hold her. Regan grabs her mother and pushes her face into her bloody genitals. It is not clear if the blood is menstrual or caused by self-mutilation although we do know that Regan has just entered puberty. ‘Lick me! Lick me!’ she orders. She then punches her mother in the face. Chris tries to scramble from the room but Regan uses telekinetic powers to move pieces of furniture to bar her mother’s way. […] Regan’s transformation from angel into devil is clearly a sexual one; it suggests that the family home, bastion of all the right virtues and laudable moral values, is built on a foundation of repressed sexual desires including those which flow between mother and daughter. […]. In The Exorcist the sexual dimension of the mother-daughter relationship is made more explicit. Desire, disguised as possession, […] is spoken out loud in the daughter’s bedroom. […]. The daughter’s desire to remain always close to her mother, perhaps to become her mother’s lover, is central to our understanding of her possession. Regan is ‘possessed’ with an incestuous longing19.

L’atteggiamento aggressivamente sessuale di Regan verso la madre, in sostanza, rientra nella più generale casistica di quei comportamenti che ella mette in atto per poter soddisfare il suo desiderio di re-integrazione, anche violenta, nella corporeità materna. Anche Will, durante la sua possessione, compie un gesto violento nei confronti della madre: mentre Joyce lo tiene chiuso tra le quattro mura di una stanza, resa volutamente torrida allo scopo di scacciare il demone dal suo corpo, Will le stringe una mano attorno alla gola fin quasi a soffocarla. Spingendosi forse un po’ oltre sul piano delle corrispondenze tra i due film, si potrebbe ipotizzare che anche il gesto di Will, in un certo senso, rientri nella casistica di quegli atteggiamenti assunti per poter perpetuare la fusione con il materno: la madre, tentando di scacciare il demone, ossia la figurazione del desiderio di Will di restare con lei compenetrato, mette in pericolo la diade madre-figlio e tenta di operare una sorta di chirurgica recisione tra il proprio sé e il sé del figlio. In entrambi i casi, però, la possessione viene revocata e i ragazzi, relegati momentaneamente nelle viscere del proprio corpo, tornano nuovamente a prendere pieno controllo di sé stessi.
Prima di soffermarsi sulle modalità in cui avviene l’esorcismo dell’uno e dell’altra è opportuno sottolineare che la prigionia delle rispettive individualità di Will e Regan è esplicitamente mostrata sullo schermo: in entrambi resta vigile e attiva una piccola particella del proprio sé, sia pure debole e fioca, che tenta di esprimersi in qualche modo; quella di Regan lo fa attraverso delle parole che, dalle viscere profonde del corpo della ragazza, incide sulla sua pelle. Così Barbara Creed analizza questa scena: «The scene makes it clear that Regan is trapped inside her own body, a prisoner of her own carnality»20. Anche se Regan desidera ardentemente la mancata differenziazione e separazione dalla madre, una piccola parte di lei resiste a questa volontà di fusione totale e si percepisce come entità distinta dal materno e intrappolata tra le sue spire castranti, un’entità che cerca di scavarsi un canale verso l’esterno e di trovare, finalmente, una propria individuazione e una propria collocazione nel mondo. L’identità residuale di Will, rimasta intrappolata nel suo corpo posseduto, si esprime invece attraverso l’alfabeto Morse, che utilizza battendo dei piccoli colpi sulla sedia a cui è stato legato. Tramite questo strumento linguistico fisico e non verbale, Will lancia ai suoi amici un messaggio: «chiudete la porta»21, ossia il portale che mantiene aperto un canale comunicativo tra dimensione-uterina e piano di realtà. Anche una porzione nascosta e soffocata di Will, quindi, esprime una volontà di rottura, di separazione, preludio alla propria identificazione e all’affermazione compiuta della sua identità.
Proprio queste particelle identitarie residuali costituiscono il punto di partenza per la buona riuscita dei rituali di esorcismo che coinvolgono sia Will che Regan. Nel caso di Regan l’esorcismo è condotto da due uomini: padre Merrin e padre Karran. Entrambi, tuttavia, pur riuscendo a liberare la ragazza dal demone che la possiede, al termine del rituale muoiono: il primo ha un infarto, mentre il secondo, durante una lotta corpo a corpo con Regan posseduta, invoca il demone affinché possieda lui stesso e, quando ciò accade, si lancia dalla finestra, morendo e ponendo così fine alla catena di eventi terrificanti. Creed ritiene che ciò testimoni che «the symbolic order is restored, but in name only»22. In sostanza, pur essendo degli uomini gli attanti attivi del rituale esorcistico, ciò non vuol dire che il loro intervento ristabilisca l’ordine simbolico; anzi, entrambi gli esponenti della legge paterna rimangono vittima del rituale, a testimonianza della debolezza dell’ordine simbolico dinanzi alla dirompenza dell’abiezione, incarnata dalla donna posseduta. Come scrive Barbara Creed: «Woman is constructed as possessed when she attacks the symbolic order, highlights its weaknesses, plays on its vulnerabilities; specifically, she demonstrates that the symbolic order is a sham built on sexual repression and the sacrifice of the mother»23.
Piuttosto, ciò che consente a Regan di liberarsi dal demone, che, lo ripetiamo, è l’incarnazione del suo desiderio di fusione con la madre è proprio l’attraversamento dell’orrido e dell’abietto. Sempre Barbara Creed sottolinea: «The Exorcist clearly demonstrates the argument that a reconciliation with the maternal body, the body of our origins, is only possible through an encounter with horror, the abject of our culture»24. Secondo Creed, dunque, solo esperendo questo desiderio, solo attraversandolo pienamente e compiutamente, Regan può essere esorcizzata, liberandosene e dando avvio alla sua crescita individuale. Questo spiegherebbe anche perché il demone, durante il rituale esorcistico prenda possesso del corpo di Padre Karras: egli nel corso del film vive un analogo desiderio di fusione con la madre, causato dal senso di colpa per averla lasciata sola in balia di sé stessa e averla fatta così morire, ma, a differenza di Regan, pur tormentandosi interiormente non esperisce l’abiezione. In definitiva, il desiderio di fusione con il materno può essere esorcizzato solo dopo aver attraversato l’orrore. Dopo aver percorso questo cammino è possibile riconciliarsi con la madre in un rapporto sano e pacifico. Quest’ultimo è ciò che apre la strada all’identificazione di sé e della propria individualità. Anche l’esorcismo di Will potrebbe essere decodificato in termini analoghi. Il fatto che non sia una qualsiasi figura, tanto meno maschile, a coadiuvare il rituale, ma la madre stessa, che diventa così il principale catalizzatore del processo di liberazione di Will, sembra in qualche modo confermare l’esistenza di un legame tra le due opere anche a questo livello. Will, come Regan, si immerge totalmente nell’abietto per potersi riconciliare col corpo della sua origine. In questo caso, però, è la madre a recidere il legame simbiotico, forzando la fuoriuscita del demone dal corpo del figlio. In entrambi i casi, dunque, è il confronto, la lotta corporea, con il materno, e non la restaurazione dell’ordine simbolico, a decretare l’inizio del processo di crescita e il superamento della regressione semiotica. Si mostrano, di seguito, due inquadrature tratte, rispettivamente, dalla serie e dal film allo scopo di dimostrare il legame sussistente tra i due anche dal punto di vista della costruzione scenica delle sequenze dell’esorcismo.

The Duffer Brothers, Chapter nine: The Gate, ep. 9 st. 2 di Stranger Things, Netflix, 2016.

W. Friedkin, The Exorcist (L’Esorcista), Warner Bros., 1973.

Il percorso di Will verso la definizione della propria identità prosegue nel corso delle stagioni successive e, da questo punto in poi, imbocca una strada indipendente dal cammino materno e dalle sue direttive. Will, muovendo i suoi primi, incerti, passi solitari verso la crescita comincia a comprendersi e, alle soglie della quinta stagione, sembra giungere ad un punto di svolta nella formazione della sua identità: pur non avendolo rivelato ancora né a sé stesso né, tanto meno, alla sua famiglia e ai suoi amici, diviene sempre più cosciente della propria omosessualità. Una consapevolezza a cui, finalmente, giunge autonomamente, senza le pressioni materne.


  1. L. Belau, K. Jackson (a cura di), Horror Television in the Age of Consumption. Binging on Fear, New York, Routledge, 2018, pp. 5-6.
  2. Ivi, pp. 7-8.
  3. Cfr B. Creed, The Monstrous-feminine. Film, Feminism, Psychoanalysis, New York, Routledge, 1993.
  4. M. Kocabal, The Return of the Repressed Sexuality and Horror in Stranger Things, Tesi di laurea, San Francisco State University, 2020, p. 21.
  5. Ivi, pp. 20-21.
  6. B. Creed, The Monstrous-feminine. Film, Feminism, Psychoanalysis, cit., p. 192.
  7. Ivi, p. 28.
  8. Cfr. Duffer Brothers, Every Stranger Things Movie Reference Revealed by the Duffer Brothers, in «Wired», 25 luglio 2019, min. 23:08, <https://www.youtube.com/watch?v=qGGc1wGmgbM>, url consultato il 15 agosto 2023.
  9. S. Anderson, Maternal Horror Film. Melodrama and Motherhood, London, Palgrave and Macmillan, 2013, p. 97. Quando Anderson afferma che la relazione tra le due esiste a spese della legge del Padre intende affermare che esiste a spese dell’ordine simbolico.
  10. Ivi, p. 93.
  11. Ivi, p. 91.
  12. La studiosa si esprime in questi termini: «The abject is placed on the side of the feminine: it exists in opposition to the paternal symbolic, which is governed by rules and laws. The abject represents that which ‘disturbs identity, system, order’ (Kristeva, 1982, 4). Analysis of the abject centres on ways in which the ‘clean and proper self is constructed. The abject is that which must be expelled or excluded in the construction of that self. In order to enter the symbolic order, the subject must reject or repress all forms of behaviour, speech and modes of being regarded as unacceptable, improper or unclean. […] and proper body. This mapping of the body is ‘semiotic’ because the way in which the mother teaches the infant about its body is similar to the experience of learning language. ‘Through frustrations and prohibitions, this authority shapes the body into a territory having areas, orifices, points and lines, surfaces and hollows’ (ibid., 71–2). The semiotic is ‘the precondition of language’ (ibid., 72). The repressed semiotic chora of language which finds expression in non-rational discourses such as poetry and art – here I would include the horror film –challenges the rational discourse of the symbolic order and the seeming stability of the rational subject. Kristeva places semiotic language on the side of femininity and symbolic language on the side of masculinity. […] The] entry [nell’ordine simbolico] involves the repression of the maternal authority. […] The mother is gradually rejected because she comes to represent, to signify, the period of the semiotic which the paternal symbolic constructs as ‘abject’. Because the mother is seen as effacing the boundary between herself and her child, the function of ritual becomes that of reinforcing separation. The ideological project of horror films such as Psycho, Carrie, The Brood and The Hunger, all of which feature the monster as female, appears to be precisely this – constructing monstrosity’s source as the failure of paternal order to ensure the break, the separation of mother and child. This failure, which can also be viewed as a refusal of the mother and child to recognize the paternal order, is what produces the monstrous» (B. Creed, The Monstrous-feminine. Film, Feminism, Psychoanalysis, cit., pp. 57-58).
  13. Ibidem. Creed in questa sede fa riferimento alla possessione di un corpo femminile, ma, nonostante le ovvie differenze, la questione è estendibile anche al corpo maschile, che pure, quando è posseduto, regredisce alla fase semiotica, pre-linguistica e antecedente all’apprendimento della pulizia corporea, come segnalano le numerose scene di possessione dominate da fluidi corporei.
  14. Ivi, p. 59.
  15. Ibidem.
  16. S. Anderson, Maternal Horror Film. Melodrama and Motherhood, cit., p. 97.
  17. B. Creed, The Monstrous-feminine. Film, Feminism, Psychoanalysis, cit., p. 53.
  18. W. Friedkin, The Exorcist (L’Esorcista), Warner Bros., 1973.
  19. B. Creed, The Monstrous-feminine. Film, Feminism, Psychoanalysis, cit., pp. 54-55 e 60.
  20. Ivi, p. 55.
  21. The Duffer Brothers, Chapter eight: The Mindflayer, ep. 8 st. 2 di Stranger Things, Netflix, 2017.
  22. B. Creed, The Monstrous-feminine. Film, Feminism, Psychoanalysis, cit., p. 61.
  23. Ibidem.
  24. Ibidem.

The success of Stranger Things, serial narrative written by brothers Matt and Ross Duffer, is the result of a skillful blend of various elements, including the careful recreation of the atmosphere typical of 1980s horror films, the witty reprise of their characteristic stylistic features, but above all the numerous references to real cults of the genre. This specific quality, in truth, falls under the more general tendency of horror seriality to play with adaptations. Stranger Things, in particular, references earlier horror narratives. In this regard, it is intended to isolate, in the fabric of intertextual references that envelops the series, a specific sequence of the work, in order to understand its seminal links to William Friedkin’s The Exorcist (1973), and the ways in which the Duffer brothers absorbed and rewrote the visual and semantic grammar of this cult.